giovedì 27 marzo 2014

Turchia, l'Europa ed il Mondo

Globale Turchia in Europa
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Ricerca documenti prodotti nell'ambito del progetto " Turchia, l'Europa e il Mondo ", coordinato dal Istituto Affari Internazionali , il Centro di politica Istanbul e la Fondazione Mercator.   

Crisi ed elezioni: Quali sono le conseguenze per l'ingresso della Turchia nell'UE Bid , da E.Soler i Lecha La crisi economica in Europa e le recenti tensioni politiche in Turchia sono cattive notizie per le relazioni UE-Turchia. Più recentemente, la Turchia è entrato in una zona di turbolenza politica che ha creato gravi preoccupazioni nella UE. Con queste crisi in background, la Turchia e l'UE terranno sia le elezioni cruciali nei prossimi mesi. Gli maggio 2014 elezioni europee offriranno una certa immagine degli effetti della crisi economica sulle opinioni dei cittadini europei per quanto riguarda il progetto europeo, che avrà una notevole influenza su molte politiche dell'UE, tra cui l'allargamento. Tuttavia, molto dipenderà anche sulle azioni della Turchia. Politici europei e le istituzioni comunitarie penseranno due volte prima di fare qualsiasi gesto che potrebbe essere interpretato come sostegno o premiare il governo turco, a meno che non vi sia un impegno coerente per ridurre la polarizzazione politica interna e di portare il processo di riforma di nuovo in pista.  



Può Mediterraneo orientale scoperte a gas hanno un impatto positivo sulle relazioni Turchia-UE? , da A.Gürel e F.Mullen Qualsiasi significativo miglioramento delle relazioni Turchia-UE dipenderà da una soluzione del problema di Cipro. Una soluzione Cipro permetterebbe il trasferimento di gas Mediterraneo orientale all'Unione europea attraverso la Turchia, aumentando così la rilevanza strategica della Turchia per l'UE nel suo paese di transito fondamentale per le forniture di gas in Europa. Più critico, sarebbe spianare la strada per il progresso significativo nel processo di adesione all'UE della Turchia, che si è arrestata in gran parte per motivi legati al problema di Cipro. Ad oggi, il gas ha trovato al largo di Cipro ha fatto una tale soluzione più difficile approfondendo le divisioni delle parti sovranità. Eppure, c'è un modo in cui il gas scoperti nel Mediterraneo orientale - in acque israeliane e cipriote - concettualmente, potrebbe help relazioni Turchia-UE: vale a dire, uno scenario di gas collaborazione che coinvolge Israele, Cipro e la Turchia potrebbe offrire forti incentivi tutte le parti a risolvere il problema di Cipro.  



relazioni UE-Turchia:? Un Breakthrough Visa , da G.Knaus Nel giugno 2012 il Consiglio europeo ha autorizzato la Commissione europea ad avviare colloqui con la Turchia sulla liberalizzazione dei visti. Il Consiglio ha inoltre presentato la Turchia un elenco di requisiti ufficiali per viaggi senza visto, conosciuta come la 'liberalizzazione dei visti roadmap', che la Turchia ha accettato il 16 dicembre 2013. Il processo di attuazione richiederà riforme vitali come migliorare la gestione delle frontiere della Turchia, che istituisce un sistema di asilo e di migliorare la situazione dei diritti umani. Progress V ERSO liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi avrebbero creare uno scenario win-win, sarebbe un bene per gli studenti turchi e uomini d'affari, e il turismo dalla Turchia potrebbe fornire un impulso alle economie europee. Entro il 2015, i cittadini turchi potrebbero essere in grado di viaggiare a 30 Stati membri dell'UE e dei paesi Schengen senza visto, rappresenta la svolta più importante nelle relazioni UE-Turchia dal lancio dei negoziati di adesione all'UE nel 2005.  


europeizzazione, Framing Concorrenza e società civile nella UE e la Turchia , da A.Kaya e R.Marchetti Questo documento esamina le relazioni tra l'Unione europea e la Turchia, con una particolare attenzione alla europeizzazione della società civile turca. Comprendere i processi più ampi di europeizzazione in termini politici e sociali in Turchia è di fondamentale importanza al fine di cogliere le reali unità del processo di integrazione europea. A questo proposito, la carta presterà particolare attenzione ai fattori ideativi plasmare il corso dis politici in Turchia per quanto riguarda l'atteggiamento nei confronti dell'UE. Successivamente, il documento si concentra in particolare su tre diverse inquadrature sviluppate da organizzazioni della società civile in Turchia per quanto riguarda il processo di europeizzazione dopo il vertice di Helsinki 1999 dell'Unione europea. Questi sono euro-entusiasti, europeisti euroscettici e critiche atteggiamenti.  

  

Precedenti lavori sono stati pubblicati in Senem Aydın-Düzgit et al. (a cura di), Globale Turchia in Europa. Politico, economico, e la politica estera dimensione della Turchia evoluzione Rapporti con l'Unione europea , Roma, Nuova Cultura, maggio 2013 (IAI Research Paper 9)

mercoledì 26 marzo 2014

Arabia Saudita: offensiva verso il Qatar

Consiglio della cooperazione del Golfo
Strappo diplomatico nel Golfo Persico 
Eleonora Ardemagni
21/03/2014
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L’inarrestabile rivalità geopolitica fra sauditi e qatarini è sfociata in uno scontro diplomatico senza precedenti dentro il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg). La frattura è destinata a indebolire la proiezione esterna dell’intera Penisola; tuttavia, se la tensione dovesse trasformarsi in un elemento stabile nel sistema-Golfo arabico, Riyadh potrebbe subire danni politici superiori a quelli di Doha.

Perché se il Qatar, primo al mondo per Pil pro capite, dimostra di essere un ottimo battitore libero nella regione, l’Arabia Saudita vuole invece un Ccg integrato per contenere le pulsioni di cambiamento che le rivolte arabe hanno destato fin nella Penisola.

Ambasciatori rinviati a Doha 
Il 5 marzo Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti (Eau) hanno ritirato i propri ambasciatori dal Qatar: Doha è accusata di non applicare l’accordo di sicurezza approvato nel 2012 dal Ccg e firmato dai ministri degli interni lo scorso novembre. Il governo qatarino ha reagito con fermezza, dichiarando che non modificherà la sua politica estera, “qualsiasi sia il prezzo da pagare”.

L’accordo rafforza la cooperazione in tema di sicurezza fra gli stati membri, mediante normative comuni per il contrasto del crimine organizzato, l’estradizione degli oppositori interni e la condivisione di informazioni sensibili.

Il testo sancisce soprattutto il principio di non ingerenza negli affari interni dei paesi firmatari, vietando il sostegno a gruppi o individui che minaccino la stabilità dell’area Ccg, sia per via diretta che indiretta.

Riyadh rimprovera quindi a Doha il finanziamento della Fratellanza musulmana in Egitto, Siria e all’interno della stessa Penisola arabica. I molti arresti politici effettuati recentemente dalle autorità saudite ed emiratine nei confronti di presunti affiliati agli ikhwan (Fratelli Musulmani) lasciavano presagire questa escalation diplomatica.

Il 7 marzo l’Arabia Saudita ha poi raddoppiato la pressione politica su Doha, inserendo i Fratelli musulmani nella lista delle organizzazioni considerate terroristiche (come avvenuto in Egitto già a fine dicembre), insieme a Jabhat Al-Nusra, Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante, la branca saudita di Hezbollah e il movimento degli huthi (i dissidenti sciiti zaiditi dello Yemen settentrionale).

Saud contro Al-Jazeera
Se l’Egitto è il fulcro della contesa geopolitica fra Arabia e Qatar, il canale televisivo qatarino Al-Jazeera è stato il terreno di scontro preliminare fra Riyadh e Doha: l’accordo di sicurezza contiene un riferimento ai “media ostili”.

Il nuovo-vecchio Egitto del generale Abedl Fattah al-Sisi condivide le ultime mosse saudite in chiave anti-Qatar, ufficializzate mentre unità militari egiziane si trovavano negli Emirati per esercitazioni congiunte; alcuni giornalisti dell’emittente Al-Jazeera sono sotto processo al Cairo, con l’accusa di terrorismo.

Dopo il ritiro degli ambasciatori, Arabia ed Emirati stanno intimando ai loro reporter assunti in testate giornalistiche del Qatar di abbandonare il posto di lavoro; nata come risposta panaraba alla Cnn, la televisione di Doha sta diventando un ulteriore fattore di divisione dentro la comunità sunnita.

Il Ccg verso l’unione?
Le prossime settimane saranno decisive per scoprire se davvero il Ccg opterà per misure sanzionatorie nei confronti del Qatar. È probabile che il processo di integrazione della Penisola subisca rallentamenti, specie nei capitoli ancora aperti (comando unificato di difesa, sviluppo di un’area di libero scambio, rete ferroviaria); il dialogo Unione europea-Ccg sulla creazione di una free trade zone, già sospeso, potrebbe inabissarsi, rallentando il percorso verso la creazione di un’unione.

Stati Uniti e Turchia hanno molto da perdere in uno scenario di questo tipo: Washington spera in un Golfo stabile per investire risorse politiche sull’Asia-Pacifico, Ankara gioca di sponda con il Qatar per tornare nei giochi mediorientali.

Golfo diviso sull’Iran
La cronaca recente rivela che il Ccg necessita di un collante interno, oltre che di un fornitore esterno di sicurezza (gli Stati Uniti): lo scolorimento della “minaccia Iran”, in seguito al riavvicinamento fra Teheran e la comunità internazionale sta infatti dividendo il fronte arabico.

In pochi mesi, l’Oman ha respinto l’ipotesi di unione politica del Ccg in chiave anti Iran, gli Eau hanno scelto di privilegiare un approccio umanitario ancor prima che ideologico-politico alla crisi siriana, il Qatar ha proseguito la competizione all’estero con il regno wahhabita.

Anche se già nel ‘92 e nel 2002 le relazioni tra Qatar e Arabia Saudita avevano passato momenti difficili, per la prima volta dal 1981, data di nascita del Consiglio di Cooperazione, le monarchie sembrano così mettere in discussione il “patriarcato” saudita sull’organizzazione.

A fine febbraio, mentre le diplomazie lavoravano sottotraccia per evitare il litigio pubblico fra Riyadh e Doha, il ministro degli esteri del Qatar è volato in Iran. Al di là degli interessi gasiferi fra l’emirato e Teheran. (il giacimento North Dome-South Pars), questa mossa è sembrata un colpo all’egemonia saudita nella regione che si confronta proprio sull’Iran.

Magari il preludio a una ricalibrazione di strategia in Siria, dove l’opposizione anti-Assad è ormai egemonizzata da Riyadh.

Eleonora Ardemagni, analista in relazioni internazionali, collaboratrice di Aspenia, ISPI, Limes. Autrice di “Frantumazione della sovranità e nuove sfide di sicurezza: Yemen e penisola del Sinai dopo il 2011”, ISPI Analysis, 2014.
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lunedì 17 marzo 2014

IRAN: Ripresi i colloqui sul nucleare


Iran
Il 9 febbraio l’Iran ha ripreso i colloqui sul suo programma nucleare con l’Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA): risultato della conferenza è stata l’accettazione da parte iraniana di intraprendere 7 “passi concreti” nell’ambito della sua cooperazione con l’AIEA. In base al’accordo raggiunto, Teheran permetterà agli ispettori ONU l’accesso alla miniera di uranio di Saghand e al complesso di Ardakan, situati nella provincia centrale di Yazd. Il governo iraniano ha inoltre accettato di fornire maggiori informazioni sul reattore ad acqua pensate di Arak e sul centro laser di Lashkarabad. In ogni caso, il governo iraniano ha continuato a negare l’accesso al centro di ricerca di Parchin, dove si sospetta siano avvenuti test e simulazioni riguardanti lo sviluppo di armi nucleari. Teheran ha sempre respinto le accuse sull’impiego militare della ricerca nucleare e ha affermato che collaborerà con l’AIEA per chia! rire eventuali ambiguità. Il percorso che porta ad una soluzione definitiva della questione nucleare iraniana appare ancora lontano, nonostante le recenti aperture del neo-eletto Presidente Rouhani. I negoziati bilaterali tra Teheran e l’AIEA, sono seguiti all’accordo tra Iran e il gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), dello scorso gennaio, nel quale il governo di Rouhani si è impegnato, tra i tanti punti, a ridurre il proprio stock di uranio arricchito e interrompere la ricerca e lo sviluppo sui processi di arricchimento, in cambio di una prima riduzione delle sanzioni economiche da parte di Stati Uniti e UE.
Fonte CESI

sabato 15 marzo 2014

Israele. attacco dalla striscia di Gaza


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Nella giornata di mercoledì 12 marzo circa 60 razzi provenienti dalla Striscia di Gaza hanno colpito il territorio israeliano. L’attacco, rivendicato dalla Brigata al-Quds, gruppo facente parte del Jihad Islamico in Palestina (JIP), è stata la risposta al raid israeliano di martedì nel quale sono rimasti uccisi tre militanti. Israele ha risposto colpendo 29 postazioni dei combattenti palestinesi dalle quali sono partiti gli attacchi. Per cercare di frenare l’escalation, l’Egitto ha mediato un accordo sul cessate il fuoco tra Israele ed il gruppo jihadista, ma la tregua è durata meno di 24 ore. Infatti, nella tarda serata di giovedì 13 sono stati sparati altri 18 razzi e in risposta, l’Aviazione israeliana ha bombardato un campo di addestramento delle Brigate al-Qassam, braccio armato dell’organizzazione politica palestinese Hamas.
Quanto accaduto mette in rilievo la tensione nell’area, nonostante il disimpegno unilaterale ! di Israele dalla Striscia di Gaza da ormai due anni e i colloqui di pace in corso. Appare evidente che i fatti di questa settimana potrebbero non giovare al processo di pace e resta il timore che Israele possa attuare nuove azioni di forza per garantire la propria sicurezza.

 Fonte CESI

Arabia Saudita: I Fratelli Mussulmani come terroristi


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Venerdì 7 marzo, il Ministero degli Interni, guidato dal Principe Mohammed bin Nayef, ha designato i Fratelli Musulmani alla stregua di un gruppo terroristico. Già considerata illegale all’interno del Paese, la Fratellanza si aggiunge ora al “libro nero” del governo accanto ai gruppi di ispirazione qaedista come al-Nusra e ISIS (Stato Islamico d’Iraq e del Levante), implicati nella guerra civile siriana. La decisione è l’ultima misura adottata da Ryadh sia per scongiurare la diffusione di un’interpretazione dell’Islam diversa da quella statale, sia per impedire l’ascesa di una influente formazione sociale e politica nel Paese. Inoltre, la politica di contrasto a fenomeni giudicati come terroristici ha trovato ulteriore conferma nell’approvazione del decreto reale dello scorso 3 febbraio che sancisce la reclusione fino a 20 anni per tutti i cittadini colpevoli di aver combattuto con formazioni jihadiste all’estero. In quest! o modo, il governo ha cercato di porre un limite al numero di giovani sauditi che lasciano il Paese per unirsi ai tanti movimenti estremisti mondiali, in particolare quelli coinvolti nel conflitto siriano.
L’inasprimento della posizione saudita contro i Fratelli Musulmani si inserisce nel più ampio contesto della contrapposizione con il Qatar per la leadership nella regione del Golfo. Infatti, i finanziamenti qatarini alla Fratellanza sono stati tradizionalmente causa di forte tensione con l’Arabia Saudita che, al contrario, ha cercato di impedire il consolidarsi del movimento nella regione. Quest’azione decisa ha permesso all’Arabia Saudita di raccogliere i consensi delle altre monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) che considerano la politica estera del Qatar non in linea con i principi del CCG. A testimonianza di ciò, il 5 marzo, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain hanno deciso di richiamare i loro ambasciatori di stanza a Doha.

Fonte CESI

giovedì 13 marzo 2014

Iraq: acquisto di 24 Apache AH-64E dagli Stati Uniti


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La Commissione Esteri del Senato USA ha finalmente approvato la vendita all'Iraq di 24 elicotteri Apache AH-64E, per un valore complessivo di 6,2 miliardi di dollari. L’accordo è suddiviso in due parti: la prima riguarda la fornitura degli elicotteri, per un valore di 4,8 miliardi di dollari, mentre la seconda riguarda l’erogazione delle attività di addestramento, per un valore di 1,37 miliardi di dollari. L'addestramento sarà possibile grazie al leasing di sei elicotteri, disponibili entro l’estate 2014, mentre gli altri dovrebbero essere consegnati non prima di tre anni.
Gli AH-64E permetteranno all'Iraq, in particolare, di rafforzare la protezione delle proprie infrastrutture petrolifere, oltre a fornire capacità superiori nel supporto ravvicinato, nella ricognizione armata e nella guerra anti-carro.
L'acquisto degli Apache, però, porterà a tre le linee di elicotteri d’attacco in dotazione all'Esercito iracheno, con costi d’esercizio presumibilmente notevoli. L’anno scorso, infatti, l'Iraq ha ordinato 40 elicotteri Mi-35 Hind-E e 40 Mi-28 Havoc di fabbricazione russa, le cui consegne sono già iniziate.
Il governo di Nouri al-Maliki è alle prese con una recrudescenza dell’insurrezione sunnita, in particolare nella provincia di Anbar, dove ampie porzioni di territorio sono finite sotto il controllo del gruppo "Stato IsIamico dell’Iraq e del Levante" (ISIS), peraltro attivo anche in Siria. Gli Apache erano quindi attesi da tempo, ma la Commissione Esteri del Senato americano si era sempre opposta alla vendita per l’elevato livello di sofisticazione di tali elicotteri d’attacco.
Nonostante Washington non veda di buon grado gli attualmente buoni rapporti tra Baghdad e Teheran, il valore delle vendite di armamenti tra Stati Uniti e Iraq ha superato, negli ultimi anni, i 10 miliardi di dollari, complice la necessità di fronteggiare la minaccia qaedista e di garantire un minimo di stabilità politico-istituzionale in uno dei Paesi più importanti del Medio Oriente.

Arabia Saudita: un contratto miliardario. Acquisto di veicoli blindati


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La divisione canadese della General Dynamics Land Systems si è aggiudicata un contratto del valore di 10 miliardi di dollari (elevabili a 13 con le opzioni) e della durata di 14 anni per la fornitura di veicoli blindati leggeri alle Forze Armate dell'Arabia Saudita.
Non sono stati forniti dettagli circa la tipologia e la quantità dei veicoli oggetto della commessa, ma poichè essi verranno prodotti nello stabilimento di London, in Ontario, è presumibile che si tratti dei LAV 8x8, già in dotazione all'Esercito canadese, e/o degli Ocelot 4x4, già in dotazione alle forze armate inglesi, entrambi prodotti, per l'appunto, nella fabbrica in questione.
I primi veicoli verranno prodotti a partire dal 2016 e saranno, probabilmente, varianti di modelli già esistenti. L'accordo include la manutenzione dei veicoli e l'addestramento del personale, che avverrà sia in Canada che in territorio saudita.
Uno dei principali requisiti sauditi riguarda il controllo dei propri confini con l'Iraq e lo Yemen. Un veicolo blindato, ma ruotato, quindi agile e veloce, si rivelerebbe decisamente adatto al pattugliamento di ampi tratti di terreno sterrato, per di più in un ambiente ostico come quello desertico.
L'accordo è stato raggiunto in una fase di raffreddamento dei rapporti tra USA e Arabia Saudita. Riyad, infatti, non vede di buon occhio il progressivo allontanamento americano dal Medio Oriente, a maggior ragione nel momento in cui esso si traduce, da parte di Washington, in un tentativo di ravvicinamento all'Iran e in una serie di tentennamenti sullo scenario siriano.
Nonostante questo, l'Arabia Saudita si è segnalata negli ultimi tempi come uno dei principali acquirenti di armamenti nordamericani. La commessa saudita costituisce il più grande contratto nel settore dell'export militare della storia canadese e rappresenta un'occasione preziosa per General Dynamics, a maggior ragione alla luce dei tagli al budget militare statunitense.

mercoledì 12 marzo 2014

Israele: fermato un carico di armi per Gaza

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Mercoledì 5 marzo, l’Israeli Defense Forces (IDF) ha intercettato, nei pressi di Port Sudan, sul Mar Rosso, una nave civile battente bandiera di Panama, la KLOS-C, che trasportava un carico di armi provenienti dall’Iran e presumibilmente diretto verso il territori della Striscia di Gaza. Secondo la ricostruzione di Tel Aviv, il carico, composto da armenti di fabbricazione siriana, sarebbe partito dal porto iraniano di Bandar Abbas, sul Golfo Persico, e avrebbe fatto scalo ad Umm Qasr, in Iraq, per poi riprendere il viaggio verso il Mar Rosso. Sempre secondo la ricostruzione delle autorità israeliane, le armi, tra cui alcuni razzi terra-terra M-302, sarebbero state destinate ai gruppi militanti palestinesi della Striscia di Gaza. In passato, Teheran è stato uno dei principali finanziatori di Hamas, l’organizzazione islamica palestinese che governa la Striscia dal 2007. Nonostante i rapporti si fossero raffreddati in seguito alle divergen! ze tra Hamas e Teheran sulla crisi siriana, negli ultimi mesi la visita in Iran di Jibril Rajoub, membro del Comitato Centrale di Fatah e inviato ufficiale del Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, potrebbe dar seguito ad un rafforzamento della relazione. Inoltre, lo scorso 5 febbraio, il governo iraniano ha incontrato una delegazione di alti rappresentanti del Jihad Islamico Palestinese, gruppo militante attivo nei territori della Cisgiordania. Benché sia Teheran sia Hamas abbiano smentito il proprio coinvolgimento nella vicenda, il sequestro di armi rischia di complicare il tentativo iraniano di normalizzare i rapporti con il resto della Comunità Internazionale, sui quali pesa l’ostracismo riguardo il dossier nucleare.
به روز شده:  17:19 گرينويچ - دوشنبه 10 مارس 2014 - 19 اسفند 1392
در بهمن ماه گذشته، پنجمین فرش خاکی هرمز،در دروازه هفتاد رنگ خلیج فارس، "جزیره هرمز"، به همت هنرمندان هرمزگانی با خاک‌های رنگین جزیره که بیش از هشتاد طیف را در برمی‌گیرد، در کناره خلیج فارس، با پیام "صلح برای جهانیان" پهن شد.
این فرش ۱۶۰۰ متر مربع مساحت دارد و به کوشش گروه "هنر نو هرمز"، و با همیاری تیم اجرایی متشکل از فعالان و علاقمندان عرصه هنر، از نقاط مختلف کشور، در سه مرحله اجرا و رنگ آمیزی شده است. "داماهی" را با الهام از افسانه‌های محلی مردم هرمزگان نام نهاده‌اند. نامی برگرفته از اسطوره‌ای نیک در هیبت ماهی‌ای عظیم‌الجثه که روزگاری در آب‌های خلیج فارس می‌زیسته و به وقت گرفتاری به یاری مردمان آن خطه می‌شتافته.
به گفته احمد کارگران، طراح و بنیانگذار فرش خاکی "در طراحی این فرش و برای توصیف این موجود اساطیری، از چهار روایت مبتنی بر عناصر چهارگانه ( آب،باد،خاک و آتش) بهره برده شده است. این روایت ها هر کدام در چهار گوشه طرح تصویر سازی شده اند تا داستانی بر پایه پیوستگی آنها با عنوان داماهی شکل گرفته شود."
اینک فرشِ خاکی هرمز، سوار بر پیکر "داماهی"، پهنه اقیانوس‌ها و دریاها را شکافته، قاره به قاره می‌رود تا پیام و سرود صلح مردمان ایران زمین را به تمامی انسان‌ها، فارغ از هرگونه نژاد و مذهب برساند.
عکاس‌های این مجموعه را تعدادی از عکاسان آزاد هرمزگان گرفته اند. متن از فروزان جمشید نژاد، روزنامه نگار در نروژ

mercoledì 5 marzo 2014

Yemen: scontri con i miliziani tribali sunniti


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Nelle ultime settimane sono proseguiti gli scontri nella Provincia settentrionale di Saada tra Houthi e miliziani tribali sunniti.
Gli scontri scoppiati a Damaj tra studenti salafiti e militanti Houthi sembrano nascondere un conflitto di proporzioni maggiori, che coinvolgerebbe anche Iran e Arabia Saudita. Le violenze hanno avuto origine nella scuola coranica Dar al-Hadith, oggi uno dei maggiori centri della corrente salafita del sunnismo nella regione. Secondo gli Houthi, essa verrebbe sfruttata al fine di indottrinare e addestrare aspiranti jihadisti, col sostegno dall’Arabia Saudita: è infatti molto forte il legame tra Riyad e i salafiti di Damaj. L’Arabia Saudita non ha inoltre gradito la decisione presa dal governo centrale yemenita di integrare gli Houthi nel processo nazionale di dialogo in corso dallo scorso 18 marzo, vedendo in esso il pericolo di una definitiva legittimazione politica del gruppo e il conseguente rischi! o di garantire all’Iran la possibilità di esercitare una forte influenza nel nord dello Yemen , proprio a ridosso della frontiera con l’Arabia Saudita. Spinti da aspirazioni autonomiste, a partire dal 2004, gli Houthi hanno combattuto 6 conflitti contro il governo centrale. Nonostante anche l’intervento diretto delle Forze armate saudite nel 2010, il movimento non solo è riuscito a resistere alle varie offensive, ma ha acquisito sempre più forza legittimandosi agli occhi della popolazione locale.

Siria: ISIS - Stato Islamico d'Iraq e del Levante


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La leadership centrale di al-Qaeda ha tagliato ufficialmente i legami con l’ISIS (Stato Islamico d’Iraq e del Levante), potente gruppo jihadista iracheno comandato da Abu Bakr al-Baghdadi che ha ampliato la propria azione verso la Siria con l’obiettivo di creare uno Stato islamico. La divergenza di obiettivi di ISIS con l’opposizione siriana al regime di Assad non ha mancato di portare a scontri tra le due parti. La scissione è avvenuta a seguito del tentativo di ISIS di portare il fronte qaedista locale, Jabhat al-Nusra, sotto il proprio controllo. La leadership centrale di al-Qaead, con le parole dello stesso Zawahiri, aveva già da tempo intimato aBaghdadi di fermare l’azione del gruppo in Siria, ma questi si è sempre rifiutato. Se in un primo momento però, nonostante la fedeltà assoluta richiesta dall’organizzazione terroristica, al-Zawahiri aveva lasciato la situazione invariata a causa della crescente forza dell’ISIS, che! aveva portato alla conquista della città di Raqqa, il problema di fondo inerente alla leadership è alla fine emerso: durante il mese di gennaio si sono verificati scontri tra membri di ISIS e una nuova alleanza islamista, il Fronte Islamico, comprendente comprendente anche al-Nusra. La dichiarazione di al-Qaeda rischia di dare avvio ad una uova ondata di violenze dal momento che ISIS potrebbe voler dimostrare la sua forza nonostante la perdita dell’appoggio di al-Qaeda. Nel frattempo la lotta contro i jihadisti si intensifica, con il blitz turco contro al-Qaeda dentro i confini siriani. Un convoglio dell’ISIS è stato infatti distrutto nei pressi del posto di frontiera di Cobanbey: questa è stata la prima ammissione da parte di Ankara di scontri diretti con i jihadisti sul territorio siriano.

Palestina: proposta per un assetto di Pace



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Dopo sei mesi di trattative, il Presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud ha fatto una propria proposta per il futuro assetto di pace con Israele, mettendo al centro il tema del controllo dei confini della Cisgiordania, che rappresenta una priorità per Israele. Il progetto prospetta la possibilità della costituzione di una missione NATO, a guida americana, che possa affiancare le forze di sicurezza palestinesi nel controllo della regione. Abbas ha altresì proposto una proroga dei tempi riguardanti il ritiro dei militari israeliani dalla Cisgiordania entro cinque anni dalla firma dell’accordo. Il nuovo Stato palestinese avrebbe così a disposizione solo una forza di polizia con funzioni di ordine pubblico, che verrebbe progressivamente addestrata dai membri della missione internazionale, che nel frattempo si occuperebbero anche del controllo dei confini, garantendo la sicurezza di Israele anche dopo il ritiro del suo Esercito Il Presid! ente Abbas ha però messo in evidenza le distanze che ancora permangono tra le due parti: Israele ha insistito per una presenza militare a lungo termine nella Valle del Giordano e non accetta compromessi riguardo i tempi concernenti il ritiro delle proprie truppe. La proposta arriva in una fase delicata dei negoziati, mediati dal Segretario di Stato americano John Kerry, il quale si appresta a presentare un quadro di principi fondamentali per un accordo di pace, che dovrebbero portare ad un piano di sicurezza, una linea di confine riconosciuta tracciata lungo le linee del 1967, il riconoscimento palestinese di Israele come stato ebraico e Gerusalemme come capitale condivisa. La durata dei negoziati prevista era di 9 mesi la cui scadenza è fissata per il 29 aprile. È tuttavia probabile che i negoziati proseguiranno oltre, nonostante i dubbi del Primo Ministro israeliano Netanyahu riguardo una possibile presenza nell’area di truppe straniere.

Nucleare: le differenti relazioni tra Stati Uniti ed Iran e la prospettiva dell'India

sta la recente minaccia di ulteriori sanzioni da parte del Congresso degli Stati Uniti, i termini di riconciliazione con l’Occidente da parte dell’Iran, in seguito alla svolta delle trattative sul nucleare con il P5+1 nel novembre dello scorso anno, sono pronti ad essere implementati a partire dal 20 gennaio. Tehran sembra imperturbata da queste rivelazioni, e la regione è in fermento per i cambiamenti futuri, visto che diverse nazioni stanno per schierarsi dalla parte di Tehran.
La recente intervista dello sceicco di Dubai (BBC, 13 gennaio), che ha candidamente affermato che l’abolizione delle sanzioni verso l’Iran è un bene per la regione, è solo uno degli indici della situazione. Per essere sicuro, ha aggiunto che le politiche di Dubai sono differenti da quelle dell’Arabia Saudita e del Qatar – le due nazioni che hanno attivamente supportato i jihadisti islamici a rovesciare il regime del Presidente siriano Assad, un implacabile alleato dell’Iran. Lo Sceicco ha detto che il suo Paese “non crede nell’interferire nella politica interna dei suoi vicini ma nell’aiutarli”. Il fatto che un sovrano minore del CCG abbia rotto le righe per schierarsi contro la dichiarata politica del gruppo, è una mossa significativa.
Ci sono buone ragioni per spiegarlo. La piccola città-Stato ha beneficiato immensamente dalla tratta e dalla ri-vendita del petrolio iraniano, oltre a mantenere enormi conti off-shore dell’élite iraniana nelle proprie banche. Sebbene mantenga una distanza politica, le relazioni economiche con l’Iran sono sbocciate a un livello informale. Inoltre, durante la pungente crisi valutaria nell’ottobre 2011 e nuovamente nel dicembre 2012, quando i dollari hanno iniziato a scomparire dalla borsa di Tehran e la valore del Rialiraniano è crollato, Tehran si è rivolta a Dubai per ottenere dollari a pieno carico.
La recente affermazione dello sceicco di Dubai è un indizio non solo del desidero dello sceiccato di tenersi al passo con l’alta marea della crescita dell’Iran nella regione, ma anche del deciso indebolimento del potere saudita tra i monarchi del Golfo. Questa situazione è rafforzata dalle relazioni problematiche tra Riyad e gli Stati Uniti. Nel calcolo regionale, non solo tra i monarchi non eletti del Golfo, ma anche tra i leader dal Cairo a Islamabad, c’è un solo semplice teorema – “se la tua relazione con gli USA è cattiva, sei tu a soffrire e non viceversa”. Solo chi si adatta velocemente e si allinea alla posizione del vento che soffia da Washington, ha speranza di sopravvivere e d’incassare.
Anche prima della riconciliazione con l’Iran, gli Stati Uniti avevano già lasciato i propri alleati in Arabia Saudita, Qatar e Turchia allo sbando, lasciandoli ad aggrapparsi ai loro jihadisti che affrontano la disfatta contro un recalcitrante Assad, che si è appena arreso riguardo alla questione delle armi chimiche, ma che si è aggrappato al resto del suo arsenale per annientare i mercenari stranieri. L’agitazione e la rabbia dell’Arabia Saudita, che ha rifiutato di accettare la posizione di membro provvisorio del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per protesta contro questo voltafaccia nella politica statunitense riguardo alla Siria, non ha aiutato la causa.
Le monarchie che hanno appena iniziato a riprendere fiato con l’affievolirsi della “Primavera araba” e la ri-affermazione del vecchio regime militare al Cairo, devono ora battersi contro una nuova realtà – un Iran rinascente che ha sfidato il potente Occidente ed è sopravvissuto a decenni di sanzioni punitive. È importante notare che tutti questi anni di isolamento e sanzioni non ne hanno mandato in bancarotta l’economia, né hanno portato ad una guerra civile, che potesse causare uno sconvolgimento ed il rovesciamento del regime. Tra l’altro, tutto questo è capitato al miglior alleato degli Stati Uniti nella regione, l’Egitto, che non era isolato né sanzionato.
Come il rinascente Iran potrà rispondere ai suoi nemici e ai nemici dei suoi più vicini alleati, la Siria e l’Iraq, rimane una storia eccitante che si svelerà negli anni a venire. L’Iran riprenderà la rivoluzione lasciata in sospeso in Bahrain; riaccenderà le ceneri fumanti nell’est dell’Arabia Saudita dove la minoranza sciita è stata ridotta al silenzio o si focalizzerà prima sul consolidamento del governo dell’alleato Noori al-Maliki, affrontando una guerra civile a Fallujah?
L’Iran è rimasto fedele ai suoi alleati, particolarmente a quelli che sono rimasti al suo fianco durante il suo periodo di isolamento. E adesso farà valere il suo “colpo energetico” sulla regione. Fatemi iniziare con l’Oman. Il sultano dell’Oman, che aveva mantenuto una solida alleanza con l’Iran, nonostante il lungo tratto di terra confinante con l’Arabia Saudita, è stato ampiamente ricompensato. Come stabilito in unmemorandum d’intesa firmato con l’Oman nel dicembre 2013, l’Iran esporterà al sultanato nei prossimi due anni 1 miliardo di metri cubi al giorno di gas attraverso un gasdotto sottomarino, che userà il 70% del gas al proprio interno, ed il resto per la liquefazione in un impianto sottoutilizzato a Sur. Sarà libero di vendere il resto del prodotto a Giappone, India e Corea del sud.
Anche con l’Iraq, l’Iran ha un contratto che prevede d’inviare attraverso un gasdotto, 850 milioni di metri cubi al giorno di gas e sta negoziando un secondo contratto che aumenterebbe le esportazioni a 1.6 miliardi di metri cubi al giorno entro il prossimo anno. È in realizzazione un gasdotto di 226 km tra Ilam e Khosravi, vicino al confine. L’Iraq sta costruendo un gasdotto di 220 km per il trasporto del gas verso impianti energetici vicino a Baghdad, ma il completamento è stato posticipato a causa di problemi di sicurezza. L’Iran sta anche negoziando la costruzione di un gasdotto che colleghi Khoramshahr, in Iran, con Basra, nel sud dell’Iraq, per la consegna di 700 milioni di metri cubi al giorno.
In forte contrasto con questi sviluppi è giunta la notizia che l’Iran ha cancellato il finanziamento per il gasdotto Iran-Pakistan. A metà dicembre 2013, l’Iran ha annunciato la cancellazione della sua proposta di finanziamento di 500 milioni di dollari per la costruzione del gasdotto in territorio pakistano. L’annuncio è giunto come “un improvviso cambio di rotta”, considerato che rappresentanti dei due Paesi si erano incontrati solamente una settimana prima e avevano concordato di “formulare una road map” per completare il progetto. Gli analisti energetici nella regione considerano questa decisione dell’Iran come “una campana a morto per l’economia pakistana”.
Questa decisione indica l’influenza dell’Iran negli affari energetici della regione, nella scelta di chi saranno i suoi clienti e consulenti. L’Iran ha forse deciso che il Pakistan non ha bisogno di concessioni? L’offerta di prestito era stata fatta solo al Presidente sciita del Pakistan, Ali Zardari, e non vale più per il suo successore? O il Presidente Rouhani sta solamente apportando ritocchi ad alcune politiche del suo predecessore? È ancora poco chiaro, ma c’è sotto certamente più di quello che sembra.
Rimane da scoprire, come potrà ora il Pakistan riuscire a fare fede ai suoi obblighi contrattuali di completamento del progetto del gasdotto entro la fine del 2014 e, se fallisse, come potrebbe pagare la penale di un milione di dollari al giorno, come previsto nei termini del contratto.
In questo contesto, la relazione dell’India stessa con l’Iran è diventata piuttosto complessa, per dirlo in maniera moderata. Mentre Nuova Delhi mantiene alti livelli di scambi politici, il commercio con l’Iran è senza ombra di dubbio sofferente. La visita del primo ministro a Tehran per il summit dei Paesi non allineati nell’agosto del 2012, seguita dalla visita del vice-presidente Hamid Ansari per il giuramento del Presidente Rouhani nell’agosto del 2013 e dalla visita del ministro degli esteri Salman Khurshid per una riunione congiunta, ha mantenuto alto il livello delle relazioni diplomatiche tra Tehran e Nuova Delhi, durante il peggiore periodo delle sanzioni internazionali. L’India ha anche mantenuto il consueto dialogo sulla sicurezza annuale con Tehran al livello dei Consiglieri nazionali per la sicurezza, nonostante gli alti e bassi causati dal presunto attacco iraniano ad un diplomatico israeliano, nel cuore di Nuova Delhi nel febbraio 2012. L’India non è stata in grado di stabilire se fosse stato orchestrato o eseguito dall’intelligence iraniana, in parte perché gli israeliani non hanno confermato le loro richieste, così come perché l’Iran non ha pienamente cooperato nelle indagini. Il fatto che tutti e tre i bombardamenti che hanno avuto luogo in quel periodo a Delhi, Bangkok e Tbilisi, siano stati talmente raffazzonati, indicano le difficoltà a incolpare l’intelligence di una Nazione per una tale incompetenza.
Il commercio indiano, in vasta parte consistente nelle importazioni di petrolio dall’Iran, ha sofferto immensamente a causa della pressione da parte degli Stati Uniti. L’India ha ridotto le importazioni di petrolio da un picco di 21.81 milioni di tonnellate nel 2008-09 a 14 milioni di tonnellate nel 2012-13. Nuova Delhi ha quasi dimezzato le importazioni di petrolio dall’Iran in cinque anni. Gli Iraniani hanno considerevolmente discusso con la controparte indiana su come l’India abbia potuto lasciare che una nazione terza potesse influenzarla in tal modo, su una transazione puramente commerciale tra due nazioni amiche. Nuova Delhi ha sempre sostenuto, abbastanza giustamente, che la difficoltà era nei pagamenti in denaro contante, poiché tutti i canali bancari internazionali erano stati chiusi, uno per uno. La Hulk Balk in Turchia era rimasta l’unica eccezione, con la Turchia che ha convertito i propri investimenti in dollari in oro, trattando poi con l’Iran.
Poiché le relazioni dell’Iran con gli Stati Uniti hanno iniziato a migliorare, l’India può certamente guardare ad una relazione più forte con Tehran, libera dalle spinte e pressioni di Washington.
(Traduzione dall’inglese di Valentina Bonvini)