lunedì 28 settembre 2020

Il Caucaso: ul altra area instabile che preoccupa.

 

La miccia del Karabakh e la polveriera del Caucaso




Il conflitto che nel Caucaso meridionale si protrae da trent’anni vedendo contrapposti Armenia ed Azerbaigian è entrato in nuova fase attiva nelle ultime settimane. La crisi odierna che riguarda il Nagorno-Karabakh è la più grave dal 1993-94, e in relazione al contesto regionale rischia di aggravarsi ulteriormente.

 

Quella del Nagorno-Karabakh è una delle tante guerre innescate dal crollo dell’Unione Sovietica e dalla sua onda lunga. Tra le ragioni che hanno prodotto questa nuova crisi ci sono sia elementi geopolitici che identitari. Venendo meno il multiculturalismo di cui l’Unione Sovietica si faceva giocoforza garante, le tendenze all’esasperazione identitaria ‒ nazionalista o religiosa ‒ hanno avuto la meglio sulla convivenza pacifica tra culture diverse.

 

Oggi l’Artsakh è una sorta di protettorato armeno de facto indipendente dal 1992, privo di riconoscimento internazionale e rivendicato dall’Azerbaigian. Si trova in territorio quasi del tutto montuoso, con una superficie pari grossomodo a quella dell’Abruzzo, abitato da circa 150 mila persone, in larga maggioranza armeni. Gli azeri, sostenendo le proprie rivendicazioni a partire dall’appartenenza della Repubblica Autonoma del Nagorno-Karabakh alla ex Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian, denunciano che negli ultimi decenni molte famiglie azere siano state allontanate dall’Artsakh. Gli armeni, dal canto loro, sostengono che la cessione dell’Artsakh all’Azerbaigian favorirebbe le strategie panturche conducendo l’Armenia ad un nuovo Medz Yeghern (l’espressione con cui gli armeni si riferiscono al genocidio del 1915-16).

 

Il conflitto tra Armenia ed Azerbaigian si è riacceso a neppure ventiquattro ore dalla conclusione delle esercitazioni “Kavkaz 2020” ‒ svoltesi nella porzione meridionale della Federazione Russa compresa tra il Mar Nero, il Caucaso del Nord ed il Mar Caspio e condotte congiuntamente dalle forze armate russe, cinesi, bielorusse, iraniane, armene, pakistane e birmane: ben 80 mila gli uomini complessivamente impiegati. Negli ultimi mesi la Turchia ha consegnato all’Azerbaigian droni, missili ed altro armamento oltre ad aver organizzato esercitazioni congiunte tra proprie forze armate e quelle di Baku. Circa 1000 miliziani della “divisione Hamza” sarebbero stati trasferiti dalla Siria all’Azerbaigian con il sostegno turco. Questi ultimi, secondo l’ambasciatore armeno a Mosca Vardan Toganian, sarebbero addirittura 4 mila.

 

L’arrivo – ormai accertato – dei miliziani d’ispirazione jihadista rappresenta una questione assai seria. La loro presenza tra le file azere potrebbe rivelarsi un problema per la stabilità dello stesso Azerbaigian, che come la Federazione Russa a partire dagli anni Novanta si è trovato a dover fare i conti con il fenomeno della radicalizzazione islamica. Ad aggravare il quadro, c’è il confine settentrionale con il Daghestan, la turbolenta regione autonoma della Federazione Russa che rimane tutt’oggi una delle regioni della galassia postsovietica più interessate dalla violenza di ispirazione jihadista.

 

L’oltranzismo della Turchia, principale sostenitrice di Baku, sembra addirittura più intransigente di quello azero e nient’affatto propenso al compromesso. L’Armenia, verso Oriente, rappresenta uno dei principali ostacoli ai progetti sulla scorta dei quali si muovono le strategie di Ankara. Al di là delle responsabilità militari di entrambe le parti, l’Armenia si trova in una condizione di oggettivo svantaggio. Con un terzo degli abitanti dell’Azerbaigian – circa 3 milioni contro circa 10 milioni – l’Armenia ha un’economia che vale grossomodo un quarto di quella azera – con un PIL da circa 12 miliardi di dollari contro un PIL da 46 miliardi di dollari.

 

Il neottomanesimo ed il panturchismo che connotano la politica di Erdoğansembrano da leggersi in stretta correlazione con la fase di crisi strategica con cui gli Stati Uniti si trovano a dover fare i conti, soprattutto nel Vicino Oriente. Certamente negli ultimi anni i contrasti tra Ankara e Washington non sono mancati: tuttavia, dal Mediterraneo orientale allo Xinjiang, così come dal Corno d’Africa al Caucaso, le proiezioni di Ankara appaiono complementari alla strategia di contenimento antirussa e anticinese promossa dagli Stati Uniti.

 

Ad apparire verosimile è il nesso tra le nuove tensioni del Caucaso e la strategia di Ankara verso Oriente ‒ “Asia Anew” ‒ presentata lo scorso dicembre dal ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu. Lo stesso Çavuşoğlu, alcune settimane fa aveva addirittura ventilato la possibilità di un intervento diretto di Ankara in sostegno alle truppe di Baku.

 

Il significato delle recenti dichiarazioni del segretario di Stato Mike Pompeo in favore di Erevan si può rintracciare nell’intento da parte dell’amministrazione Trump di non mettersi contro la comunità armena presente negli Stati Uniti, specie all’alba della tornata elettorale. Nel disegno strategico di Washington il fattore turco si pone come un elemento di controllo indiretto ‒ sul Mediterraneo, sull’Heartland e sul Rimland ‒ e di pressione sui rivali di Pechino e di Mosca.

 

Il primo cessate il fuoco, mediato dal ministro degli Esteri della Federazione Russa e sottoscritto dai suoi omologhi di Armenia ed Azerbaigian, non ha retto. A distanza di una settimana dall’entrata in vigore del primo, ne è stato sottoscritto un nuovo mediato dal Gruppo di Minsk, la cui tenuta è stata risibile, con reciproci scambi di accuse tra le parti. Dopo di questo, è stato sottoscritto un terzo accordo per il cessate il fuoco, mediato e sostenuto dagli Stati Uniti ed entrato in vigore dalla mattina del 26 ottobre.

 

Per Mosca la necessità di mantenere una sostanziale equidistanza tra Baku ed Erevan è più complicata che negli scorsi decenni. E non solo per il cordone ombelicale che lega l’Armenia alla Federazione Russa o per la presenza stabile di migliaia di militari russi in territorio armeno.

Nel nuovo Grande gioco per l’egemonia sul Caucaso e sull’Asia Centrale pesano il ruolo degli attori regionali – come la Turchia – così quello delle altre crisi postsovietiche – Bielorussia, Ucraina e Kirghizistan – che Mosca si trova a dover fronteggiare simultaneamente.

 

Mancando i presupposti concreti per una soluzione politica, la risoluzione del conflitto del Karabakh resta lontana. Mentre sul fronte del Karabakh si continuano a registrare combattimenti si attende un nuovo vertice moscovita tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e quello azero Ilham Aliyev, a cui starebbe lavorando la diplomazia del Cremlino.

domenica 20 settembre 2020

UN conflitto a bassa intensita che riprende vigore

 


Nagorno Karabakh: la scintilla che infiamma il Caucaso meridionale

 

Il 27 settembre sono ripresi gli scontri armati tra Armenia e Arzebagian lungo la linea di contatto tra il Nagorno-Karabakh e l'Azerbaigian. L’enclave del Nagorno-Karabakh (Il termine nagorno significa montuoso in lingua russa; kara vuol dire nero in turco, mentre bağ significa sia giardino in persiano che vite in turco), e’ situata all’interno del territorio dell’Azerbaigian con un estensione di 11.500  chilometri quadrati ed una popolazione di circa 140.000 abitanti tra armeni cristiani e turchi azeri. La storia del Nagorno-Karabakh e’ recente, a seguito della fine della guerra russo-persiana del 1804-1813  e del trattato di pace stipulato tra l'impero russo e l'impero persiano firmato il 24 ottobre 1813 nel villaggio di Golestan, nel Karabakh la Persia cedette la provincia di Arran ai Russi, ponendo le basi della formazione dell’attuale Repubblica dell’Azerbaigian. Dopo la rivoluzione russa del 1917, il Karabakh fu inglobato nella Federazione Transcaucasica, che ben presto si divise tra Armenia, Azerbaigian e Georgia. Il territorio del Nagorno Karabakh venne rivendicato sia dagli armeni (che all'epoca costituivano il 98% della popolazione) sia dagli azeri e per volere di Stalin, dopo la conquista bolscevica del 1920, il territorio venne assegnato all'Azerbaigian,  il governo sovietico la istituì come oblast autonomo a maggioranza armena e il Nagorno-Karabakh divenne così un'enclave di minoranza all'interno dell'Azerbaigian. Nel febbraio del 1988, il Parlamento del Karabakh decise di chiedere l’annessione all’Armenia; con il crollo dell’Unione Sovietica le violenze aumentarono, il 2 settembre 1991, la regione si autoproclamò indipendente e, il 10 dicembre 1991, ci fu un referendum a cui seguì un conflitto che arrivò ad un momentaneo accordo di cessate il fuoco il 12 maggio 1994 ed agli armeni rimase il controllo del Karabakh. L'autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh ha dichiarato la sua indipendenza all'inizio del 1992 e da allora ha tenuto diverse elezioni indipendenti, nonché un referendum del 2006 che ha approvato una nuova costituzione. L'Azerbaigian ha dichiarato queste azioni illegali secondo il diritto internazionale e ad oggi l'indipendenza dell'autoproclamata nazione enclave non è stata riconosciuta a livello internazionale.

Quella odierna è senza dubbio una fase molto pericolosa del conflitto che in una settimana ha avuto una preoccupante escalation con bombardamenti e lancio di missili e un numero crescente del numero dei morti e feriti. Da sottolineare inoltre le posizioni di Turchia e della Russia alla luce del sostegno della Turchia all'Azerbaigian e della Russia che mantiene un’alleanza militare con l’Armenia, dove esiste una base russa. Sostenendo con forza l’Azerbaigian, la Turchia potrebbe cambiare gli equilibri e costringere la Russia a farsi coinvolgere più di quanto non vorrebbe.

Con una posta in gioco alta così alta, le Nazioni Unite hanno tenuto una riunione di emergenza sulla questione e sono già in corso contatti diplomatici separati tra i belligeranti e Russia, Turchia e altri. Da considerare che anche qualora si raggiungesse un cessate il fuoco, rimarrebbe il problema di come risolvere una questione che coinvolge profondamente le identità sia degli armeni che degli azeri.

 

Antonio Trogu    trogant@libero.it

 

domenica 6 settembre 2020

Report 2019-2020 Blog Medio Oriente

deserto in Istraele


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 Politica Militare Comparata. dal 1960 ad oggi
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