sta la recente minaccia di ulteriori sanzioni da parte del Congresso degli Stati Uniti, i termini di riconciliazione con l’Occidente da parte dell’Iran, in seguito alla svolta delle trattative sul nucleare con il P5+1 nel novembre dello scorso anno, sono pronti ad essere implementati a partire dal 20 gennaio. Tehran sembra imperturbata da queste rivelazioni, e la regione è in fermento per i cambiamenti futuri, visto che diverse nazioni stanno per schierarsi dalla parte di Tehran.
La recente intervista dello sceicco di Dubai (BBC, 13 gennaio), che ha candidamente affermato che l’abolizione delle sanzioni verso l’Iran è un bene per la regione, è solo uno degli indici della situazione. Per essere sicuro, ha aggiunto che le politiche di Dubai sono differenti da quelle dell’Arabia Saudita e del Qatar – le due nazioni che hanno attivamente supportato i jihadisti islamici a rovesciare il regime del Presidente siriano Assad, un implacabile alleato dell’Iran. Lo Sceicco ha detto che il suo Paese “non crede nell’interferire nella politica interna dei suoi vicini ma nell’aiutarli”. Il fatto che un sovrano minore del CCG abbia rotto le righe per schierarsi contro la dichiarata politica del gruppo, è una mossa significativa.
Ci sono buone ragioni per spiegarlo. La piccola città-Stato ha beneficiato immensamente dalla tratta e dalla ri-vendita del petrolio iraniano, oltre a mantenere enormi conti off-shore dell’élite iraniana nelle proprie banche. Sebbene mantenga una distanza politica, le relazioni economiche con l’Iran sono sbocciate a un livello informale. Inoltre, durante la pungente crisi valutaria nell’ottobre 2011 e nuovamente nel dicembre 2012, quando i dollari hanno iniziato a scomparire dalla borsa di Tehran e la valore del Rialiraniano è crollato, Tehran si è rivolta a Dubai per ottenere dollari a pieno carico.
La recente affermazione dello sceicco di Dubai è un indizio non solo del desidero dello sceiccato di tenersi al passo con l’alta marea della crescita dell’Iran nella regione, ma anche del deciso indebolimento del potere saudita tra i monarchi del Golfo. Questa situazione è rafforzata dalle relazioni problematiche tra Riyad e gli Stati Uniti. Nel calcolo regionale, non solo tra i monarchi non eletti del Golfo, ma anche tra i leader dal Cairo a Islamabad, c’è un solo semplice teorema – “se la tua relazione con gli USA è cattiva, sei tu a soffrire e non viceversa”. Solo chi si adatta velocemente e si allinea alla posizione del vento che soffia da Washington, ha speranza di sopravvivere e d’incassare.
Anche prima della riconciliazione con l’Iran, gli Stati Uniti avevano già lasciato i propri alleati in Arabia Saudita, Qatar e Turchia allo sbando, lasciandoli ad aggrapparsi ai loro jihadisti che affrontano la disfatta contro un recalcitrante Assad, che si è appena arreso riguardo alla questione delle armi chimiche, ma che si è aggrappato al resto del suo arsenale per annientare i mercenari stranieri. L’agitazione e la rabbia dell’Arabia Saudita, che ha rifiutato di accettare la posizione di membro provvisorio del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per protesta contro questo voltafaccia nella politica statunitense riguardo alla Siria, non ha aiutato la causa.
Le monarchie che hanno appena iniziato a riprendere fiato con l’affievolirsi della “Primavera araba” e la ri-affermazione del vecchio regime militare al Cairo, devono ora battersi contro una nuova realtà – un Iran rinascente che ha sfidato il potente Occidente ed è sopravvissuto a decenni di sanzioni punitive. È importante notare che tutti questi anni di isolamento e sanzioni non ne hanno mandato in bancarotta l’economia, né hanno portato ad una guerra civile, che potesse causare uno sconvolgimento ed il rovesciamento del regime. Tra l’altro, tutto questo è capitato al miglior alleato degli Stati Uniti nella regione, l’Egitto, che non era isolato né sanzionato.
Come il rinascente Iran potrà rispondere ai suoi nemici e ai nemici dei suoi più vicini alleati, la Siria e l’Iraq, rimane una storia eccitante che si svelerà negli anni a venire. L’Iran riprenderà la rivoluzione lasciata in sospeso in Bahrain; riaccenderà le ceneri fumanti nell’est dell’Arabia Saudita dove la minoranza sciita è stata ridotta al silenzio o si focalizzerà prima sul consolidamento del governo dell’alleato Noori al-Maliki, affrontando una guerra civile a Fallujah?
L’Iran è rimasto fedele ai suoi alleati, particolarmente a quelli che sono rimasti al suo fianco durante il suo periodo di isolamento. E adesso farà valere il suo “colpo energetico” sulla regione. Fatemi iniziare con l’Oman. Il sultano dell’Oman, che aveva mantenuto una solida alleanza con l’Iran, nonostante il lungo tratto di terra confinante con l’Arabia Saudita, è stato ampiamente ricompensato. Come stabilito in unmemorandum d’intesa firmato con l’Oman nel dicembre 2013, l’Iran esporterà al sultanato nei prossimi due anni 1 miliardo di metri cubi al giorno di gas attraverso un gasdotto sottomarino, che userà il 70% del gas al proprio interno, ed il resto per la liquefazione in un impianto sottoutilizzato a Sur. Sarà libero di vendere il resto del prodotto a Giappone, India e Corea del sud.
Anche con l’Iraq, l’Iran ha un contratto che prevede d’inviare attraverso un gasdotto, 850 milioni di metri cubi al giorno di gas e sta negoziando un secondo contratto che aumenterebbe le esportazioni a 1.6 miliardi di metri cubi al giorno entro il prossimo anno. È in realizzazione un gasdotto di 226 km tra Ilam e Khosravi, vicino al confine. L’Iraq sta costruendo un gasdotto di 220 km per il trasporto del gas verso impianti energetici vicino a Baghdad, ma il completamento è stato posticipato a causa di problemi di sicurezza. L’Iran sta anche negoziando la costruzione di un gasdotto che colleghi Khoramshahr, in Iran, con Basra, nel sud dell’Iraq, per la consegna di 700 milioni di metri cubi al giorno.
In forte contrasto con questi sviluppi è giunta la notizia che l’Iran ha cancellato il finanziamento per il gasdotto Iran-Pakistan. A metà dicembre 2013, l’Iran ha annunciato la cancellazione della sua proposta di finanziamento di 500 milioni di dollari per la costruzione del gasdotto in territorio pakistano. L’annuncio è giunto come “un improvviso cambio di rotta”, considerato che rappresentanti dei due Paesi si erano incontrati solamente una settimana prima e avevano concordato di “formulare una road map” per completare il progetto. Gli analisti energetici nella regione considerano questa decisione dell’Iran come “una campana a morto per l’economia pakistana”.
Questa decisione indica l’influenza dell’Iran negli affari energetici della regione, nella scelta di chi saranno i suoi clienti e consulenti. L’Iran ha forse deciso che il Pakistan non ha bisogno di concessioni? L’offerta di prestito era stata fatta solo al Presidente sciita del Pakistan, Ali Zardari, e non vale più per il suo successore? O il Presidente Rouhani sta solamente apportando ritocchi ad alcune politiche del suo predecessore? È ancora poco chiaro, ma c’è sotto certamente più di quello che sembra.
Rimane da scoprire, come potrà ora il Pakistan riuscire a fare fede ai suoi obblighi contrattuali di completamento del progetto del gasdotto entro la fine del 2014 e, se fallisse, come potrebbe pagare la penale di un milione di dollari al giorno, come previsto nei termini del contratto.
In questo contesto, la relazione dell’India stessa con l’Iran è diventata piuttosto complessa, per dirlo in maniera moderata. Mentre Nuova Delhi mantiene alti livelli di scambi politici, il commercio con l’Iran è senza ombra di dubbio sofferente. La visita del primo ministro a Tehran per il summit dei Paesi non allineati nell’agosto del 2012, seguita dalla visita del vice-presidente Hamid Ansari per il giuramento del Presidente Rouhani nell’agosto del 2013 e dalla visita del ministro degli esteri Salman Khurshid per una riunione congiunta, ha mantenuto alto il livello delle relazioni diplomatiche tra Tehran e Nuova Delhi, durante il peggiore periodo delle sanzioni internazionali. L’India ha anche mantenuto il consueto dialogo sulla sicurezza annuale con Tehran al livello dei Consiglieri nazionali per la sicurezza, nonostante gli alti e bassi causati dal presunto attacco iraniano ad un diplomatico israeliano, nel cuore di Nuova Delhi nel febbraio 2012. L’India non è stata in grado di stabilire se fosse stato orchestrato o eseguito dall’intelligence iraniana, in parte perché gli israeliani non hanno confermato le loro richieste, così come perché l’Iran non ha pienamente cooperato nelle indagini. Il fatto che tutti e tre i bombardamenti che hanno avuto luogo in quel periodo a Delhi, Bangkok e Tbilisi, siano stati talmente raffazzonati, indicano le difficoltà a incolpare l’intelligence di una Nazione per una tale incompetenza.
Il commercio indiano, in vasta parte consistente nelle importazioni di petrolio dall’Iran, ha sofferto immensamente a causa della pressione da parte degli Stati Uniti. L’India ha ridotto le importazioni di petrolio da un picco di 21.81 milioni di tonnellate nel 2008-09 a 14 milioni di tonnellate nel 2012-13. Nuova Delhi ha quasi dimezzato le importazioni di petrolio dall’Iran in cinque anni. Gli Iraniani hanno considerevolmente discusso con la controparte indiana su come l’India abbia potuto lasciare che una nazione terza potesse influenzarla in tal modo, su una transazione puramente commerciale tra due nazioni amiche. Nuova Delhi ha sempre sostenuto, abbastanza giustamente, che la difficoltà era nei pagamenti in denaro contante, poiché tutti i canali bancari internazionali erano stati chiusi, uno per uno. La Hulk Balk in Turchia era rimasta l’unica eccezione, con la Turchia che ha convertito i propri investimenti in dollari in oro, trattando poi con l’Iran.
Poiché le relazioni dell’Iran con gli Stati Uniti hanno iniziato a migliorare, l’India può certamente guardare ad una relazione più forte con Tehran, libera dalle spinte e pressioni di Washington.
(Traduzione dall’inglese di Valentina Bonvini)
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