Consiglio della cooperazione del Golfo Strappo diplomatico nel Golfo Persico Eleonora Ardemagni 21/03/2014 |
L’inarrestabile rivalità geopolitica fra sauditi e qatarini è sfociata in uno scontro diplomatico senza precedenti dentro il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg). La frattura è destinata a indebolire la proiezione esterna dell’intera Penisola; tuttavia, se la tensione dovesse trasformarsi in un elemento stabile nel sistema-Golfo arabico, Riyadh potrebbe subire danni politici superiori a quelli di Doha.
Perché se il Qatar, primo al mondo per Pil pro capite, dimostra di essere un ottimo battitore libero nella regione, l’Arabia Saudita vuole invece un Ccg integrato per contenere le pulsioni di cambiamento che le rivolte arabe hanno destato fin nella Penisola.
Ambasciatori rinviati a Doha
Il 5 marzo Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti (Eau) hanno ritirato i propri ambasciatori dal Qatar: Doha è accusata di non applicare l’accordo di sicurezza approvato nel 2012 dal Ccg e firmato dai ministri degli interni lo scorso novembre. Il governo qatarino ha reagito con fermezza, dichiarando che non modificherà la sua politica estera, “qualsiasi sia il prezzo da pagare”.
L’accordo rafforza la cooperazione in tema di sicurezza fra gli stati membri, mediante normative comuni per il contrasto del crimine organizzato, l’estradizione degli oppositori interni e la condivisione di informazioni sensibili.
Il testo sancisce soprattutto il principio di non ingerenza negli affari interni dei paesi firmatari, vietando il sostegno a gruppi o individui che minaccino la stabilità dell’area Ccg, sia per via diretta che indiretta.
Riyadh rimprovera quindi a Doha il finanziamento della Fratellanza musulmana in Egitto, Siria e all’interno della stessa Penisola arabica. I molti arresti politici effettuati recentemente dalle autorità saudite ed emiratine nei confronti di presunti affiliati agli ikhwan (Fratelli Musulmani) lasciavano presagire questa escalation diplomatica.
Il 7 marzo l’Arabia Saudita ha poi raddoppiato la pressione politica su Doha, inserendo i Fratelli musulmani nella lista delle organizzazioni considerate terroristiche (come avvenuto in Egitto già a fine dicembre), insieme a Jabhat Al-Nusra, Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante, la branca saudita di Hezbollah e il movimento degli huthi (i dissidenti sciiti zaiditi dello Yemen settentrionale).
Saud contro Al-Jazeera
Se l’Egitto è il fulcro della contesa geopolitica fra Arabia e Qatar, il canale televisivo qatarino Al-Jazeera è stato il terreno di scontro preliminare fra Riyadh e Doha: l’accordo di sicurezza contiene un riferimento ai “media ostili”.
Il nuovo-vecchio Egitto del generale Abedl Fattah al-Sisi condivide le ultime mosse saudite in chiave anti-Qatar, ufficializzate mentre unità militari egiziane si trovavano negli Emirati per esercitazioni congiunte; alcuni giornalisti dell’emittente Al-Jazeera sono sotto processo al Cairo, con l’accusa di terrorismo.
Dopo il ritiro degli ambasciatori, Arabia ed Emirati stanno intimando ai loro reporter assunti in testate giornalistiche del Qatar di abbandonare il posto di lavoro; nata come risposta panaraba alla Cnn, la televisione di Doha sta diventando un ulteriore fattore di divisione dentro la comunità sunnita.
Il Ccg verso l’unione?
Le prossime settimane saranno decisive per scoprire se davvero il Ccg opterà per misure sanzionatorie nei confronti del Qatar. È probabile che il processo di integrazione della Penisola subisca rallentamenti, specie nei capitoli ancora aperti (comando unificato di difesa, sviluppo di un’area di libero scambio, rete ferroviaria); il dialogo Unione europea-Ccg sulla creazione di una free trade zone, già sospeso, potrebbe inabissarsi, rallentando il percorso verso la creazione di un’unione.
Stati Uniti e Turchia hanno molto da perdere in uno scenario di questo tipo: Washington spera in un Golfo stabile per investire risorse politiche sull’Asia-Pacifico, Ankara gioca di sponda con il Qatar per tornare nei giochi mediorientali.
Golfo diviso sull’Iran
La cronaca recente rivela che il Ccg necessita di un collante interno, oltre che di un fornitore esterno di sicurezza (gli Stati Uniti): lo scolorimento della “minaccia Iran”, in seguito al riavvicinamento fra Teheran e la comunità internazionale sta infatti dividendo il fronte arabico.
In pochi mesi, l’Oman ha respinto l’ipotesi di unione politica del Ccg in chiave anti Iran, gli Eau hanno scelto di privilegiare un approccio umanitario ancor prima che ideologico-politico alla crisi siriana, il Qatar ha proseguito la competizione all’estero con il regno wahhabita.
Anche se già nel ‘92 e nel 2002 le relazioni tra Qatar e Arabia Saudita avevano passato momenti difficili, per la prima volta dal 1981, data di nascita del Consiglio di Cooperazione, le monarchie sembrano così mettere in discussione il “patriarcato” saudita sull’organizzazione.
A fine febbraio, mentre le diplomazie lavoravano sottotraccia per evitare il litigio pubblico fra Riyadh e Doha, il ministro degli esteri del Qatar è volato in Iran. Al di là degli interessi gasiferi fra l’emirato e Teheran. (il giacimento North Dome-South Pars), questa mossa è sembrata un colpo all’egemonia saudita nella regione che si confronta proprio sull’Iran.
Magari il preludio a una ricalibrazione di strategia in Siria, dove l’opposizione anti-Assad è ormai egemonizzata da Riyadh.
Eleonora Ardemagni, analista in relazioni internazionali, collaboratrice di Aspenia, ISPI, Limes. Autrice di “Frantumazione della sovranità e nuove sfide di sicurezza: Yemen e penisola del Sinai dopo il 2011”, ISPI Analysis, 2014.
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Perché se il Qatar, primo al mondo per Pil pro capite, dimostra di essere un ottimo battitore libero nella regione, l’Arabia Saudita vuole invece un Ccg integrato per contenere le pulsioni di cambiamento che le rivolte arabe hanno destato fin nella Penisola.
Ambasciatori rinviati a Doha
Il 5 marzo Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti (Eau) hanno ritirato i propri ambasciatori dal Qatar: Doha è accusata di non applicare l’accordo di sicurezza approvato nel 2012 dal Ccg e firmato dai ministri degli interni lo scorso novembre. Il governo qatarino ha reagito con fermezza, dichiarando che non modificherà la sua politica estera, “qualsiasi sia il prezzo da pagare”.
L’accordo rafforza la cooperazione in tema di sicurezza fra gli stati membri, mediante normative comuni per il contrasto del crimine organizzato, l’estradizione degli oppositori interni e la condivisione di informazioni sensibili.
Il testo sancisce soprattutto il principio di non ingerenza negli affari interni dei paesi firmatari, vietando il sostegno a gruppi o individui che minaccino la stabilità dell’area Ccg, sia per via diretta che indiretta.
Riyadh rimprovera quindi a Doha il finanziamento della Fratellanza musulmana in Egitto, Siria e all’interno della stessa Penisola arabica. I molti arresti politici effettuati recentemente dalle autorità saudite ed emiratine nei confronti di presunti affiliati agli ikhwan (Fratelli Musulmani) lasciavano presagire questa escalation diplomatica.
Il 7 marzo l’Arabia Saudita ha poi raddoppiato la pressione politica su Doha, inserendo i Fratelli musulmani nella lista delle organizzazioni considerate terroristiche (come avvenuto in Egitto già a fine dicembre), insieme a Jabhat Al-Nusra, Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante, la branca saudita di Hezbollah e il movimento degli huthi (i dissidenti sciiti zaiditi dello Yemen settentrionale).
Saud contro Al-Jazeera
Se l’Egitto è il fulcro della contesa geopolitica fra Arabia e Qatar, il canale televisivo qatarino Al-Jazeera è stato il terreno di scontro preliminare fra Riyadh e Doha: l’accordo di sicurezza contiene un riferimento ai “media ostili”.
Il nuovo-vecchio Egitto del generale Abedl Fattah al-Sisi condivide le ultime mosse saudite in chiave anti-Qatar, ufficializzate mentre unità militari egiziane si trovavano negli Emirati per esercitazioni congiunte; alcuni giornalisti dell’emittente Al-Jazeera sono sotto processo al Cairo, con l’accusa di terrorismo.
Dopo il ritiro degli ambasciatori, Arabia ed Emirati stanno intimando ai loro reporter assunti in testate giornalistiche del Qatar di abbandonare il posto di lavoro; nata come risposta panaraba alla Cnn, la televisione di Doha sta diventando un ulteriore fattore di divisione dentro la comunità sunnita.
Il Ccg verso l’unione?
Le prossime settimane saranno decisive per scoprire se davvero il Ccg opterà per misure sanzionatorie nei confronti del Qatar. È probabile che il processo di integrazione della Penisola subisca rallentamenti, specie nei capitoli ancora aperti (comando unificato di difesa, sviluppo di un’area di libero scambio, rete ferroviaria); il dialogo Unione europea-Ccg sulla creazione di una free trade zone, già sospeso, potrebbe inabissarsi, rallentando il percorso verso la creazione di un’unione.
Stati Uniti e Turchia hanno molto da perdere in uno scenario di questo tipo: Washington spera in un Golfo stabile per investire risorse politiche sull’Asia-Pacifico, Ankara gioca di sponda con il Qatar per tornare nei giochi mediorientali.
Golfo diviso sull’Iran
La cronaca recente rivela che il Ccg necessita di un collante interno, oltre che di un fornitore esterno di sicurezza (gli Stati Uniti): lo scolorimento della “minaccia Iran”, in seguito al riavvicinamento fra Teheran e la comunità internazionale sta infatti dividendo il fronte arabico.
In pochi mesi, l’Oman ha respinto l’ipotesi di unione politica del Ccg in chiave anti Iran, gli Eau hanno scelto di privilegiare un approccio umanitario ancor prima che ideologico-politico alla crisi siriana, il Qatar ha proseguito la competizione all’estero con il regno wahhabita.
Anche se già nel ‘92 e nel 2002 le relazioni tra Qatar e Arabia Saudita avevano passato momenti difficili, per la prima volta dal 1981, data di nascita del Consiglio di Cooperazione, le monarchie sembrano così mettere in discussione il “patriarcato” saudita sull’organizzazione.
A fine febbraio, mentre le diplomazie lavoravano sottotraccia per evitare il litigio pubblico fra Riyadh e Doha, il ministro degli esteri del Qatar è volato in Iran. Al di là degli interessi gasiferi fra l’emirato e Teheran. (il giacimento North Dome-South Pars), questa mossa è sembrata un colpo all’egemonia saudita nella regione che si confronta proprio sull’Iran.
Magari il preludio a una ricalibrazione di strategia in Siria, dove l’opposizione anti-Assad è ormai egemonizzata da Riyadh.
Eleonora Ardemagni, analista in relazioni internazionali, collaboratrice di Aspenia, ISPI, Limes. Autrice di “Frantumazione della sovranità e nuove sfide di sicurezza: Yemen e penisola del Sinai dopo il 2011”, ISPI Analysis, 2014.
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