giovedì 31 dicembre 2020

Bilancio 2020

 


 

Il presente blog in questo 2020 ha avuto dalla sua apertura n. 6331       accessi

La media degli accessi al blog è stata:

I Trimestre  pari a 66

II Trimestre pari a 29

III Trimestre pari a 42

IV Trimestre pari a 70

La media degli accessi annua è di  52     elementi

I Post totali dalla apertura del blog  è pari a 346

I Trimestre  pari a 5

II Trimestre pari a 4

III Trimestre pari a 1,56

IV Trimestre pari a 3,17

La media dei post per l’anno 2020 è di 3,17     ogni mese

domenica 20 dicembre 2020

Buone Feste


 A tutti gli amici di questo blog auguri di serene feste. Che il muovo anno della tradizione cristiana sia portatore di pace e di serenità per tutti i popoli e tutte le confessioni

lunedì 14 dicembre 2020

Israele.. Alloggi per i coloni


  Critiche pesantissime al governo israeliano sono arrivate sia dall'ONU che dalla comunità Europea in merito ad un piano proposto da Israele per costruire 1250 abitazioni per coloni ebrei intorno a Gerusalemme est. Le nuove case isoleranno due zone di territorio abitate a maggioranza da palestinesi. Il premnier Netanyahu aveva annunciato che era sua intenzione costruire 3500 abitazioni per collegare gli insediamenti di Kfar Adumin e Maale Adumin  a Gerusalemme est. L'autorità palestinese ha annunciato che riprenderà a collaborare con Israele dopo sei mesi.  Fonte l'Internazionale novembre 2020 n. 1385

giovedì 3 dicembre 2020

LIbano La Epidemia non si ferma


 Il LIbano è nella tenaglia del covid come gran parte dei paesi del Medio Oriente. Le autorità  hanno esteso il coprofuoco notturno dalle ore 21 alle 5  e stanno valutando la possibilità di una chiusura totale

sabato 14 novembre 2020

Maurizio Vezzosi: Raggiunto l’accordo per l’interposizione russa tra i combattenti nel Karabakh

 

Da www.treccani.it  11 novembre 2020


Dopo oltre un mese di combattimenti tra le montagne del Caucaso costati almeno cinquemila morti tra militari e civili la guerra del Karabakh è arrivata ad una svolta. Duemila uomini delle forze armate delle Federazione Russa verranno schierati lungo la linea di contatto tra le forze armene dell’Artsakh e quelle azere. Gli accordi firmati nella tarda serata del 9 novembre non definiscono lo status giuridico dell’autoproclamata repubblica dell’Artsakh né i dettagli del suo rapporto con l’Azerbaigian, ma nei fatti sembrano trasformare l’Artsakh in una regione armena sotto protezione russa.

L’accordo non manca di garantire la continuità territoriale dell’Artsakh con il territorio armeno con un corridoio di circa 5 km sotto controllo russo. Di contro, l’Armenia dovrà impegnarsi a garantire, sempre sotto tutela russa, i collegamenti terrestri tra l’Azerbaigian e l’exclave azera del Nakhchivan (Naxçıvan), stretta tra Turchia, Iran ed Armenia. La forza di interposizione avrà un mandato operativo di cinque anni che in mancanza di ulteriori accordi sarà rinnovato automaticamente per altri cinque anni alla scadenza.

Ufficialmente la Federazione Russa aveva escluso la possibilità di un intervento diretto nel conflitto armeno-azero: nonostante ciò, l’ipotesi di contingente di pace schierato come forza d’interposizione tra forze armene ed azere era stata avanzata più volte dal primo ministro armeno Nikol Pashinyan.

 

Gli accordi implicano per l’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh una significativa perdita di territorio: una parte di questo è stata conquistata militarmente dalle forze azere, mentre il restante territorio – stando agli accordi – dovrebbe essere ceduto dalle forze armene alle forze azere nelle prossime settimane. Per gli armeni la perdita è pesantissima anche da un punto di vista simbolico: gran parte dei territori già persi e quelli che dovranno essere ceduti all’Azerbaigian erano stati infatti conquistati in combattimento nel 1993.

Per le forze armene l’accordo potrebbe aver scongiurato una disfatta verosimilmente ben peggiore: quella che avrebbe potuto verificarsi con l’assedio da parte delle forze azere della capitale-capoluogo Stepanakert (in armeno)/Khankendi (in azero). Nel timore di un probabile assedio della città nelle scorse settimane migliaia di armeni avevano lasciato la regione contesa per rifugiarsi verso Erevan.

Superiori per numero di uomini, di mezzi e per dotazioni tecnologiche, le forze azere hanno guadagnato sul campo un vantaggio evidente nei combattimenti con le forze armene, costrette alla ritirata da più direzioni. Poco prima della firma dell’accordo il ministero della difesa azero aveva dato notizia della presa di Shushi (Şuşa), seconda città dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh ‒ per giunta a pochissimi chilometri dalla capitale ‒ oltre che della conquista di ampie porzioni di territorio. L’utilizzo dei droni ‒ di fabbricazione turca e israeliana – e dell’artiglieria con sistemi di puntamento elettronico sembra aver giocato sul piano militare un ruolo molto importante, forse addirittura decisivo.

 

Le reazioni alla firma dell’accordo sono state speculari: in Azerbaigian il raggiungimento dell’accordo è stato accolto come un trionfo, descritto dal presidente Aliev come «una capitolazione armena». In Armenia l’opposizione ha chiesto le dimissioni del primo ministro Pashinyan, mentre la casa di quest’ultimo è stata presa d’assalto dalla folla. I manifestanti hanno chiesto ai militari di assumere i pieni poteri. Il katholicos armeno Karekin II ha fatto appello alla calma e all’unità nazionale.

Nonostante l’entusiasmo di Baku e la frustrazione di Erevan, la vera vincitrice di questi accordi è Mosca. L’azione diplomatica della Federazione Russa ha impedito che la Turchia capitalizzasse in sede di trattativa il sostegno offerto a Baku. Se Vladimir Putin si era detto disponibile a includere la Turchia tra i Paesi con la responsabilità di mediare un accordo di pace tra Armenia ed Azerbaigian, la rapidità del Cremlino ha in buona parte neutralizzato le ambizioni di Ankara.

La possibilità, menzionata dal presidente azero Aliev, che un altro contingente d’interposizione composto da forze turche venga schierato sul lato azero è stata negata dal portavoce del presidente russo Dmitrij Peskov: «Posso commentare in questo modo: a questo proposito nel testo del comunicato non c’è una sola parola: questa possibilità non è stata discussa dalle tre parti [Fed. Russa, Armenia e Azerbaigian] e il dispiegamento di soldati turchi nel Karabakh non è stato concordato»La portavoce del ministero degli Esteri della Federazione Russa Maria Zakharova ha confermato invece che in territorio azero sarà reso operativo un centro militare congiunto russo-turco per vigilare la tenuta del cessate il fuoco.

Con questo quadro i risultati ottenuti dalla Turchia appaiono modesti: nonostante ciò è comunque probabile che le autorità turche presentino la conclusione dell’accordo come una vittoria, magari per distogliere il Paese dai problemi economici con cui questo si trova a fare i conti. Del resto, in un modo non dissimile a ciò che accade in Azerbaigian, Paese colpito in modo significativo dal crollo del prezzo degli idrocarburi conseguente alla pandemia in corso.

sabato 17 ottobre 2020

Franncesco Petronella. La faida tra jiadisti in Siria ed il terrorismo in Medio Oriente

 

 

da www.treccani.it/atlante

I recenti avvenimenti nell’enclave di Idlib, l’ultima zona nel Nord-Ovest della Siriafuori dal controllo delle forze fedeli al regime di Bashar al-Assad, dimostrano chiaramente un fatto: dietro categorie come “jihadisti” o “terroristi” sovente si celano realtà molto complesse e stratificate. Spesso in contrasto le une con le altre o, addirittura, in guerra aperta per il predominio sul territorio. Il cartello di milizie che domina l’area di Idlib è Hay’at Tahrir Al-Sham (HTS), nato dalle ceneri di Jabhat al-Nusra (quella che fu la costola siriana di al-Qaida). A giugno 2020, però, una serie di gruppi armati più oltranzisti ha dato il via ad una nuova coalizione per le operazioni militari a Idlib, denominata Stand Firm. La nuova realtà, stando all’atto di fondazione diffuso on-line, comprende tra gli altri il gruppo Coordinamento del Jihad, la Brigata Ansar, che il 7 aprile ha annunciato la sua defezione da HTS, il Fronte Ansar al-Din e l’organizzazione Hurras al-Din, formata a sua volta da centinaia di disertori di HTS.

Si tratta di nomi e sigle perlopiù sconosciuti al grande pubblico, ma restituire anche forse un minimo quadro della complessa rete militare che opera a Idlib è utile a far luce su un dato molto importante quando si parla di Medio Oriente: quando entra in gioco la categoria del “terrorismo” occorre tener presente che si tratta quasi sempre di “un’eterodefinizione”. Ossia, detto in altri termini, bisogna sempre tener presente chi dà del terrorista a chi. Nel caso della coalizione Stand Firm, ad esempio, parliamo di “terroristi che combattono altri terroristi”, se si analizza la cosa dal punto di vista del regime di Damasco e dei russi (che considerano terrorista ogni forma di opposizione, anche la più pacifica). Cioè di ex qaidisti che combattono contro la milizia, HTS, che di al-Qaida è in pratica l’erede diretto.

Dal punto di vista degli osservatori occidentali, spesso si considera l’islam militante di matrice sunnita come una realtà monolitica e indistinta. Al contrario, nel contesto siriano e non solo, molte volte ci si ritrova di fronte a un mosaico di piccoli gruppi che seguono necessità strategiche e belliche peculiari, più che un unico grande framework ideologico.

La nascita dell’operazione Stand Firm è frutto dell’ostilità emersa pubblicamente tra le fazioni più oltranziste e violente del jihadismo siriano che vedono nella milizia dominante HTS un gruppo che ha abbandonato i suoi principi, diventando ostaggio degli accordi internazionali dopo aver permesso alle forze russe di penetrare l’autostrada M4 nell’ambito dei pattugliamenti congiunti turco-russi sanciti durante l’ultimo accordo per il cessate il fuoco. La Turchia, che spesso viene accusata di sostenere indistintamente tutti i gruppi ribelli che controllano Idlib, si è spesa molto invece per contenere le operazioni di Stand Firm, specialmente sfruttando le brigate di ribelli cooptate e armate da Ankara in questi anni come il cosiddetto Fronte di liberazione nazionale (NLF), forse l’erede più diretto di quello che fu l’Esercito libero siriano (FSA). Da questo dissidio tra le formazioni jihadiste di Idlib sono scaturiti scontri aperti, attentati, rappresaglie e, a seconda dei casi e delle località, accordi e tregue concretizzatisi a cavallo tra giugno e luglio 2020.

Facendo tesoro del minimo di complessità restituito dagli ultimi fatti di Idlib, si può tornare sulla questione del “terrorismo” e sull’importanza di contestualizzarla, specialmente nel mondo arabo-islamico. Prendiamo il caso della Libia, dove a contendersi la partita ci sono il Governo di accordo nazionale (GNA) – riconosciuto dalle Nazioni Unite e presieduto da Fayez al-Sarraj – e l’autoproclamato Esercito nazionale libico (LNA) del generale Khalifa Haftar. I due attori libici, come vedremo, si scambiano reciprocamente accuse di supporto al terrorismo.

Il GNA rientra nella sfera d’influenza di Turchia e Qatar, Paesi che sono i numi tutelari della Fratellanza musulmana. Questa organizzazione è considerata un gruppo terrorista da Stati come Arabia Saudita, Bahrain, Egitto, Russia, Siria ed Emirati Arabi Uniti. Paesi che, non a caso, supportano invece l’LNA di Haftar. Quest’ultimo, ad aprile 2019, ha lanciato un’offensiva militare verso la capitale libica Tripoli per strapparla alle forze del GNA. Lo ha fatto, però, utilizzando come pezza d’appoggio ideologica la “lotta al terrorismo”, additando come terroriste – appunto – alcune delle milizie che sostengono l’esecutivo di al-Sarraj (compresi alcuni combattenti siriani filoturchi portati appositamente in Libia da Idlib).

D’altro canto, però, l’LNA di Haftar è considerato vicino all’asse “autoritario” di sauditi, emiratini ed egiziani e nell’esercito di Bengasi figurano anche combattenti legati al movimento madkhalista. Si tratta di una realtà politico-militante vicina all’Arabia Saudita che promuove un islam radicale ma fedele al potere secolare (quello di Haftar in questo caso). In poche parole, anche tra le fila dell’LNA ci sono elementi vicini all’islam radicale. Un altro tipo di islam politico rispetto a quello della Fratellanza, ma comunque radicale.

Tornando in Medio Oriente, poi, lo Stato di Israele considera organizzazioni terroristiche Hamas (gruppo sunnita palestinese nato da una costola della Fratellanza musulmana), il gruppo Jihad islamico (filoiraniano), Hezbollah(partito-milizia libanese e sciita) e tutte le forze legate in qualche modo a Teheran in Libano, Siria e Iraq. Lo Stato ebraico, a sua volta, è definito terrorista in ogni occasione possibile dai vertici iraniani. La Turchia, dal canto suo, considera gruppi terroristici le YPG curde (Yekîneyên Parastina Gel, Unità di protezione popolare), che assieme alla coalizione internazionale a guida USA hanno avuto un ruolo decisivo nella lotta al sedicente Stato islamico. Anche in questo caso, per intenderci, parliamo di “terroristi” – dal punto di vista di Ankara – che combattono altri terroristi (quelli dell’ISIS)?

Come già detto, l’unico modo per affrontare coerentemente il tema del “terrorismo” quando si parla di Medio Oriente è tener presente quanto tale categoria sia molto spesso una semplificazione marchiana della situazione, in cui spesso chi definisce terrorista qualcun altro lo fa per delegittimare e portare avanti la propria agenda politica.

lunedì 28 settembre 2020

Il Caucaso: ul altra area instabile che preoccupa.

 

La miccia del Karabakh e la polveriera del Caucaso




Il conflitto che nel Caucaso meridionale si protrae da trent’anni vedendo contrapposti Armenia ed Azerbaigian è entrato in nuova fase attiva nelle ultime settimane. La crisi odierna che riguarda il Nagorno-Karabakh è la più grave dal 1993-94, e in relazione al contesto regionale rischia di aggravarsi ulteriormente.

 

Quella del Nagorno-Karabakh è una delle tante guerre innescate dal crollo dell’Unione Sovietica e dalla sua onda lunga. Tra le ragioni che hanno prodotto questa nuova crisi ci sono sia elementi geopolitici che identitari. Venendo meno il multiculturalismo di cui l’Unione Sovietica si faceva giocoforza garante, le tendenze all’esasperazione identitaria ‒ nazionalista o religiosa ‒ hanno avuto la meglio sulla convivenza pacifica tra culture diverse.

 

Oggi l’Artsakh è una sorta di protettorato armeno de facto indipendente dal 1992, privo di riconoscimento internazionale e rivendicato dall’Azerbaigian. Si trova in territorio quasi del tutto montuoso, con una superficie pari grossomodo a quella dell’Abruzzo, abitato da circa 150 mila persone, in larga maggioranza armeni. Gli azeri, sostenendo le proprie rivendicazioni a partire dall’appartenenza della Repubblica Autonoma del Nagorno-Karabakh alla ex Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian, denunciano che negli ultimi decenni molte famiglie azere siano state allontanate dall’Artsakh. Gli armeni, dal canto loro, sostengono che la cessione dell’Artsakh all’Azerbaigian favorirebbe le strategie panturche conducendo l’Armenia ad un nuovo Medz Yeghern (l’espressione con cui gli armeni si riferiscono al genocidio del 1915-16).

 

Il conflitto tra Armenia ed Azerbaigian si è riacceso a neppure ventiquattro ore dalla conclusione delle esercitazioni “Kavkaz 2020” ‒ svoltesi nella porzione meridionale della Federazione Russa compresa tra il Mar Nero, il Caucaso del Nord ed il Mar Caspio e condotte congiuntamente dalle forze armate russe, cinesi, bielorusse, iraniane, armene, pakistane e birmane: ben 80 mila gli uomini complessivamente impiegati. Negli ultimi mesi la Turchia ha consegnato all’Azerbaigian droni, missili ed altro armamento oltre ad aver organizzato esercitazioni congiunte tra proprie forze armate e quelle di Baku. Circa 1000 miliziani della “divisione Hamza” sarebbero stati trasferiti dalla Siria all’Azerbaigian con il sostegno turco. Questi ultimi, secondo l’ambasciatore armeno a Mosca Vardan Toganian, sarebbero addirittura 4 mila.

 

L’arrivo – ormai accertato – dei miliziani d’ispirazione jihadista rappresenta una questione assai seria. La loro presenza tra le file azere potrebbe rivelarsi un problema per la stabilità dello stesso Azerbaigian, che come la Federazione Russa a partire dagli anni Novanta si è trovato a dover fare i conti con il fenomeno della radicalizzazione islamica. Ad aggravare il quadro, c’è il confine settentrionale con il Daghestan, la turbolenta regione autonoma della Federazione Russa che rimane tutt’oggi una delle regioni della galassia postsovietica più interessate dalla violenza di ispirazione jihadista.

 

L’oltranzismo della Turchia, principale sostenitrice di Baku, sembra addirittura più intransigente di quello azero e nient’affatto propenso al compromesso. L’Armenia, verso Oriente, rappresenta uno dei principali ostacoli ai progetti sulla scorta dei quali si muovono le strategie di Ankara. Al di là delle responsabilità militari di entrambe le parti, l’Armenia si trova in una condizione di oggettivo svantaggio. Con un terzo degli abitanti dell’Azerbaigian – circa 3 milioni contro circa 10 milioni – l’Armenia ha un’economia che vale grossomodo un quarto di quella azera – con un PIL da circa 12 miliardi di dollari contro un PIL da 46 miliardi di dollari.

 

Il neottomanesimo ed il panturchismo che connotano la politica di Erdoğansembrano da leggersi in stretta correlazione con la fase di crisi strategica con cui gli Stati Uniti si trovano a dover fare i conti, soprattutto nel Vicino Oriente. Certamente negli ultimi anni i contrasti tra Ankara e Washington non sono mancati: tuttavia, dal Mediterraneo orientale allo Xinjiang, così come dal Corno d’Africa al Caucaso, le proiezioni di Ankara appaiono complementari alla strategia di contenimento antirussa e anticinese promossa dagli Stati Uniti.

 

Ad apparire verosimile è il nesso tra le nuove tensioni del Caucaso e la strategia di Ankara verso Oriente ‒ “Asia Anew” ‒ presentata lo scorso dicembre dal ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu. Lo stesso Çavuşoğlu, alcune settimane fa aveva addirittura ventilato la possibilità di un intervento diretto di Ankara in sostegno alle truppe di Baku.

 

Il significato delle recenti dichiarazioni del segretario di Stato Mike Pompeo in favore di Erevan si può rintracciare nell’intento da parte dell’amministrazione Trump di non mettersi contro la comunità armena presente negli Stati Uniti, specie all’alba della tornata elettorale. Nel disegno strategico di Washington il fattore turco si pone come un elemento di controllo indiretto ‒ sul Mediterraneo, sull’Heartland e sul Rimland ‒ e di pressione sui rivali di Pechino e di Mosca.

 

Il primo cessate il fuoco, mediato dal ministro degli Esteri della Federazione Russa e sottoscritto dai suoi omologhi di Armenia ed Azerbaigian, non ha retto. A distanza di una settimana dall’entrata in vigore del primo, ne è stato sottoscritto un nuovo mediato dal Gruppo di Minsk, la cui tenuta è stata risibile, con reciproci scambi di accuse tra le parti. Dopo di questo, è stato sottoscritto un terzo accordo per il cessate il fuoco, mediato e sostenuto dagli Stati Uniti ed entrato in vigore dalla mattina del 26 ottobre.

 

Per Mosca la necessità di mantenere una sostanziale equidistanza tra Baku ed Erevan è più complicata che negli scorsi decenni. E non solo per il cordone ombelicale che lega l’Armenia alla Federazione Russa o per la presenza stabile di migliaia di militari russi in territorio armeno.

Nel nuovo Grande gioco per l’egemonia sul Caucaso e sull’Asia Centrale pesano il ruolo degli attori regionali – come la Turchia – così quello delle altre crisi postsovietiche – Bielorussia, Ucraina e Kirghizistan – che Mosca si trova a dover fronteggiare simultaneamente.

 

Mancando i presupposti concreti per una soluzione politica, la risoluzione del conflitto del Karabakh resta lontana. Mentre sul fronte del Karabakh si continuano a registrare combattimenti si attende un nuovo vertice moscovita tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e quello azero Ilham Aliyev, a cui starebbe lavorando la diplomazia del Cremlino.

domenica 20 settembre 2020

UN conflitto a bassa intensita che riprende vigore

 


Nagorno Karabakh: la scintilla che infiamma il Caucaso meridionale

 

Il 27 settembre sono ripresi gli scontri armati tra Armenia e Arzebagian lungo la linea di contatto tra il Nagorno-Karabakh e l'Azerbaigian. L’enclave del Nagorno-Karabakh (Il termine nagorno significa montuoso in lingua russa; kara vuol dire nero in turco, mentre bağ significa sia giardino in persiano che vite in turco), e’ situata all’interno del territorio dell’Azerbaigian con un estensione di 11.500  chilometri quadrati ed una popolazione di circa 140.000 abitanti tra armeni cristiani e turchi azeri. La storia del Nagorno-Karabakh e’ recente, a seguito della fine della guerra russo-persiana del 1804-1813  e del trattato di pace stipulato tra l'impero russo e l'impero persiano firmato il 24 ottobre 1813 nel villaggio di Golestan, nel Karabakh la Persia cedette la provincia di Arran ai Russi, ponendo le basi della formazione dell’attuale Repubblica dell’Azerbaigian. Dopo la rivoluzione russa del 1917, il Karabakh fu inglobato nella Federazione Transcaucasica, che ben presto si divise tra Armenia, Azerbaigian e Georgia. Il territorio del Nagorno Karabakh venne rivendicato sia dagli armeni (che all'epoca costituivano il 98% della popolazione) sia dagli azeri e per volere di Stalin, dopo la conquista bolscevica del 1920, il territorio venne assegnato all'Azerbaigian,  il governo sovietico la istituì come oblast autonomo a maggioranza armena e il Nagorno-Karabakh divenne così un'enclave di minoranza all'interno dell'Azerbaigian. Nel febbraio del 1988, il Parlamento del Karabakh decise di chiedere l’annessione all’Armenia; con il crollo dell’Unione Sovietica le violenze aumentarono, il 2 settembre 1991, la regione si autoproclamò indipendente e, il 10 dicembre 1991, ci fu un referendum a cui seguì un conflitto che arrivò ad un momentaneo accordo di cessate il fuoco il 12 maggio 1994 ed agli armeni rimase il controllo del Karabakh. L'autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh ha dichiarato la sua indipendenza all'inizio del 1992 e da allora ha tenuto diverse elezioni indipendenti, nonché un referendum del 2006 che ha approvato una nuova costituzione. L'Azerbaigian ha dichiarato queste azioni illegali secondo il diritto internazionale e ad oggi l'indipendenza dell'autoproclamata nazione enclave non è stata riconosciuta a livello internazionale.

Quella odierna è senza dubbio una fase molto pericolosa del conflitto che in una settimana ha avuto una preoccupante escalation con bombardamenti e lancio di missili e un numero crescente del numero dei morti e feriti. Da sottolineare inoltre le posizioni di Turchia e della Russia alla luce del sostegno della Turchia all'Azerbaigian e della Russia che mantiene un’alleanza militare con l’Armenia, dove esiste una base russa. Sostenendo con forza l’Azerbaigian, la Turchia potrebbe cambiare gli equilibri e costringere la Russia a farsi coinvolgere più di quanto non vorrebbe.

Con una posta in gioco alta così alta, le Nazioni Unite hanno tenuto una riunione di emergenza sulla questione e sono già in corso contatti diplomatici separati tra i belligeranti e Russia, Turchia e altri. Da considerare che anche qualora si raggiungesse un cessate il fuoco, rimarrebbe il problema di come risolvere una questione che coinvolge profondamente le identità sia degli armeni che degli azeri.

 

Antonio Trogu    trogant@libero.it

 

domenica 6 settembre 2020

Report 2019-2020 Blog Medio Oriente

deserto in Istraele


www. coltrinariatlantemediooriente.blogspot.com
Blog di sviluppo per l'approfondimento
 della Geografia Politica ed Economica
 attraverso immagini, cartine, grafici e note.
Atlante Geografico Statistico Capacità dello Stato.
Parametrazione a 100 riferito agli Stati ed alle
 situazioni del Medio Oriente.
 Si è inserito nel contesto del master di 1° Livello in
 Politica Militare Comparata. dal 1960 ad oggi
 Riporta dalla primavera 2020 temi che possono essere utilizzati come materiali per tesi di laurea ed 
indicazioni delle fonti
Spazio esterno del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro.
Aperto nel 2008, ha un totale di  visitatori al 30 settembre 2018,
4741 al febbraio 2019
 mentre nel febbraio 2020 si attestava su 5050
 ed ad agosto 2020 su 6979 accessi
 con una media mensile che oscilla tra i 50 ed i 70 visitatori.

Sono stati pubblicati 325 post.
Come utenza, vi sono accessi dagli Stati Uniti e dalla germania

mentre sull’ordine delle unità sono i contatti
 dall’ Italia, Francia ed altri paesi europei.
(info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)

Il blog è parte integrabde della piattaforma CESVAM: vdswww.cesvam.org

parte dell'istituto del nastro Azzurro: vdswww.istitutodelnastroazzurro.org


 Il prossimo blog sarà pubblicato il 7 settembre 2020

giovedì 30 luglio 2020

venerdì 10 luglio 2020

Il Medio oriente e le Missioni di Pace italiane

Fonte: Rivista LIMES,
info:www.limesonline.it

 La Carta da un quadro delle missioni militari di pace nel mondo tra cui il medio oriente. Per dati ulyerior  cfr.www.coltrianriatlanteitalia.blogspot.com con post nel mese di luglio 2020. Inoltre consultawww.ministerodifesa.it

venerdì 26 giugno 2020

Il Coronavirus e la Siria

Fonte: www.laciviltàcattolica.it

Articolo di Antonio Spataro S.I.

Sintes: Il coronavirus e la Siria. La possibile emergenza siriana legata al covid-19 che avrebbe caratteristiche non dissimili da quelle di altri paesi sconvolti da lunghissimi conflitti sarebbe di eccezionale gravità per un dato grande drammatico e noto: la distruzione di circa la metà delle  strutture sanitarie e la mancanza di personale medico. Le difese immunitarie di una popolazione che vive all'agghiaccio da mesi evidenzia il ritardo della comunità internazionale nella sue iniziative adeguate; il ritardo potrebbe avere gravissime conseguenze. La crisi legata al virus e quella del nord della Siria sono situazioni che si l'umanità in quanto tale.

Materiale per tesi.
Approfondimenti:www.unicusano.it/master

Contatti ed info: www.valoremilitare.blogspot.com
                           www..cesvam.org

domenica 21 giugno 2020

Iran: la sicurezza in gioco.

Fonte: Limes, rivista di geopolitica  Fonte: www.ilmioabbonamento

La carta spiega lo schieramento di difesa dell'Iran

domenica 14 giugno 2020

Siria: che cosa succederà sul confine nord est?

Fonte LIMES; rivista di geopolitica  info:www.ilmioabbonamento.it

 La carta mostra il confine nord est della Siria. Vari attori interni ed esterni stanno giocandovi un ruolo senza che si giunga ad una definizione. Il ririto degli USA a complicato ulteriormente le cose in quanto tutti i loro alleati locali ne sono usciti molto indeboliti. Il fantasma del Vietnam aleggia in tutta l'area rafforzando coloro che gli Stati Uniti intendevano combattere ma sopratutto rafforzando la Russia che ha di nuovo un ruolo in Medio Oriente dopo trenta anni di assenza.

mercoledì 27 maggio 2020

Covid 19. L'atteggiamwento dei Paesi nel mondo

Fonte LIMES, Rivista di geopolitica  Info: Il mio abbonamento.it


Ira, Iran ed Arabia Saudita hanno adottato la quarantena totale nei confronti del Covid19. Mentre Israele, Turchia, Giordania, Siria e Libano hanno adottato misure meno restrittive, 

giovedì 21 maggio 2020

IRAN: lo sbocco al Mediterraneo

Fonte: LIMES, rivista di geopolitica; INFO: www.ilmioabbonamento,it                                                 La carta mostra le vie attuali e le potenziali nuove strade che potrebbero essere usate dall'IRAN per raggiungere il Mediterraneo. Ovviamente deve passare attraverso Iraq e Siria. I punti da arrivare sono i porti di Tartus e di Latakia. Entrambi questi porti accolgono le basi delle truppe Russe che sostengono la Siria. Al passaggio di frontiera di Al Taaf  vi è una base militare statunitense. I colori indicano le varie popolazioni che sono o pro o contro gli sciti iraniani. 

martedì 12 maggio 2020

Tesi di Laurea Operazione Kadesh aspetti militari

Il dott Emilio Giordano si è laureato al Mastre di 1 Liv in Storia Militare Contemporanea 1796 1960 anno accademico 2028-209 nella sessione invernale su una tesi dedicata alla operazione Kadesh: aspetti militari. La tesi è disponibile presso la Emeroteca dell'Istituto del Nastro Azzurro Roma, Piazza Galeno, previa autorizzazione dell'Autore.

mercoledì 6 maggio 2020

Siria: le risorse strategiche

Fonte LIMES Rivista di geopolitica; info: ilmioabbonamento.it                                                              La carta mostra i giacimenti petroliferi e i relativi oleodotti  sia quelli esistenti che in progetto; i giacimenti di gas naturale e quindi gli gasdotti sia quelli esistenti quelli in progetto e quelli in costruzione. Sulla costa sono indicati i terminal petroliferi a Tripoli di Berberia, Tartus e Latakia; questi ultimi due porti sono anche basi delle truppe russe che sostengono la Siria. Indicate anche le sedi di stoccaggio del greggio e del raffinato oltre che le raffinerie.                                       

venerdì 24 aprile 2020

venerdì 3 aprile 2020

Iran: l'organizzazine della difesa strategica

Fontelimes, LIMES, RIVISTA DI GEOPOLITICA
Info: ilmioabbonamento.it

La carta mostra le difese strategiche dell'IRAN. Lo stretto di Hormuz è difeso sulla costa iraniana da mine marine  e vi sono reparti di incursori con motocannoniere e sottomarini per attaccare le navi della flotta Usa o qualsia altra nave per rappresaglia. I Missili sono per lo più posizionati per attacchi di torzione contro Israele, mentre l'Iran può ricorre ad attacchi tramite gli sciti in Baherein e nel Golfo persico ed in Afganistan . Le città, i siti nucleair i terminali e le raffinerie sono protetti da batterie antiaeree.Aree critiche per la presenza di minoranze curde, turkmene arabe e baluci sono indicati dai cerchi. 

mercoledì 25 marzo 2020

Siria. il nord-est: un nuovo stato?

Fonte: LIMES, rivista di geopolitica
indo:www.ilmioabbonamento.it

La carta mostra il nord-est della Siria il cui destino è incerto. I governativi non hanno la forza per conquistare tutto il territorio che ritengono siriano e si sono fermate al di qua dell'Eufrate (area rossa) Rimane a nord-ovest di Tabaqa un territorio in a allo Stato Islamico. Al di la dell'Eufrate(colore verde) il territorio è controllato da Forze democratiche siriane, ala siriana del PKK. Lungo il confine con la Turchia nella parte settentrionale vi è una fascia sotto il diretto ed indiretto controllo dell'Esercito turco. Interessante notare che lungo il confine tra la Turchia, iniziando da est, sul fiume Tigri andando verso occidente vi è una massiccia presenza russa, che hanno una base a Qamsli

mercoledì 18 marzo 2020

Perché si combatte in Siria

Fonte: LIMES: Rivista di geopolitica
Info:www.ilmioabbonamento,it

La carta mostra la presenza di petrolio e di gas in Siria. I terminal sul Mediterraneo sono Tripoli in Libano, Tartus e Latakia. Questi due ultimi porti sono in Siria e ospitano le due basi russe in Siria.

mercoledì 11 marzo 2020

Siria: la guerra nel suo quadro generale

Fonte: LIMES rivista di geopolitica
Info: www.ilmioabbonamento.it

La carta mostra il quadro generale della guerra di Siria. La Siria all'inizio del 2020 aveva il suo territorio controllato  dalle forze lealiste, ovvero il Governo di damasco, forze lealiste ch comprendono forze governative, milizie siriane filogovernative, milizie scite libanesi, irachene ed afgane, pasdaran, militari e contractor russi (area rossa). Dalle forze democratiche siriane, ala sinistra del PKK, nel nord este( area verde chiaro): Dall'esercito turco, area verde scuro, nel nord della Siria sul confine della Trchia. Miliziani vicini alla Turchia, distretto di Idlib, area arancione: Dallo Stato Islamico, area viola scuro ed infine un territorio di sicurezzasul confine meridionale sotto controllo degli Stati Uniti con la base di Tanf. 

mercoledì 4 marzo 2020

Siria: Idlib e i suoi contendenti

Fonte: LIMES, Rivistageopolitica
Info: www.ilmioabbonamento.it

La Regione di Idlib nel nord della Siria vede in confronto turkia e Russia, come attori esterni, e fra i Governativi e i Ribelli, sul fronte interno. Il Quartier generale delle forze russia in Siria è a Humaymin, i Russi sono preseti ad Aleppo e Hama. I Governativi sono arrivati a Saragib, conquistanto in pratica tutto il settore sud. I Turchi sono sulla difensiva mente i Governativi sono protesi a portare tutto il controllo sulla regione.

venerdì 28 febbraio 2020

Siria. La conquista ( o la perdita) di Saraqeb.

Il 6 febbraio le forze governative hanno conquistato la città di Saraqeb. L'importanza di questa città sta nel fatto che è alla intersezione di due grandi autostrade: la M5 che collega la capitale politica, Damasco con la capitale economica, Aleppo, e la M4 che unisce le provincie di Lattakia e Aleppo, cioè l'ovest e l'est della Siria. La Turchia aveva organizzato quattro posti di osservazione attorno a Saraqueb, per cercare di impedire la conquista da parte dei filo governativi della città. 

venerdì 21 febbraio 2020

Cipro. I Dati del Military Balance. 2019 Quadro generale

Cyprus CYP
2017 2018 2019 
GDP € 19.2bn 20.2bn US$ 21.7bn 24.0bn per capita 
US$ 25,380 27,865 
Growth % 3.9 4.0 
Inflation % 0.7 0.8 
Def bdgt € 352m 352m 357m 
US$ 397m 417m 
US$1=€ 0.89 0.84 

Population 1,237,088

Age 0–14 15–19 20–24 25–29 30–64 65 plus 

Male 8.0% 3.1% 4.4% 4.8% 25.5% 5.2% 

Female 7.6% 2.7% 3.6% 4.0% 24.2% 6.9% 



Capabilities 
The National Guard is focused on protecting the island’s territorial integrity and sovereignty, and safeguarding Cyprus’s EEZ. Its main objective is to deter any Turkish incursion, and to provide enough opposition until military support can be provided by Greece, its primary ally. Cyprus has been enhancing its defence cooperation with Greece, including on cyber defence. Nicosia has also pledged deeper military ties with Israel, while France has renewed and enhanced its defence-cooperation agreement with Cyprus, with plans to develop facilities for French vessels on the island. Having reduced conscript liability in 2016, Nicosia began recruiting additional contract-service personnel, as part of the effort to modernise and professionalise its forces. Cyprus exercises with several international partners, most notably France, Greece and Israel. External deployments have been limited to some officers joining EU and UN missions. Cyprus has little logistics capability to support operations abroad. Equipment comprises a mix of Soviet-era and modern European systems. Cyprus has little in the way of a domestic defence industry, with no ability to design and manufacture modern equipment. The government is looking for opportunities to cooperate with the Greek defence industry.

ACTIVE 15,000 (National Guard 15,000)
Paramilitary 750 Conscript liability 14 months

RESERVE 50,000 (National Guard 50,000) Reserve service to age 50 (officers dependent on rank; military doctors to age 60)


Fonte: Yhe Military Balance, 2019, London IISS

venerdì 14 febbraio 2020

La situazione sul terreno nel nord della Siria

Le aree versi sono territori in mano ai ribelli siriani sostenuti dalla Turchia; le aree marroni sono territori controllati da jihadisti e ribelli. L'area rosa sono territori sotto il controllo del Governo di Damasco, l'area rossa sono territori sotto il controllo dei Curdi siriani.

Le palline indicano le postazioni militari: quelle rosse, sono postazioni russe, quella azzurre sono postazioni iraniane, quelle verdi sono postazioni turche.

venerdì 7 febbraio 2020