lunedì 30 novembre 2015

Dove porta la pista dell’attentato al Kogalymavia 9268

di Alessandro Imbriglia
 Anche se non vi è ancora una chiara evidenza empirica, pare che lo schianto del volo Kogalymavia 9268, precipitato il 31 ottobre nel Sinai con 224 persone a bordo, sia riconducibile ad un attentato e non da un problema tecnico. A parte l’immediata rivendicazione da parte di un gruppo jihadista affiliato al gruppo Stato islamico, considerata poco attendibile dalle autorità egiziane, fin dall’inizio l’ipotesi dell’incidente non è parsa una pista attendibile, mentre appare logica la supposizione, anche se ancora da convalidare, dell’eventuale nesso fra l’attentato terroristico e la guerra in Siria. La tragedia ha investito la Russia, che alla fine di settembre è intervenuta direttamente nel conflitto siriano a fianco del governo di Bashar al Assad, ma anche l’Egitto, primo fra gli stati islamici a palesare l’esigenza di un’azione militare della Russia in Siria. L’aereo, partito da Sharm el Sheikh, capitale dell’economia turistica egiziana, si è schiantato nel Sinai, una zona di grande rilevanza strategica, dilaniata dal conflitto fra l’esercito egiziano e i jihadisti legati allo Stato islamico. Fino a questo momento il punto cardine della strategia militare di Mosca è stato il supporto militare e logistico ad Assad per preservare e rafforzare le basi di Tartus e Lattakia nella Siria occidentale. L’ipotesi del’attento jihadista potrebbe essere riconducibile ad un fine preciso: indurre la Russia a riformulare la propria posizione diplomatica e la propria influenza in Siria. L’incidente è seguito al summit internazionale,  che ha visto in via esclusiva tutti i paesi coinvolti nel conflitto siriano seduti attorno allo stesso tavolo per giungere a un compresso e formulare una strategia politica che possa arrestare il conflitto in Siria. Il vertice è il primo risultato di un’iniziativa diplomatica lanciata dalla Russia parallelamente all’intervento militare in Siria.  L’Iran e la Russia desiderano che all’interruzione della guerra civile segua  un periodo di transizione in cui Assad resti al potere il tempo necessario a organizzare delle elezioni. L’intervento in favore di Assad ha convinto Mosca e i suoi alleati di avere un maggior potere di contrattazione nella diplomazia internazionale, ma il probabile attentato al Kogalymavia sovverte il marchio della potenza e dell’incolumità pubblicizzato dal governo russo e attesta un’evidente esposizione alla minaccia del terrorismo anche al di fuori dei propri confini. In questa situazione il Cremlino potrebbe cercare una soluzione parziale e indolore, anche a costo di fare concessioni sostanziali alle monarchie del golfo e alla Turchia. Cedere un margine di manovre a questi ultimi, in particolar modo a Riyad, significherebbe condividere l’idea secondo cui la destituzione immediata del regime alauita è un passaggio imprescindibile per la risoluzione dell’empasse siriano. Guarda caso, il 3 novembre, il ministero degli esteri russi ha fatto sapere che la permanenza di Assad al potere non è una condizione iimprescindibile per giungere ad un compromesso, alimentando una certa inquietudine a Teheran.) novembre 2011
 Alessandro Imbriglia
ugo1990@hotmail.it

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