martedì 16 settembre 2014

Iraq: a Bagdhad occorre essere audaci

Guerra in Iraq
Fragili convergenze da non sprecare
Maurizio Melani
18/08/2014
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Rafforzare militarmente i peshmerga del Governo regionale curdo dell'Iraq (Krg) per fermare la barbarie dell'Isis, ora IS (Islamic State), è giusto e necessario.

Essi sono bene organizzati e motivati, ma sono strutturati per svolgere principalmente limitati compiti di sicurezza interna e difesa locale, in linea con l'assetto costituzionale iracheno. Essi quindi non hanno i mezzi pesanti, la mobilità, la copertura aerea, il sostegno logistico e l'intelligence indispensabili per contrastare le capacità militari, acquisite dal "Califfato".

Questo potenziamento dei curdi, da realizzare con la tempestività richiesta dalle circostanze, andrà comunque ad incidere sugli equilibri iracheni e nella regione. Se, come si spera, essi riuscissero ad arrestare l'offensiva jihadista e a recuperare parte almeno dei territori strappati al controllo di Baghdad, vedremmo anche il consolidamento dell’acquisizione curda di aree ricche di risorse petrolifere, in contrasto con il governo centrale.

La costituzione di un vero e proprio esercito curdo avrà inoltre riflessi sul piano istituzionale e sui rapporti di forza tra le diverse componenti della realtà irachena. La sua gestione dovrà pertanto tenerne conto, con l'esigenza di un adeguato raccordo con Baghdad.

Il difficile compito del nuovo governo
Le modalità e i tempi di formazione del nuovo governo iracheno dopo l'incarico conferito dal Presidente Fouad Masun a Heider Al Abadi saranno cruciali. L'obiettivo è una compagine realmente inclusiva, nella quale tutte le componenti etniche e religiose si riconoscano, con una gestione condivisa della sicurezza.

L'impresa sarà complessa, considerata la forte impronta settaria che Nouri Al Maliki ha dato ai vertici e alle componenti di punta delle forze armate, dell’intelligence e della polizia. Lo sfaldamento di fronte all'IS ne ha evidenziate le carenze, ed il mancato tentativo di colpo di stato, dopo la designazione di Al Abadi, ne ha mostrate le divisioni.

Il Primo Ministro incaricato avrà un compito difficile, anche se riuscirà ad acquisire la fiducia convergente delle diverse forze politiche (l'Islamic Supreme Council of Iraq, Isci, le varie correnti del partito Dawa e i sadristi, che lo hanno sostenuto nel campo sciita, i sunniti di Usama al Nujafi, di Saleh Mutlak e delle milizie tribali da recuperare, i curdi che pretenderanno molto in termini di allargamento dell'autonomia, territori contesi e gestione delle risorse petrolifere).

Al Abadi, uomo di apparato, conosce bene le dinamiche all'interno del mondo sciita e delle alleanze da costruire con i potentati sunniti e curdi. È un nazionalista iracheno che, quale autorevole figura parlamentare e del partito di Al-Maliki, Dawa, si oppose alla concessione delle immunità richieste dagli americani per la permanenza di loro forze nel paese dopo le scadenze previste dalle risoluzioni delle Nazioni Unite.

Ma è anche un pragmatico forgiatosi nelle attività imprenditoriali durante un lungo esilio londinese. Fondamentale sarà la sua intesa con il Presidente Fouad Masun cui è legato da una altrettanto lunga consuetudine di mediazioni e con il quale dovrà trovare il giusto equilibrio tra le spinte centrifughe dei curdi, gestite dal Presidente del Krg, Masoud Barzani, e il mantenimento di una forma sostenibile ed efficace di unità che soddisfi anche i sunniti.

I rapporti tra peshmerga potenziati dall'aiuto occidentale e forze armate irachene (da riorganizzare senza creare sconquassi) saranno un aspetto centrale di questo equilibrio: da maneggiare con tanta più cura se si tiene anche conto degli apporti in mezzi e istruttori giunti dalla Russia all'Esercito e all'Aeronautica di Baghdad.

Cruciale un accordo regionale
Il successo di Abadi e Masun dipenderà largamente dalla costruzione di un’adeguata cornice di sostegno regionale, oggi centrato sulla lotta al “Califfato”.

Turchia, Iran, Russia, paesi arabi sunniti vanno quindi adeguatamente consultati e coinvolti, favorendo per quanto possibile raccordi tra gli interessi degli iraniani, che hanno accettato se non favorito la convergenza della maggioranza degli sciiti su Al Abadi, l'annunciata iniziativa della Lega Araba di contrapposizione militare al jihadismo, promossa da un nuovo protagonismo egiziano, e per la quale Il Cairo avrà certamente consultato l'Arabia Saudita, e gli interessi della Turchia, ora rafforzata dal risultato elettorale di Recep Tayyip Erdoğan, attenta sia al pericolo jihadista che all'esigenza di controllare le dinamiche della composita realtà curda.

L'abilità della coppia Al Abadi-Masun, degli americani e degli europei consisterà quindi nel far convergere le diverse iniziative e sensibilità in un progetto coordinato di stabilizzazione, evitando un controproducente esclusivismo occidentale.

La necessaria gestione della tragedia irachena deve costituire una opportunità per convergenze virtuose e non un fattore di spaccature e interventi contrapposti.

Un ruolo per l’Ue?
In questo quadro rilevante può essere il ruolo europeo. Bene ha fatto il Ministro Federica Mogherini a sollecitare una tempestiva riunione del Consiglio Affari esteri dell'Unione europea (Ue) per definire una posizione comune.

Resta la possibilità di avviare, da parte di coloro che lo vogliano, una vera e propria operazione europea nell'ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l'impiego di tutti gli strumenti forniti dai trattati.

Sarebbe questa una occasione da non perdere per mostrare come l'Ue possa partecipare adeguatamente alla gestione di una crisi di primaria importanza per la sua sicurezza e per i suoi valori umanitari, similmente a quanto seppe fare nei Balcani e in Africa nel 2003, sotto presidenza italiana, con strumenti istituzionali inferiori a quelli attuali e malgrado le concomitanti divisioni proprio sull'Iraq.

Maurizio Melani è Ambasciatore d'Italia.
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