Medio Oriente Corruzione, scandali e riforme in Kuwait e Oman Eleonora Ardemagni 17/08/2014 |
Per la prima volta nella storia del Sultanato dell’Oman, un ex ministro è stato condannato a tre anni di carcere per corruzione, mentre in Kuwait il principale leader dell’opposizione e un membro della famiglia reale hanno accusato ex ministri e magistrati di frode, riciclaggio di denaro pubblico e cospirazione.
La lotta alla corruzione caratterizzò gli slogan delle piazze arabe in rivolta nel 2011. Le monarchie del Golfo, allora sfiorate dalle proteste, devono misurarsi con un’opinione pubblica sempre più consapevole e insofferente verso i reati contro la pubblica amministrazione.
Disoccupazione, aumento del costo della vita e diseguaglianze sociali rendono ormai intollerabile il fenomeno della corruzione, forse considerato - per troppo tempo - strutturale al patto di potere fra ceto mercantile-imprenditoriale e dinastie regnanti.
Misure anti-corruzione del sultano Qaboos
Già ministro del commercio, Mohamed bin Nasir al-Khusaibi è stato condannato, in primo grado, poiché avrebbe pagato una tangente, al fine di aggiudicarsi una gara d’appalto per l’aeroporto internazionale di Muscat: sono molti i funzionari governativi che contemporaneamente occupano ruoli in aziende private (soprattutto costruzioni ed energia).
Lo scorso febbraio, l’amministratore delegato della Omani Oil Company, Ahmad al-Wahaibi, era stato condannato a ventitré anni di reclusione per tangenti, riciclaggio e abuso d’ufficio. Al di là delle considerazioni di merito (che si potrebbero esprimere solo studiando le carte dei processi), il dato politico interessante è che questi verdetti assecondano il clima di indignazione popolare e incoraggiano le misure anti-corruzione promesse dal sultano Qaboos bin al-Said.
Il sultanato, che deve ora vigilare sull’effettiva applicazione delle normative, ha appena firmato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite contro la corruzione (Uncac), mentre non ha ancora aderito a quella dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
Proteste in Kuwait
A luglio, per sei notti consecutive, centinaia di kuwaitiani hanno rilanciato lo slogan Karamat Watan (dignità della Nazione) manifestando nel cuore della capitale - nei pressi dello storico souq di Al-Mubarakeya- contro il fermo del leader dell’opposizione Musallam al-Barrak, arrestato con l’accusa di aver insultato la magistratura.
Dopo le rivelazioni dell’ex deputato su frodi e tangenti, l’Emiro ha incaricato la neonata Autorità pubblica anti-corruzione di aprire un’indagine. La scena nazionale si è presto surriscaldata, soprattutto dopo la diffusione di un controverso video - che la famiglia degli Al-Sabah ha inutilmente provato a bloccare - in cui ambienti contigui alla corte reale discutevano dell’ipotesi di un colpo di stato.
Clientelismo di potere
Nelle monarchie del Golfo, il patto sociale si fonda sulla relazione fra élite economica e dinastia regnante, ovvero sulla formula “fedeltà politica in cambio di opportunità economiche”: è davvero possibile ingaggiare una lotta, autentica e “di sistema”, alla corruzione, che si annida proprio nella struttura clientelare del sistema di potere?
Dopo il declino dell’industria perlifera e la scoperta del petrolio, il malcontento dei tujjar del Kuwait (mercanti, soprattutto sciiti) spinse l’Emiro a concedere un’Assemblea nazionale eletta nel 1962; il sostegno del ceto mercantile è ancora oggi un pilastro della monarchia e le diwaniyyat (i salotti) da loro animati svolgono un ruolo centrale per la socializzazione politica informale, nonché per la formazione e il mantenimento del consenso.
In Oman, l’oligarchia commerciale, che monopolizza gli affari economici, è un anello essenziale nell’ingranaggio del Sultano, ricoprendo incarichi di governo e partecipando alla redistribuzione della rendita.
Di fronte all’adozione di normative anti-corruzione, la comunità finanziaria dell’area del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) esprime il timore che tali misure possano inibire, in parte, lo sviluppo economico; d’altronde, è proprio l’incidenza dei reati finanziari a rendere meno attrattivi gli investimenti diretti esteri verso le monarchie della Penisola arabica.
Ue e libero scambio con il Ccg
A differenza del Kuwait, la nascente società civile dell’Oman non è ancora in grado di condizionare le scelte politiche del Sultanato, anche in tema di trasparenza e gestione delle finanze pubbliche. Le opposizioni kuwaitiane (islamisti, liberali, nazionalisti), fuori dal parlamento dopo il boicottaggio delle elezioni del 2013, chiedono una monarchia costituzionale: un governo eletto mediante l’Assemblea nazionale e non più nominato dal re.
Gli Al-Sabah stanno però reagendo con l’ennesima stretta securitaria. Numerose organizzazioni non governative locali sono state chiuse (in particolate le charities islamiste); l’Emirato sta inoltre revocando la cittadinanza a chi “minaccia la sicurezza nazionale”, come nel caso di Ahmad Jabr al-Shammari, proprietario dell’emittente televisiva e del quotidiano Al Youm, media che coprono le proteste dell’opposizione fin dal 2012.
Il processo di autoriforma intra-Ccg passa anche attraverso risposte tempestive e credibili in materia di accountability pubblica; a riguardo, l’Unione europea - che intende creare un’area di libero scambio con il Ccg - potrebbe individuare e proporre occasioni di cooperazione pratica su questi temi, puntando al trasferimento di know-how e buone pratiche.
Eleonora Ardemagni, analista in relazioni internazionali (Medio Oriente e Nord Africa), collaboratrice di Aspenia, ISPI, Limes. Dottoressa magistrale in relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, diplomata in affari europei all’ISPI.
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La lotta alla corruzione caratterizzò gli slogan delle piazze arabe in rivolta nel 2011. Le monarchie del Golfo, allora sfiorate dalle proteste, devono misurarsi con un’opinione pubblica sempre più consapevole e insofferente verso i reati contro la pubblica amministrazione.
Disoccupazione, aumento del costo della vita e diseguaglianze sociali rendono ormai intollerabile il fenomeno della corruzione, forse considerato - per troppo tempo - strutturale al patto di potere fra ceto mercantile-imprenditoriale e dinastie regnanti.
Misure anti-corruzione del sultano Qaboos
Già ministro del commercio, Mohamed bin Nasir al-Khusaibi è stato condannato, in primo grado, poiché avrebbe pagato una tangente, al fine di aggiudicarsi una gara d’appalto per l’aeroporto internazionale di Muscat: sono molti i funzionari governativi che contemporaneamente occupano ruoli in aziende private (soprattutto costruzioni ed energia).
Lo scorso febbraio, l’amministratore delegato della Omani Oil Company, Ahmad al-Wahaibi, era stato condannato a ventitré anni di reclusione per tangenti, riciclaggio e abuso d’ufficio. Al di là delle considerazioni di merito (che si potrebbero esprimere solo studiando le carte dei processi), il dato politico interessante è che questi verdetti assecondano il clima di indignazione popolare e incoraggiano le misure anti-corruzione promesse dal sultano Qaboos bin al-Said.
Il sultanato, che deve ora vigilare sull’effettiva applicazione delle normative, ha appena firmato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite contro la corruzione (Uncac), mentre non ha ancora aderito a quella dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
Proteste in Kuwait
A luglio, per sei notti consecutive, centinaia di kuwaitiani hanno rilanciato lo slogan Karamat Watan (dignità della Nazione) manifestando nel cuore della capitale - nei pressi dello storico souq di Al-Mubarakeya- contro il fermo del leader dell’opposizione Musallam al-Barrak, arrestato con l’accusa di aver insultato la magistratura.
Dopo le rivelazioni dell’ex deputato su frodi e tangenti, l’Emiro ha incaricato la neonata Autorità pubblica anti-corruzione di aprire un’indagine. La scena nazionale si è presto surriscaldata, soprattutto dopo la diffusione di un controverso video - che la famiglia degli Al-Sabah ha inutilmente provato a bloccare - in cui ambienti contigui alla corte reale discutevano dell’ipotesi di un colpo di stato.
Clientelismo di potere
Nelle monarchie del Golfo, il patto sociale si fonda sulla relazione fra élite economica e dinastia regnante, ovvero sulla formula “fedeltà politica in cambio di opportunità economiche”: è davvero possibile ingaggiare una lotta, autentica e “di sistema”, alla corruzione, che si annida proprio nella struttura clientelare del sistema di potere?
Dopo il declino dell’industria perlifera e la scoperta del petrolio, il malcontento dei tujjar del Kuwait (mercanti, soprattutto sciiti) spinse l’Emiro a concedere un’Assemblea nazionale eletta nel 1962; il sostegno del ceto mercantile è ancora oggi un pilastro della monarchia e le diwaniyyat (i salotti) da loro animati svolgono un ruolo centrale per la socializzazione politica informale, nonché per la formazione e il mantenimento del consenso.
In Oman, l’oligarchia commerciale, che monopolizza gli affari economici, è un anello essenziale nell’ingranaggio del Sultano, ricoprendo incarichi di governo e partecipando alla redistribuzione della rendita.
Di fronte all’adozione di normative anti-corruzione, la comunità finanziaria dell’area del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) esprime il timore che tali misure possano inibire, in parte, lo sviluppo economico; d’altronde, è proprio l’incidenza dei reati finanziari a rendere meno attrattivi gli investimenti diretti esteri verso le monarchie della Penisola arabica.
Ue e libero scambio con il Ccg
A differenza del Kuwait, la nascente società civile dell’Oman non è ancora in grado di condizionare le scelte politiche del Sultanato, anche in tema di trasparenza e gestione delle finanze pubbliche. Le opposizioni kuwaitiane (islamisti, liberali, nazionalisti), fuori dal parlamento dopo il boicottaggio delle elezioni del 2013, chiedono una monarchia costituzionale: un governo eletto mediante l’Assemblea nazionale e non più nominato dal re.
Gli Al-Sabah stanno però reagendo con l’ennesima stretta securitaria. Numerose organizzazioni non governative locali sono state chiuse (in particolate le charities islamiste); l’Emirato sta inoltre revocando la cittadinanza a chi “minaccia la sicurezza nazionale”, come nel caso di Ahmad Jabr al-Shammari, proprietario dell’emittente televisiva e del quotidiano Al Youm, media che coprono le proteste dell’opposizione fin dal 2012.
Il processo di autoriforma intra-Ccg passa anche attraverso risposte tempestive e credibili in materia di accountability pubblica; a riguardo, l’Unione europea - che intende creare un’area di libero scambio con il Ccg - potrebbe individuare e proporre occasioni di cooperazione pratica su questi temi, puntando al trasferimento di know-how e buone pratiche.
Eleonora Ardemagni, analista in relazioni internazionali (Medio Oriente e Nord Africa), collaboratrice di Aspenia, ISPI, Limes. Dottoressa magistrale in relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, diplomata in affari europei all’ISPI.
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