di Alessio Pecce
Lo schianto dell'Airbus A312
russo sulla Penisola del Sinai fa riflettere, media e opinione pubblica, sull'attuale intervento
del Cremlino e quindi quanto nella fattispecie sia convenuto schierare le forze
armate in terra siriana. Resta da capire quanto è alto il livello di rischio di
un attacco jihadista, anche se attualmente la situazione resta stabile e sotto
controllo. I raid aerei di Mosca in difesa di Bashar al Assad contro i ribelli
sunniti, rappresentano il continuum di un'azione intrapresa e quindi portata
avanti con determinazione, senza dimenticare che gli attacchi aerei potrebbero
aumentare, così come le azioni di terra, non preoccupandosi dei civili. Alla
base dell'intervento russo e quindi la sua ferma volontà nel proseguire
appoggiando il governo siriano contro il fenomeno terroristico, c'è senz'altro
l'esperienza alle spalle riguardo la minaccia dei miliziani islamici della
Cecenia. L'alleanza tra Putin e Assad ha inoltre provocato nel ramo siriano di
Al Quaeda (Fronte al nusra) a esortare i suoi sostenitori ad attaccare i civili
in Russia e i militari in Siria. L'intervento russo ha colto impreparata
l'amministrazione statunitense, secondo la quale tutto ciò comporterà un
effetto boomerang nei confronti di Mosca
e quindi il rischio di una serie di azioni terroristiche. Nel frattempo
Mosca fa la conta dei cittadini russi partiti volontari e pronti a far parte
dello Stato Islamico: nel mese di febbraio, secondo il Servizio di sicurezza
federeale russo (Fsb) circa 1700 soggetti sono partiti per far parte dell'ISIS,
mentre qualche giorno fa il presidente Putin ha rinnovato la cifra dichiarando
tra 5000 e 7000. Tutto ciò è stato inoltre incentivato dal Fbs che permettendo
ai miliziani musulmani di lasciare il paese per combattere in territorio
siriano, ha creato una sorta di “canale” utile a liberare il territorio russo
da potenziali attentatori. Secondo un ex funzionario della Cia, con esperienza
lavorativa in Medio Oriente, l'allenza tra Russia-Assad-Iran ha fatto
imbestialire i governi sunniti di tutto il mondo, soprattutto l'Arabia Saudita,
i quali saranno disponibili nel fornire la maggior quantità di armi possibili
ai ribelli siriani. D'altra parte chi manca all'appello, in senso operativo,
nell'attuale conflitto siriano sono gli Stati Uniti che sono riusciti a
convincere, almeno fino ad oggi, i loro alleati del Golfo a non fornire
equipaggiamento bellico ai ribelli, visto e considerato che potrebbero finire
agli estremisti ed essere di conseguenza utilizzate contro obiettivi
occidentali e aviazione araba: azione da evitare per il bene della pace
globale. Solo il tempo dirà se l'intervento russo in Siria abbia comportato
gravi danni e pericoli al Cremlino.
Alessio Pecce
(alessio-p89@libero.it)
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