lunedì 23 dicembre 2013

Auguri


A tutti gli amici ed ai lettori di questo blog



I più sinceri auguri di un Buon Natale e di un felice 2014

mercoledì 18 dicembre 2013

Libano: Un assassinio eccellente

Libano
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Hassan al-Laqis, uno degli uomini ai vertici dell’ala militare di Hezbollah, è stato assassinato nella notte di giovedì nei pressi di Beirut. L’uomo è stato sorpreso da un gruppo di uomini armati mentre faceva ritorno, attorno a mezzanotte, alla propria abitazione e freddato a colpi d’arma da fuoco. Laqis era uomo vicino al Segretario Generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ed era stato responsabile per il movimento di programmi per lo sviluppo di droni e per l’approvvigionamento di sistemi d’arma.
L’omicidio è stato in un primo momento rivendicato da Ahrar al-Sunna, gruppo fondamentalista sunnita finora ignoto. La dinamica del delitto, tuttavia, fa pensare a un’operazione di professionisti più che a un atto di matrice jihadista. Nel comunicare la morte di Laqis, Hezbollah ha subito accusato Israele, il quale ha però respinto fermamente la responsabilità dell’accaduto. L’eliminazione di Laqis potrebbe però anche ! rientrare nel più ampio quadro del coinvolgimento delle milizie sciite libanesi nella crisi siriana a sostegno di Bashar al-Assad. In questo senso, l’omicidio di Laqis potrebbe essere letto come una forma d’intimidazione nei confronti di Hezbollah da parte delle forze antagoniste impegnate nella guerra civile siriana. Già nel recente passato, con l’attentato del 19 novembre scorso all’Ambasciata iraniana a Beirut (in un quartiere-roccaforte di Hezbollah), il movimento sciita aveva subito direttamente le conseguenze del proprio impegno in Siria.
 (chi non desidera questo post è pregato di comuncarlo a geografia2013@libero.it)

venerdì 13 dicembre 2013

Turchia: rapporti non facili con l'Egitto

Medio Oriente
Egitto e Turchia ai ferri corti
Azzurra Meringolo, Emanuela Pergolizzi
02/12/2013
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La pazienza dell’esercito egiziano si è esaurita. Il primo ministro turco Racep Tayyip Erdoğan continua ad alzare al cielo le quattro dita simbolo degli islamisti che chiedono il ritorno del presidente Mohammed Mursi - deposto per mano militare il 3 luglio scorso - e i generali egiziani spediscono a casa l’ambasciatore turco. Tolleranza zero quella che il Cairo riserva al ministro degli esteri di Ankara che ha dichiarato di non aver rispetto per quanti sono tornati al potere grazie a un golpe.

Amore e odio
La storia si ripete. Almeno questo è quello che pensa il quotidiano egiziano Al-Watan che traccia il parallelo tra quanto è avvenuto lo scorso 23 novembre e quanto accadde nel 1952, quando l’ambasciatore turco venne rimpatriato a causa dei suoi attacchi alla rivoluzione del presidente Gamal Abdel Nasser.

La ferita ricucita dalla diplomazia bilaterale si riaprì nel 1961, quando il Cairo non sopportò le parole con le quali la Turchia benedì il disfacimento della Repubblica araba unita, il primo nucleo del progetto panarabo che teneva insieme Siria ed Egitto.

Oggi, la crisi diplomatica che ha portato anche al rimpatrio dell’ambasciatore egiziano ad Ankara è la punta dell’iceberg di una relazione che negli ultimi 16 mesi è passata dalle stelle alle stalle. Alla fine del 2012, il volume del commercio tra Egitto e Turchia era pari a 5.2 miliardi di dollari. Gli investimenti di Ankara al Cairo si erano attestati a 1.9 miliardi di dollari e il progetto era di arrivare a 5 miliardi.

Nel suo primo viaggio in Egitto dopo la caduta di Hosni Mubarak, Erdoğan era stato trattato come una pop star non solo dagli islamisti, ma anche dalle forze liberali che cercavano nella storia turca l’ispirazione per arrivare alla creazione di un regime democratico.

Nel tempo però, il bagliore attorno a Erdoğan e al modello turco ha iniziato a tramontare. In Egitto, il cambio di guardia ha fatto il resto. Il dinamismo diplomatico che aveva posto Ankara al centro dello scacchiere mediorientale registra una battuta d’arresto.

Solitudine turca
Da paladino delle popolazioni in rivolta durante la primavera araba a strenuo difensore dei governi islamisti, Erdoğan non aveva potuto celare il malessere nei confronti dei militari egiziani già a luglio.

La Turchia era stata l'alleato più vicino all'amministrazione Mursi, al quale aveva garantito un prestito di 2 miliardi di dollari l'autunno scorso. I due avevano anche operato di concerto, nel corso del 2012, per risolvere la nuova crisi a Gaza.

Nella stretta militare di luglio, Erdoğan ha vissuto da vicino il déja-vu della ciclica sequenza di colpi di stato che hanno puntellato la storia di Ankara. Come leader di un governo che si è distinto proprio per la lotta contro l'apparato militare-kemalista, il primo ministro turco filo-islamico non poteva celare il supporto all'alleato egiziano.

Mentre gli ultimi focolai delle rivolte del parco Gezi venivano duramente represse, Erdoğan si ergeva a protettore della democrazia in Egitto, criticando aspramente la leggerezza di Stati Uniti e Unione Europea nei confronti dei militari. Persi gli storici alleati nella regione e sempre più in contrasto con le potenze occidentali, prosegue la parabola discendente di una Turchia sempre più sola nel mare mediorientale.

Equilibri in evoluzione
A placare le sferzate del primo ministro sono subito intervenuti, come ormai consuetudine, il ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu e il presidente della Repubblica Abdullah Gül. Ricordando “la storica amicizia” tra i due paesi, hanno auspicato che “le relazioni siano presto ripristinate”.

Gli ufficiali del Cairo chiedono tuttavia la fine di ogni ingerenza turca negli affari egiziani. Il riferimento è al sostegno dato ai Fratelli Musulmani nel tentativo di dimostrare, davanti alla Corte penale internazionale, che la repressione condotta contro i manifestanti del Cairo il 14 agosto costituisca un “crimine contro l'umanità”.

Dall'altro lato anche Ankara mostra una certa diffidenza, sottolineando come proprio durante quelle proteste sia stato arrestato il giornalista dell'emittente nazionale Trt, Metin Turan, ancora fermo nelle carceri del Cairo.

A guardare con attenzione la lite tra il Cairo e Ankara sono anche i paesi della regione i cui equilibri internazionali sono ora condizionati dal dossier siriano e da quello iraniano. A mostrarlo è anche l’incontro che si è tenuto a Doha il 24 novembre tra Turchia e Qatar, i paesi più critici nei confronti dell’intervento militare in Egitto con i quali si è trovata in linea anche la Tunisia.

Israele, preoccupato dall’evoluzione iraniana, è convinto che la politica di Erdoğan stia indebolendo l’influenza turca nella regione, messa in dubbio anche dall’Algeria, strenua sostenitrice, con i sauditi, dell’intervento dei militari egiziani. Ryahd è però costretta a districarsi tra due fuochi. Pur non condividendo le critiche turche contro l’intervento militare in Egitto, non vuole rompere l’alleanza con Ankara sul dossier siriano.

Azzurra Meringolo è ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI), e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. È autrice di "I Ragazzi di piazza Tahrir" e vincitrice del premio giornalistico Indro Montanelli 2013. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.
Emanuela Pergolizzi è laureanda presso l'Università di Torino e Sciences Po Grenoble. Svolge un tirocinio presso l'IAI nel quadro del progetto “Global Turkey in Europe” (twitter: @empergolizzi)
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giovedì 5 dicembre 2013

Iran: rallentamento e sospensioni nel programma nucleare contro alleggerimento delle sanzioni

Accordo sul nucleare iraniano
Il pugno di Teheran che diventa una stretta di mano
Roberto Aliboni
26/11/2013
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Una serie di limitazioni e sospensioni nell’industria nucleare iraniana a fronte di un alleggerimento delle sanzioni: questo quanto prevede l’accordo raggiunto a Ginevra fra l’Iran e i 5+1 (Usa, Regno unito, Francia, Cina, Russia e Germania).

Fra sei mesi i negoziatori si riuniranno per valutare l’andamento del compromesso e decidere come fare per raggiungere un accordo di lungo periodo complessivo in grado di garantire la natura pacifica del programma nucleare iraniano. Il risultato delle negoziazioni di Ginevra è stato valutato come un errore storico dal primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. Se funzionerà sarà invece una svolta storica.

Normalizzazione
Difficile dire ora quale sarà la sorte di questo primo accordo. Non si può mancare tuttavia di rilevare la sua importanza politica e la sua influenza sull’evoluzione delle relazioni fra Iran e Stati Uniti.

L’inimicizia in corso dal ’79 ha senza dubbio spinto Teheran verso una politica estera più radicale di quella che avrebbe condotto in una situazione di relazioni più normali, anche se non necessariamente amichevoli. Ma ha lungamente radicalizzato anche la politica degli Stati Uniti, i quali, quando il presidente Mohammad Khatami fece dei passi decisamente collaborativi, non raccolsero i gesti dei riformisti allora al potere in Iran.

Una normalizzazione fra Teheran e Washington non potrebbe che contribuire alla normalizzazione della regione. Le sanzioni hanno morso e l’estremismo religioso e politico dell’ex presidente Mahmoud Ahmedinejad ha creato danni tali che è urgente, necessario e inevitabile che il nuovo governo vi ponga fine.

Gli Stati Uniti hanno avuto il merito di capire che il pugno iraniano si stava aprendo e di crederci. Era stato il presidente Barack Obama a chiedere all’inizio del suo primo mandato che l’Iran “aprisse il suo pugno”, senza però riceverne alcuna risposta positiva. Questa è infine arrivata dal presidente Hassan Rouhani. Dando una volta tanto prova di leadership, Obama ha quindi guidato i paesi occidentali ad aprire il loro pugno.

Prima che i negoziati iniziassero ci sono stati quattro incontri segreti tra Stati Uniti e Iran. Questo mostra una precisa volontà delle due parti di creare e cogliere l’occasione. Obama è andato avanti in una situazione di appoggio solo moderato nel suo paese, di franco sostegno da parte degli alleati europei, di forti difficoltà invece da parte degli alleati arabi, in particolare l’Arabia Saudita, e di martellante critica da parte di Israele.

Opposizione
Quali conseguenze possono venire da questa opposizione da parte degli alleati regionali degli Usa? In Israele il dibattito sull’attacco alle installazioni nucleari dell’Iran dura da tempo. L’idea degli estremisti al governo di condurlo anche da soli, cioè senza e contro gli Usa, ha avuto da parte dell’establishment militare dei servizi segreti e, in parte, anche dall’establishment civile del paese una risposta nettamente negativa. È improbabile che Netanyhau e Avigdor Lieberman riescano a superare questa opposizione e andare avanti. Israele, almeno per ora, continuerà a stare alla finestra.

L’Arabia Saudita non può che vedere confermate e aggravate le sue preoccupazioni emerse quando Obama ha accettato di rinunciare all’intervento militare che aveva promesso di lanciare al regime siriano di Bashar al Assad in cambio dell’accordo di disarmo chimico. In questa mossa Riyadh ha visto non solo l’indebolimento dell’opposizione e dei sunniti in Siria, ma ha anche vividamente intravisto il rafforzamento dell’Iran e degli sciiti. Quando gli approcci diplomatici di Rouhani sono iniziati, i dirigenti del Regno hanno anche capito che l’intesa era possibile.

Alleanze alla prova
Non c’è dubbio che, malgrado il possibile accordo con l’Iran e l’incremento in atto nella produzione di energia da scisti, gli Usa continueranno a garantire la sicurezza nazionale dei paesi arabi del Golfo, ma per Riyadh questi sviluppi hanno comunque un forte odore di rovesciamento delle alleanze.

L’Arabia Saudita trova appoggio nel nuovo regime egiziano che tiene stretto grazie alle generose sovvenzioni che elargisce nella lotta contro i Fratelli Mussulmani. A livello regionale, la strana coppia saudo-egiziana si scontra con l’altrettanto strana coppia Turchia-Qatar che invece sostiene la Fratellanza (è di venerdì la notizia del licenziamento dell’ambasciatore turco in Egitto). Tuttavia, anche Ankara e Doha, malgrado le differenze, restano capitali sunnite che osservano con diffidenza e malumore il presagio dell’accordo Usa-Iran.

Anche se non potrà essere un’intesa come quella che c’era fra Washington e lo Shah, si tratta di una stretta di mano destinata a cambiare considerevolmente gli equilibri della regione.

Dossier Siria
Mentre il primo accordo che si è avuto a Ginevra viene realizzato, il governo statunitense potrebbe cercare di fare passi avanti anche sul piano delle relazioni politiche e affrontare con Teheran un’altra possibile intesa, questa volta sulla Siria (e magari tornare sul tema dell’Afghanistan, che con Khatami fu una cooperazione di successo).

Tale intesa spiazzerebbe la deriva dell’estremismo sunnita in Siria (che la monarchia di Riyadh, legata nella sua legittimazione ai wahabiti, non sarà mai in grado di dominare o incanalare) e indebolirebbe il ruolo crescente della Russia nella regione.

Un accordo con l’Iran per imboccare in Siria la strada di un compromesso sarebbe un fatto positivo. Tuttavia, è già evidente che una moderazione dell’Iran non corrisponde in sé e per sé ad una stabilizzazione della regione. Basta pensare all’attacco che al-Qaida ha messo a segno a Beirut, distruggendo l’ambasciata iraniana e alla risposta a colpi di mortaio che certe brigate sunnite hanno fatto piovere in Arabia Saudita dal territorio iracheno (destinati a colpire politicamente anche il governo sciita di Baghdad).

Se gli sviluppi tra Iran e Stati Uniti dovessero essere condotti senza la dovuta cautela e gradualità, ci troveremmo con un pericoloso allargamento alla regione della guerra settaria già in atto.

Un’eventuale ripresa di rapporti con l’Iran deve essere gestita con cautela, al fine che diventi un fattore di pacificazione e ordine nella regione. Tutti gli alleati statunitensi nella regione sono allarmati. Mentre Obama va lodato per questo sviluppo, è anche necessario che il relativo distacco dal Medio Oriente che egli persegue tenacemente - per portare gli Usa fuori dalle secche in cui le passate presidenze “imperiali” li hanno lasciati - sia guidato da una strategia adeguata.

Finora l’idea di andarsene dal Medio Oriente è stata invece sorretta solo da un forte pragmatismo, al quale in fondo non appare estranea neppure l’intesa appena siglata a Ginevra. Ma il pragmatismo, seppure un saggio modo di condurre le cose, non è mai di per sé risolutivo.

Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
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martedì 3 dicembre 2013

Azerbaijan: il corridoio sud. Conferenza 18 dicembre 2013

INVITATION
The Istituto Affari Internazionali
is pleased to invite you
to a conference on
AZERBAIJAN AND THE SOUTHERN GAS CORRIDOR:
A TRANSATLANTIC PERSPECTIVE
ROME, 18 December 2013
15:00 – 18:00
Palazzo de Carolis
Sala della Minerva
Via Lata, 3 - Rome
» Programme (Link)
Registration form (Link)
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The working language will be English and
no translation will be provided.

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Istituto Affari Internazionali (IAI) via A. Brunetti 9, I-00186 Roma

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domenica 1 dicembre 2013

Iran. Nucleare. Accordo raggiunto dopo lunghe trattative

25 Novembre 2013


Iran e il P5 +1 hanno accettato un accordo provvisorio di sei mesi in base al quale l'Iran limitare il suo programma nucleare in cambio di sanzioni limitate sollievo. L'accordo è stato posizionato come un "primo passo" per un accordo più sostanziale tra l'Iran ei membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la Germania entro un anno. Il grado di sanzioni rilievo è relativamente modesta ed è improbabile che condurre The Economist Intelligence Unit di rivedere le sue previsioni economicheradicalmente . Ma l'accordo, che dovrà comunque sostenere la fede in Iran e l'Occidente che una soluzione diplomatica può essere praticabile per entrambe le parti e che un accordo globale è una prospettiva reale.
L'accordo si riferisce ottimisticamente ad un "principio standard" del processo che "nulla è concordato finché tutto non è d'accordo". Rimangono sfide significative nel raggiungere una comprensione globale, ma i colloqui di Ginevra hanno notevolmente ridotto le possibilità di conflitti violenti e aumentato la possibilità di un miglioramento delle relazioni tra l'Iran e l'Occidente.
La "soluzione completa", prevista per la questione nucleare sarebbe basata su diritti e gli obblighi dell'Iran come firmatario del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), accanto a "un maggiore monitoraggio" e "limiti convenuti" al suo programma. Ciò porterebbe, secondo l'accordo, la revoca di tutte le sanzioni ONU, USA e UE.
Obliging Iran
Durante il periodo di sei mesi interim Iran fermerà l'arricchimento dell'uranio oltre il 5%; convertirà la metà delle giacenze esistenti di uranio arricchito al 20% in combustibile per il reattore di ricerca di Teheran (principalmente per uso medico), mentre diluendo il resto a meno di 5 %, e non installare altri centrifughe, lasciando inutilizzabile circa la metà di quelli installati a Natanz, il principale impianto di arricchimento, e il 75% di quelli installati di Fordo, l'impianto di arricchimento sotterraneo fortificato vicino alla città di Qom.
L'Iran ha riconosciuto che deve affrontare tutte le questioni sollevate dall'Agenzia internazionale dell'energia atomica delle Nazioni Unite (AIEA) su possibile la ricerca militare passato. L'Iran ha anche incontrato le preoccupazioni occidentali sopra il reattore ad acqua pesante di Arak, che era stato un ostacolo nei colloqui a Ginevra due settimane precedenti. L'Iran ha accettato di non produrrà combustibile per il reattore, installare componenti aggiuntivi, far funzionare l'impianto o la costruzione di un impianto di ritrattamento (che consentirebbe la separazione del plutonio dal combustibile esaurito, e quindi aprire un mezzo alternativo di un'arma). L'Iran ha anche detto che darà le informazioni di progettazione AIEA per il reattore e sarà d'accordo con l'agenzia un approccio di salvaguardia per il reattore coprire monitoraggio futuro.Tutti questi cordoli saranno attentamente monitorati da ispettori dell'AIEA, che avranno accesso tutti i giorni sia a Natanz e Fordow. Molti aspetti di enhanced-ruolo compreso l'accesso dell'agenzia per i laboratori di produzione e assemblaggio di centrifughe-sono oltre gli obblighi del TNP dell'Iran.
Inoltre, l'AIEA e l'Iran lavorerà con una commissione di nuova costituzione ivi compresi i rappresentanti del P5 +1 di controllare l'adesione alla convenzione di Ginevra e per risolvere eventuali questioni di interesse. La creazione di un organo comune con il P5 +1 può essere una concessione in Iran, la Repubblica islamica ha in precedenza ritenuto che l'AIEA non si è comportato in modo imparziale, e ora i suoi due alleati diplomatici, Russia e Cina, associati al controllo .
Sanzioni sollievo molto limitato, almeno per ora
In cambio, il P5 +1 hanno convenuto che gli Stati Uniti, l'Unione europea e le Nazioni Unite non imporre nuove sanzioni "legate al nucleare" per sei mesi, fintanto che l'Iran è conforme con l'affare. Secondo il briefing del governo degli Stati Uniti, l'Iran sarà consentito per un totale di US $ 6 miliardi, 7 miliardi in sanzioni rilievo, tra cui circa US $ 4,2 miliardi dei proventi del petrolio congelati in banche estere. Altrettanto importante per l'Iran, gli Stati Uniti e l'UE non impedirà acquirenti di greggio iraniano, quasi tutti asiatici, di continuare a comprare a livelli di importazione attuali, e rinuncerà sanzioni di assicurazione e di trasporto esistenti su tali consegne, che dovrebbero contribuire a mantenere l'attrattività di petrolio iraniano.
Gli Stati Uniti hanno inoltre accettato di sospendere alcune sanzioni in oro e metalli preziosi, sul settore automobilistico e petrolchimici esportazioni. Non sembra che l'Iran sarebbe in grado di ricevere l'oro come alternativa ai pagamenti del petrolio, ma costruire lo stock di oro nel paese contribuirebbe a consolidare il valore del rial iraniano. Inoltre, sarebbe stato consentito alcune riparazioni relative alla sicurezza per gli aerei civili iraniani.
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, può prendere queste misure per ordine esecutivo, rendendo la collaborazione del Congresso inutili. Ma l'accordo lascia sul posto il grosso delle sanzioni, che sarà una sorta di unguento per la Camera dei Rappresentanti e del Senato, che era stato recentemente abbaiare per nuove sanzioni che avrebbero in effetti tagliare le esportazioni iraniane a zero. Funzionari degli Stati Uniti hanno sottolineato che l'Iran sarebbe ancora in grado di accedere US $ 100 miliardi in valuta estera detenute all'estero e non sarebbe in grado di aumentare le sue vendite di petrolio ai livelli attuali di 1,1 milioni di barili / giorno.
Prospettive per l'economia solo leggermente meno dim
In definitiva, noi non crediamo che il rilievo delle sanzioni porterà ad un cambiamento radicale nella performance dell'economia iraniana. Quando la notizia della transazione è emerso, il rial rafforzato a circa IR29, 000: US $ 1 da oltre IR30, 000 sui mercati non ufficiali. Questo è ancora più debole rispetto al tasso di cambio ufficiale di circa IR25, 000: US $ 1, ma i tassi di cambio dual stanno iniziando a mostrare una maggiore convergenza.
Mentre le sanzioni petrolifere e finanziarie punitive resteranno in vigore, l'Iran avrà poca capacità di aumentare il volume o espandere le destinazioni delle sue esportazioni di petrolio greggio. Per facilitare le politiche verso le imprese dell'UE sottoscrizione carichi di petrolio iraniano, se questo è davvero ciò che è implicito nel contratto, gli acquirenti di petrolio iraniano troveranno il processo più semplice, ma questo è improbabile che sia sufficiente per incoraggiare maggiori importazioni.Notizia dell'accordo ha portato ad un calo del prezzo del Brent datato Miscela, in cui i mercati avevano costruito un premio di rischio politico strettamente legato alle sanzioni imposte nel 2012.
Un settore che beneficerà il modesto livello delle entrate del petrolio che sarà trasferita nel paese è conto fiscale dell'Iran. Stimiamo che l'Iran ha registrato un disavanzo di circa il 5% del PIL nel 2013/14 (21 marzo - 20 marzo). Con un tasso di cambio molto più debole, i flussi di entrate del petrolio aiuterà puntellare posizione fiscale dell'Iran, ma qualsiasi miglioramento delle capacità di spesa dei consumatori rimarranno inumidito con ancora alta inflazione.
L'Iran ha concesso più
Il governo iraniano sosterrà che il P5 +1 ha concesso una domanda a lungo termine dei negoziatori iraniani in impegnandosi a lavorare per un accordo a lungo termine che "permettere all'Iran di godere pienamente il suo diritto all'energia nucleare per scopi pacifici". La leadership iraniana sarà desideroso di ritrarre l'accordo come un backtrack dal P5 +1 dall'obbligo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che l'Iran congelare tutti arricchimento dell'uranio.
Il presidente iraniano, Hassan Rowhani, ha, tuttavia, fornito poco che è tangibile, e l'Iran ha offerto alcuni elementi sostanziali del suo programma nucleare. A Ginevra, il ministro degli Esteri iraniano, Mohammed Javad Zarif, ha detto che sperava che l'accordo porterebbe ad una "restaurazione" di fiducia tra l'Iran e gli Stati Uniti, e il sig Rowhani parlato in televisione iraniana di "crepe nella struttura delle sanzioni", che sarebbe diventato grande nel tempo.
Anche se l'accordo di Ginevra è stata immediatamente sostenuta da Ayatollah Ali Khamenei, il leader supremo, potrebbe rivelarsi controversa in Iran, tanto più che il processo si sviluppa nel corso del prossimo anno e la portata delle ispezioni nucleari diventa chiaro. Anche se l'intenzione espressa dei due lati è di trovare un accordo globale, ciò che può essere più probabile entro il lasso di tempo è un altro parziale, offerta limitata nel tempo. Tuttavia, maggiore ottimismo e brillanti aspettative in patria e all'estero possono essere tanto beneficio per l'economia iraniana, come l'allentamento immediato delle sanzioni.
Fonte Economic Intelligence UNit
(chi non desidera ricevre questo posto scriva a geografia 20123@libero.it