venerdì 27 dicembre 2019

Master 1° Livello UNICUSANO Roma Area Forze Armate


MASTER DI I LIVELLO
POLITICA MILITARE COMPARATA DAL 1945 AD OGGI
Dottrina, Strategia, Armamenti
Obiettivi e sbocchi professionali
Approfondimenti specifici caratterizzanti le peculiari situazioni al fine di fornire un approccio interdisciplinare alle relazioni internazionali dal punto di vista della politica militare, sia nazionale che comparata. Integrazione e perfezionamento della propria preparazione sia generale che professionale dal punto di vista culturale, scientifico e tecnico per l’area di interesse.
 Destinatari e Requisiti
Appartenenti alle Forze Armate, appartenenti alle Forze dell’Ordine, Insegnanti di Scuola Media Superiore, Funzionari Pubblici e del Ministero degli Esteri, Funzionari della Industria della Difesa, Soci e simpatizzanti dell’Istituto del Nastro Azzurro, dell’UNUCI, delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, Cultori della Materia (Strategia, Arte Militare, Armamenti), giovani analisti specializzandi comparto geostrategico, procurement ed industria della Difesa.
Durata e CFU
1500 – 60 CFU. Seminari facoltativi extra Master. Conferenze facoltative su materie di indirizzo. Visite facoltative a industrie della Difesa. Case Study. Elettronic Warfare (a cura di Eletronic Goup –Roma). Attività facoltativa post master
Durata e CFU
Il Master si svolgerà in modalità e-learnig con Piattaforma 24h/24h
Costi ed agevolazioni
Euro 1500 (suddivise in due rate); Euro 1100 per le seguenti categorie:
Laureati UNICUANO, Militari, Insegnanti, Funzionari Pubblici, Forze dell’Ordine
Soci dell’Istituto del Nastro Azzurro, Soci dell’UNUCI
Possibilità postmaster
Le tesi meritevoli saranno pubblicate sulla rivista “QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO”
Possibilità di collaborazione e ricerca presso il CESVAM.
Conferimento ai militari decorati dell’Emblema Araldico
Conferimento ai più meritevoli dell’Attestato di Benemerenza dell’Istituto del Nastro Azzurro
Possibilità di partecipazione, a convenzione, ai progetti del CESVAM
Accredito presso i principali Istituti ed  Enti con cui il CESVAM collabora
Contatti
06 456 783 dal lunedi al venerdi 09,30 – 17,30 unicusano@master
Direttore del Master: Lunedi 10,00 -12,30  -- 14,30 -16

ISTITUTO DEL NASTROAZZURRO                                                         UNIVERSITA’ NICCOL0’ CUSANO
CESVAM – Centro Studi sul Valore Militare                                       www.unicusano.it/master
www.cesvam.org  - email:didattica.cesvam@istitutonastroazzurro.org



martedì 5 novembre 2019

Master 1° Livello UNICUSANO Roma Annuncio


Avviato il Mater di 1° Livello presso la UNICUSANO Roma
 In Politica Militare Comparata
dal 1945 ad oggi
 Dottrina Strategia Armamenti


giovedì 25 luglio 2019

I Combattenti Venuti da Fuori 2°


FOREIGN FIGHTER
 Eros La Rocca




I “foreign fighters” hanno una lunga tradizione nella storia delle guerre, a partire dalle crociate ad oggi.
Il principe turco Orhan I, comandante di una guarnigione islamica che era in protezione del fianco meridionale della capitale dell’Impero romano d’Oriente, nei giorni dell’assedio del maggio 1453, è l’archetipo del foreign fighter. Questi difatti, non è né un mercenario, né un coscritto, ma uno studioso ed un amante della civiltà bizantina.
Durante la guerra civile spagnola[1], uomini e donne viaggiarono dal Nord e Sud America, Nord-Africa, Europa e Australia per combattere in entrambi i lati del conflitto. Alcune di queste persone si unirono a uno dei reparti più famosi, la Brigata Internazionale, costituita da gruppi di volontari stranieri, in appoggio all'esercito della seconda repubblica spagnola, per combattere nella guerra civile spagnola le forze nazionaliste comandate dal Generale Francisco Franco.
Per arrivare ai giorni nostri, è lecito ricordare che “combattenti stranieri” sono anche i miliziani di Hezbollah e i volontari iraniani che contrastano Jabat al-Nusra[2] in Siria. Hezbollah è un’organizzazione libanese di matrice iraniana nata nel 1982 come milizia durante il conflitto del Libano meridionale. I suoi leader si ispirarono all’Ayatollah Khomeini[3].
La guerra in Afghanistan avvenuta tra il 1979-1989 è quella che più ha caratteristiche simili a ciò che sta accadendo attualemente.
Nel contesto della guerra fredda, l’Afghanistan attuò nel dopoguerra una politica estera distante dai due blocchi, cercando di ristabilire delle frontiere ufficiali al confine con URSS e Cina, e al sud con il neonato Pakistan. Dal punto di vista interno l’instabilità politica provocò numerosi cambi di regime fino a quando l’URSS, il 27 dicembre del 1979, condusse un intervento militare e impose come primo ministro B. Karmal[4].
I paesi del blocco occidentale, “invitarono” gli afghani a dichiarare la “jihad” contro l’invasore russo, cosicché giovani musulmani provenienti dal Medio-Oriente si recarono in Afghanistan per combattere una parte di guerra fredda in delega al posto delle super potenze. Il rappresentante più conosciuto fu Abdullah Azzam[5], che viene ancora oggi riconosciuto come padre dei combattenti islamici transnazionali[6]. Gli oppositori si organizzarono in gruppi armati conosciuti come mujaheddin[7], e al contempo sostenuti dal presidente statunitense J. Carter che approvò l’invio di aiuti bellici ed economici a questi gruppi.
I mujaheddin al loro interno erano composti da un’ala moderata e una fondamentalista, quest’ultima influenzata dal vicino Pakistan, nella quale fece la sua apparizione O. bin Laden, tra i maggiori organizzatori e finanziatori di questi combattenti.
La ritirata dell’URSS dopo 10 anni di guerra lasciò quel territorio immerso in una profonda ideologia jihadista che aprì le porte al regime dei talebani, nel quale individui come Osama Bin Laden e altri avrebbero vissuto per anni.
Molti uomini di ritorno dalla jihad afghana crearono il primo nucleo del jihadismo europeo tra la fine degli anni Ottanta e inizio anno Novanta. Di origine medio-orientale e nord-africana, dopo aver richiesto asilo politico all’occidente, cominciarono a radicalizzarsi e a mobilitarsi per essere ingaggiati in azioni violente, usando l’Europa come base logistica per condurre propaganda, reclutare neofiti, e raccogliere fondi per le loro attività, osservati con poca attenzione e interesse dall’intelligence europea.
Questi gruppi dirigevano le loro attenzioni verso i regimi dei paesi d’origine o Israele,  la violenza verso i paesi che li accoglievano iniziò quando questi gruppi riconobbero i diversi paesi europei come parte attiva e partecipante dei conflitti nel mondo arabo.
Una nuova fase per il jihadismo si ebbe a metà degli anni Novanta quando Bin Laden e al-Zawahiri[8] generarono al-Qaeda in Afghanistan, e l’inizializzazione quindi di un islamismo paramilitare, sviluppatosi nei campi addestrativi afghani, ceceni, del kashmir, bosniaci e in alcune moschee europee.
Lo Stato Islamico si sviluppa nella sua forma primitiva nel 2006 in Iraq conosciuto come ISI (Islamic State in Iraq) nato dalla successione di AQI (al-Qaeda in Iraq). Il proselitismo venne incanalato sfruttando il malcontento nei confronti del governo centrale iracheno, con a capo lo sciita Nuri al-Maliki, accusato di discriminazione nei confronti della popolazione sunnita, contribuendo all’arruolamento delle maggiori tribù sunnite irachene alla causa jihadista. Il ritiro delle truppe statunitensi, deciso dall’ex presidente Barack Obama, avrebbe favorito l’adesione di ex militari dell’era Hussein alla causa del Califfato, che grazie al loro addestramento all’uso di sistemi d’arma, alle conoscenze strategiche e la pianificazione e condotte di operazioni militari avrebbero contribuito ai rapidi successi militari
Dopo un susseguirsi di leadership si arriva fino ad Abu Bakr al Baghdadi, che diviene nel 2014 il vero fondatore del gruppo terroristico in Siria, luogo in cui ISI si estenderà in seguito alla guerra civile, venendo riconosciuto come ISIS (Islamic State in Iraq and Siria). Grazie alle sue innumerevoli vittorie militari, tra cui la conquista delle provincie che costeggiano l’Eufrate, è riuscito a ribaltare i rapporti di forza con al-Qaeda, disconoscendo la sua originaria forma, e rinnegando le sue origini jihadiste.
Sin dal principio questo gruppo ha ricevuto grande consenso e adesioni soprattutto grazie alla sua capacità propagandistica, sviluppata con strutture concettuali simili a quella occidentali, pubblicando sui loro canali video in alta definizione e con tecniche di montaggio affinate, riuscendo a divulgare on-line persino una rivista, “Dabiq”, che come impaginazione ricorda molto il “Time”. Tutto questo fa comprendere il grande contributo dei foreign fighter alla causa del Califfato.
In Siria le proteste contro il Presidente Bashar al-Assad iniziarono il 15 marzo del 2011 a Dar’a, città a sud di Damasco, in segno di protesta contro un governo che durava da quarant’anni. In realtà inseriti nella rivolta c’erano anche dei facinorosi che provocarono violenze e diedero fuoco alla sede del partito Baath. Le rivolte si estesero fino alle zone rurali dove la presenza dello Stato era meno marcata, raggiungendo città come Hama, Homs, Deir al-Zor, fino a giungere un anno dopo anche Damasco, e provocando in totale migliaia di morti.
Le ramificazioni di ISIS lavorano per esacerbare tensioni settarie esistenti in diverse località sfruttando governi deboli e politiche economiche fragili. Questo è quello che sta accadendo in Libia.



[1] Conflitto svoltosi tra il luglio del 1936 e l’aprile del 1939 tra i nazionalisti fautori dell’insurrezione militare ai danni della Repubblica spagnola, e i repubblicani composti da truppe fedeli al Governo legittimo.
[2] Noto come “Fronte del soccorso al popolo della Grande Siria” è un gruppo armato jihadista salafita nato nel 2012 nel ambito della guerra civile siriana. Affiliato ad al-Qaeda fino al 2016, quando il loro leader, al-Jawlani ne annunciò la scissione.
[3] Capo spirituale e politico iraniano dal 1979 al 1989. Il suo Governo si ispirava alla religione islamica sciita duodecimana, legato ad un orientamento fondamentalista; fu lui il fautore della “Rivoluzione Islamica” che portò alla nascita dei “Pasdaran” (composta da 120.000 uomini suddivisi in forze di terra, acqua e aria e milizie volontarie di giovani ragazzi) nati per proteggere questa e assistere i religiosi, appena giunti al potere, nell’applicazione di nuovi codici e moralità.
[4] Uomo politico afghano, fondatore del Partito Democratico Popolare.
[5] Di origine giordano-palestinese, fu uno dei primi ad elaborare la strategia del jihad moderna, usò l’invasione sovietica dell’Afghanistan come pretesto per incitare alla guerra santa.
[6] Attori globali in concorrenza con Stati e istituzioni. Sono non-territoriali e decentrati, la loro caratteristica è la non-identificabilità, in quanto operano in segreto e in modo imprevedibile; i loro bersagli sono altresì ignoti.
[7] Indica il “combattente impegnato nella jihad”.
[8] Terrorista egiziano, divenuto capo di al-Qaeda inseguito alla morte di O. bin Laden.

martedì 16 luglio 2019

Tesi Aureli Murianni

La tesi è disponibile alla
 Emeroteca del
 CESVAM - Centro Studi sul Valore Militare
 Istituto del Nastro Azzurro 
(centrostudiceasvam@istitutonastroazzurro.org)
previo assenso del Candidato

domenica 30 giugno 2019

Tesi: Valerio Chirri

La tesi è disponibile alla
 Emeroteca del
 CESVAM - Centro Studi sul Valore Militare
 Istituto del Nastro Azzurro 
(centrostudiceasvam@istitutonastroazzurro.org)
previo assenso del Candidato

venerdì 28 giugno 2019

.Il ritorno alla vocazione internazionalistica dell'IS


Matteo Bortolani


Sono in molti negli ultimi giorni a festeggiare la sconfitta dell'IS a Baghouz, in Siria, ma non tutti hanno accolto con gioia questo annuncio.

In particolare tutti quei miliziani che sono scappati in altri paesi, quelli che stazionano nei campi profughi siriani immischiandosi alla popolazione civile e i temuti Foreign Fighters su cui l'intelligence occidentale dedica la maggior parte delle sue attenzioni.

Se la sicurezza passiva dei vari stati europei è ben rodata per quel che riguarda i volti più  o meno conosciuti del terrorismo siriano e mediorientale, desta più preoccupazione l'esodo dei radicalizzati  alla ricerca di nuove opportunità nello scenario mondiale e questo rappresenta un alto potenziale di rischio per i paesi di destinazione.

La Libia è uno di quelli scenari attrattivi per nuovi e vecchi appartenenti alle file jihadiste, è importante notare come l'LNA (Libyan national army) di Khalifa Haftar si stia impegnando nel Fezzan negli ultimi tempi.  L'attenzione è molta e rappresenta grande preoccupazione per lo state-building di Haftar, per giustificare manovre militari così ampie.

Il comportamento in generale del modus operandi dell'IS libico è cambiato di molto, passando dalla fase statuale di Derna 2016, per ridimensionarsi in cellule e piccole cittadine nel deserto e adottare tecniche da “state-like” a “guerrilla warfare”. Come evidenzia il rapporto del recente dossier statunitense, del Centro antiterrorismo di West Point, che ha pubblicato nei giorni scorsi, un rapporto sull’ “attivazione dell’organizzazione dello Stato islamico in Libia e sulla guerra di logoramento scoppiata dopo il 2016”.

La struttura mostra un'ammirabile componente di “adattability” che amplia il concetto di pericolosità, quindi il passaggio all'insurgency vera e propria ri-alimenta il problema che ha afflitto i paesi occidentali, ovvero la counterinsurgency. Difficile da combattere, prevederne l'evoluzione ed impedire l'afflusso di nuove reclute, tanto più quando questa colpisce paesi già distrutti come la Libia, come abbiamo visto con gli attentati terroristici del 2017-2018 alle istituzioni centrali a Tripoli.

Il nuovo ISBS, al centro tra Libia, Ciad e Niger sta attuando una guerra di logoramento ad alto potenziale e basso costo, ha impiegato attacchi con scariche a basso costo (nel deserto) e attacchi spettacolari (sulla costa). Le fonti di finanziamento rimangono il contrabbando e il traffico di migranti oltre che una parte (non quantificabile) delle ricchezze rimaste da Sirte.

Questo rimodellamento implica naturalmente nuove preoccupazioni in ambito analitico, poiché se il mondo vede con preoccupazione/attenzione la riunificazione della Libia, al momento lontana, la riorganizzazione in “Insurgency – Terrorism” può rappresentare una problematica tanto più ampia, quanto questa è collegata col traffico di migranti, e l'esodo di jihadisti verso l'Europa deve mantenere alta l'allerta.


Ricercatore Cesvam, Dott. Matteo Bortolamiiche da “state-like” a “guerrilla warfare”. Come evidenzia il rapporto del recente dossier statunitense, del Centro antiterrorismo di West Point, che ha pubblicato nei giorni scorsi, un rapporto sull’ “attivazione dell’organizzazione dello Stato islamico in Libia e sulla guerra di logoramento scoppiata dopo il 2016”.

La struttura mostra un'ammirabile componente di “adattability” che amplia il concetto di pericolosità, quindi il passaggio all'insurgency vera e propria ri-alimenta il problema che ha afflitto i paesi occidentali, ovvero la counterinsurgency. Difficile da combattere, prevederne l'evoluzione ed impedire l'afflusso di nuove reclute, tanto più quando questa colpisce paesi già distrutti come la Libia, come abbiamo visto con gli attentati terroristici del 2017-2018 alle istituzioni centrali a Tripoli.

Il nuovo ISBS, al centro tra Libia, Ciad e Niger sta attuando una guerra di logoramento ad alto potenziale e basso costo, ha impiegato attacchi con scariche a basso costo (nel deserto) e attacchi spettacolari (sulla costa). Le fonti di finanziamento rimangono il contrabbando e il traffico di migranti oltre che una parte (non quantificabile) delle ricchezze rimaste da Sirte.

Questo rimodellamento implica naturalmente nuove preoccupazioni in ambito analitico, poiché se il mondo vede con preoccupazione/attenzione la riunificazione della Libia, al momento lontana, la riorganizzazione in “Insurgency – Terrorism” può rappresentare una problematica tanto più ampia, quanto questa è collegata col traffico di migranti, e l'esodo di jihadisti verso l'Europa deve mantenere alta l'allerta.

Ricercatore Cesvam, Dott. Matteo Bortolami

sabato 1 giugno 2019

Tesi Elena Scafati


La tesi è disponibile alla
 Emeroteca del
 CESVAM - Centro Studi sul Valore Militare
 Istituto del Nastro Azzurro 
(centrostudiceasvam@istitutonastroazzurro.org)
previo assenso del Candidato

martedì 21 maggio 2019

Tesi. Dott. La Russa



La tesi è disponibile alla
 Emeroteca del
 CESVAM - Centro Studi sul Valore Militare
 Istituto del Nastro Azzurro 
(centrostudiceasvam@istitutonastroazzurro.org)
previo assenso del Candodato

giovedì 16 maggio 2019

I Combattenti venuti da fuori


FOREIGN FIGHTER
 Eros La Rocca
I Foreign Fighter sono combattenti transnazionali appartenenti politicamente a Nazioni terze, che partecipano ad un conflitto armato in atto in territorio diverso dal proprio, e che si uniscono a insorti appartenenti a quest’ultimo Stato durante un conflitto civile, confluendo e operando entro i margini di un insorgenza[1], provocata da un vasto e profondo vuoto sociale, avendo legami con le fazioni in lotta, però senza un affiliazione diretta ad un organizzazione militare e senza ricevere una remunerazione.
I primi a parlare dei foreign fighters in ambito internazionale sono stati i membri dello ICCT[2] nel settembre del 2012 mostrando come il numero dei combattenti subisse un incremento nel conflitto siriano, e come questo fenomeno apportava un processo di radicalizzazione più veloce sui combattenti locali anti-governativi.
Nel giro di un anno, nel febbraio del 2013, l’ICSR[3] completa uno studio[4] nel quale sottolinea che il fenomeno si stava estendendo a sempre più paesi occidentali, e sarebbe continuato a crescere, diventando in futuro una grave problematica che avrebbe colpito gli stessi paesi dai quali provenivano i combattenti.
Il Segretario di Stato Britannico per gli Esteri e per gli Affari del Commonwealth, William Hague, evidenziava il pericolo potenziale di quello che stava accadendo, poiché riteneva che questi individui addestrati in Siria, avrebbero tentato, una volta terminato il conflitto medio-orientale, la condotta di attacchi su obiettivi di interesse occidentale in medio-oriente, o negli stessi Stati d’origine.
Nel dicembre del 2013 l’ICSR pubblica un secondo studio[5] nel quale era riportato che il numero dei “FF” aveva raggiunto le 11.000 unità, confermando la provenienza dai paesi Occidentali.
Nel giugno 2014 un rapporto[6] del “Soufan Group[7] aveva rivelato che altri 12.000 combattenti avevano raggiunto la Siria, e che 3.000 di questi in seguito avevano fatto ritorno nei paesi occidentali.
La cosa più allarmante è che, una volta tornati dal conflitto, questi combattenti avrebbero tentato di unirsi a gruppi che ostentavano una propensione alla violenza e all’estremismo.
Capire da che parte del mondo provengano i diversi combattenti stranieri è un compito ostico a causa della tendenza di questi ad offuscare la loro vera identità a causa della natura clandestina della loro attività, e diventa cosi problematico capire le provenienze e lo studio di questo fenomeno. Sono musulmani o neo convertiti, con cultura diversitficata e con legami di vario genere con la regione geografica in conflitto.
Un rapporto iniziale[8] del giungo del 2014 stimava il numero dei “FF” presenti in Siria e unitisi dal 2011 a ISIL, Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham[9], approssimativamente di 12.000 unità, provenienti da 81 paesi; la stessa fonte stimava a fine del 2015 che questi passavano a 30.000 da 86 paesi, fino a raggiungere il 2016 con 42.000 reclutati, palesando che questo fenomeno non è solo numerico ma anche di natura globale, toccando numeri mai raggiunti da nessun altro conflitto dalla guerra afghana degli anni ’80. La maggior parte di questi sono mediorientali e circa 4.000 europei.
In Russia il fenomeno ha avuto una crescita esponenziale passando da 800 nel 2014, a 3.400 nel settembre 2016; la maggior parte provenienti dalla Cecenia e dal Daghestan; sarebbero 5.300 quelli proveniente dalle ex repubbliche sovietiche.
Tra il Nord-Africa e il Medio-Oriente i numeri aumentano vertiginosamente, si parla di 14.000 combattenti, di cui il maggior contribuito è fornito dalla Tunisia con 4.000, e segue l’Arabia Saudita con 3.200, Giordania 3.000, Marocco 1.500, Libano 900, Libia 600, Egitto 600, Algeria 200.
Anche la Turchia ha contribuito con 2.100 combattenti, di cui molti sono tornati nella madrepatria, e 500 di questi sono stati già arrestati per la loro adesione a ISIL, e 100 per aver combattuto con Jabhat al-Nusra.
Il Sud-Est asiatico non è immune da questo fenomeno, e in accordo con le fonti ufficiali Indonesiane si passerebbe dai 45 combattenti nel 2014 a 700 nel 2015.
Usa e Canada rimarrebbero stabili dal 2014, e secondo fonti dell’FBI sono 150 gli americani che hanno viaggiato fino in Siria, mentre 100 sarebbero stati arrestati nel tentativo, mentre sarebbero 130 i canadesi che avrebbero intrapreso lo stesso viaggio.
Da ricerche effettuate[10] il numero di “FF” proveniente dall’Europa si aggira nel 2015 intorno ai 4.000 soggetti, e di questi 3.000 sono provenienti da soli quattro paesi: Gran Bretagna, Germania, Francia e Belgio. Proprio quest’ultimo paese è un caso anomalo poichè colpito da diversi attentati e quello con un più alto numero di “FF” in rapporto alla popolazione, cioè 41 per milione di abitanti.
Il paese europeo con il più alto numeri di combattenti è con 1000 individui la Francia, di cui 246 ritornati nel paese; dalla Germania 800 di cui 250 tornati; dal Regno Unito 800 e più della metà è rientrata; dal Belgio 450 di cui 100 sono rientrati.
Dall’Austria 300 persone; 300 dalla Svezia; dall’Olanda 220 con 40 ritorni; 204 persone dalla Spagna con 25 rientri; 125 dalla Danimarca, di cui fanno parte anche diversi di origine danesi convertitisi all’Islam; dall’Italia 125 foreign fighters; 70 dalla Finlandia; 30 rispettivamente dall’Irlanda e Polonia; 10 dal Portogallo; 6 rispettivamente dal Lussemburgo e Slovacchia; 5 dalla Bulgaria; 3 dalla Slovenia; 2 dall’Estonia; Lettonia e Croazia 1 persona.
Dei 4.000 foreign fighter europei il 14% sono deceduti in combattimento, il 23% è costituito da neo-convertiti all’Islam, di cui molti inoltre hanno subito una radicalizzazione estremamente rapida, e il 17% sono donne.
Secondo l’Europol i potenziali terroristi rientrati nel 2016 negli Stati adottivi sono da considerarsi una minaccia alla sicurezza e sono il 30%, cioè circa 1.200[11].
Un dato che spicca è che molti di questi provengono dai medesimi quartieri urbani europei, suggerendo cosi che i flussi dei combattenti siano gestiti da network locali pre-esistenti, composti principalmente da cerchie di amici o famigliari, conoscenti radicalizzati che vivono in contesti condivisi.
Un fattore che risalta è che la maggior parte dei provenienti dall’Europa non hanno una base militare pregressa; questi infatti una volta arrivati in Siria vengono sottoposti ad una fase addestrativa della durata di 45 giorni, a differenza dei combattenti provenienti dai paesi arabi, dal Caucaso e dall’Asia che già arriverebbero in possesso di una preparazione di base. Ad alcuni occidentali sarebbe stato impedito di partecipare ai combattimenti esattamente per la loro scarsa preparazione militare, venendo reimpiegati in incarichi di supporto e logistica.
Al fine di integrare queste informazioni bisogna evidenziare il fatto che hanno partecipato al conflitto dei veterani reduci dell’Afghanistan, Pakistan, Iraq, Somalia, Cecenia, Bosnia, Libia e Irlanda, contribuendo fattivamente all’innalzamento dello standard operativo generale.


[1] Combattimento armato entro i confini di un’entità sovrana riconosciuta tra parti soggette a comune autorità all’inizio delle ostilità
[2] International Center for Counter-Terrorism – The Hague. The Foreign Fighters Phenomenon in the European Union
[3] International Centre for the Studi of Radicalization and Political Violence
[4] #Greenbirds: Measuring Importance and Infuence in Syrian Foreign Fighter Networks
[5] Up to 11.000 foreign fighters in Syria; steep rise among Western Europeans-  17th December 2013
[6] Beyond The Caliphate: Foreign Fighters and the Threat of Returnees
[7] Gruppo che fornisce servizi a organizzazioni governative e multinazionali relative a sicurezza strategica e intelligence
[8] Foreign Fighters in Syria -  Richard Barrett,Senior Vice President of The Soufan Group. June 2014
[9] Gruppi armati jihadisti salafiti attivi dal 2012, nel contesto della guerra civile siriana
[10] Centro Studi Internazionali: Identikit Dei Foreign Fighters Europei, 22 Marzo 2017 - Luca Bregantini
[11] Dati forniti dall’ International Center for Counter-Terrorism dell’Aja


giovedì 18 aprile 2019

Festa del Libro Ebraico,

Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah - MEISHOP
Via Piangipane, 81 - Ferrara
PROFILI DI EBREI ITALIANI (incontri a ingresso gratuito)
9.30 Gabriella Steindler MoscatiLa mia vita incisa nell’arte. Una biografia di Emma Dessau Goitein(Mimesis, Milano, 2018). L'autrice ne parla con la storica dell'arte Martina Corgnati

10.15 Marcella FilippaRita Levi Montalcini. La signora delle cellule (Pacini Fazzi, Lucca, 2018). L'autrice ne parla con il genetista e scrittore Guido Barbujani

11.00 Marta NicoloUn impegno controcorrente: Umberto Terracini e gli ebrei, 1945-1983 (Zamorani, Torino, 2018). L'autrice ne parla con Fausto Ciuffi, Direttore della Fondazione Villa Emma

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DUE CASI LETTERARI
(incontri a ingresso gratuito)
11.30 Giovanni GrassoIl caso Kaufmann (Rizzoli, Milano, 2019). L’autore ne parla con la storica Anna Foa

12.30 Alain ElkannAnita (Bompiani, Milano, 2019). L'autore ne parla con il critico d'arte Vittorio Sgarbi

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LIBRI PROIBITI (ingresso gratuito)
Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah - Giardino delle Domande
Via Piangipane, 81 - Ferrara
15.30 Inaugurazione dell’installazione dell’artista Manlio Geraci, a cura di Ermanno Tedeschi: 774 libri bruciati rappresentano i 774 deportati ad Auschwitz che partirono dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano con il primo convoglio

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il Teatro Comunale apre al pubblico alle 16.30
DAVID GROSSMAN: IL MIO RAPPORTO CON LA LINGUA E I TESTI EBRAICI
Conversazione con Simonetta Della Seta (ingresso gratuito)
Teatro Comunale di Ferrara
Corso Martiri della Libertà, 5 - Ferrara
17.00 Lo scrittore israeliano rivela come dalla lingua ebraica nascano i suoi personaggi (intervento in lingua inglese con traduzione)

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MEIS APERTO NON-STOP 9.00-18.00
Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah
Via Piangipane, 81 - Ferrara
In occasione della Festa del Libro Ebraico, il MEIS è aperto fin dalle 9.00.
Visite guidate alla mostra Il Rinascimento parla ebraico e al percorso espositivo Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni partiranno in questi orari: 10.00, 12.00, 14.00 e 16.00. È gradita la prenotazione al numero 0532 1912039. Il costo della visita è di 5,00 € più il prezzo del biglietto di ingresso.
A introdurre il pubblico ai temi del MEIS, lo spettacolo multimediale Con gli occhi degli ebrei italiani.
Da non perdere, anche i totem de Lo Spazio delle Domande, il Giardino delle Domande, che aiuta a comprendere le regole della casherut, e il docufilm Eravamo Italiani, con le testimonianze dei sopravvissuti italiani alla Shoah
La Festa del Libro Ebraico è organizzata in collaborazione con il Teatro Comunale di Ferrara e con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Ferrara, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e della Comunità Ebraica di Ferrara