di Alessandro Imbriglia
Anche se non vi è ancora una chiara evidenza
empirica, pare che lo schianto del volo Kogalymavia 9268, precipitato il 31
ottobre nel Sinai con 224 persone a bordo, sia riconducibile ad un attentato e
non da un problema tecnico. A parte l’immediata rivendicazione da parte di un
gruppo jihadista affiliato al gruppo Stato islamico, considerata poco
attendibile dalle autorità egiziane, fin dall’inizio l’ipotesi dell’incidente non
è parsa una pista attendibile, mentre appare logica la supposizione, anche se
ancora da convalidare, dell’eventuale nesso fra l’attentato terroristico e la
guerra in Siria. La tragedia ha investito la Russia, che alla fine di settembre
è intervenuta direttamente nel conflitto siriano a fianco del governo di Bashar
al Assad, ma anche l’Egitto, primo fra gli stati islamici a palesare l’esigenza
di un’azione militare della Russia in Siria. L’aereo, partito da Sharm el
Sheikh, capitale dell’economia turistica egiziana, si è schiantato nel Sinai, una
zona di grande rilevanza strategica, dilaniata dal conflitto fra l’esercito
egiziano e i jihadisti legati allo Stato islamico. Fino a questo momento il
punto cardine della strategia militare di Mosca è stato il supporto militare e
logistico ad Assad per preservare e rafforzare le basi di Tartus e Lattakia
nella Siria occidentale. L’ipotesi del’attento jihadista potrebbe essere
riconducibile ad un fine preciso: indurre la Russia a riformulare la propria
posizione diplomatica e la propria influenza in Siria. L’incidente è seguito al
summit internazionale, che ha visto in via esclusiva tutti i
paesi coinvolti nel conflitto siriano seduti attorno allo stesso tavolo per
giungere a un compresso e formulare una strategia politica che possa arrestare
il conflitto in Siria. Il vertice è il primo risultato di un’iniziativa
diplomatica lanciata dalla Russia parallelamente all’intervento militare in
Siria. L’Iran e la Russia
desiderano che all’interruzione della guerra civile segua un periodo di transizione in cui Assad resti
al potere il tempo necessario a organizzare delle elezioni. L’intervento in
favore di Assad ha convinto Mosca e i suoi alleati di avere un maggior potere
di contrattazione nella diplomazia internazionale, ma il probabile attentato al
Kogalymavia sovverte il marchio della potenza e dell’incolumità pubblicizzato
dal governo russo e attesta un’evidente esposizione alla minaccia del
terrorismo anche al di fuori dei propri confini. In questa situazione il
Cremlino potrebbe cercare una soluzione parziale e indolore, anche a costo di
fare concessioni sostanziali alle monarchie del golfo e alla Turchia. Cedere un
margine di manovre a questi ultimi, in particolar modo a Riyad, significherebbe
condividere l’idea secondo cui la destituzione immediata del regime alauita è
un passaggio imprescindibile per la risoluzione dell’empasse siriano. Guarda
caso, il 3 novembre, il ministero degli esteri russi ha fatto sapere che la
permanenza di Assad al potere non è una condizione iimprescindibile per giungere ad un compromesso, alimentando una certa inquietudine a Teheran.) novembre 2011
Alessandro Imbriglia
ugo1990@hotmail.it
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