Numerosi cittadini turchi guardano all’Unione europea, Ue, con riluttanza. Non solo a causa dello scarso riguardo mostrato nei confronti del loro Paese, ma per il doppio standard che questa sta utilizzando. Tuttavia, secondo il Primo Ministro Ahmet Davutoglu, in seguito al summit di domenica a Bruxelles, la situazione potrebbe cambiare.
Dopo una lunga attesa, la Turchia ha infatti ottenuto il riconoscimento del suo peso geopolitico dall’Ue. Ankara riceverà tre miliardi di euro in aiuti finanziari, in cambio del contenimento del flusso dei rifugiati provenienti dalla Siria, sempre più devastata dalla guerra. Si attende l’apertura di un nuovo capitolo della saga della ‘adesione’ all’Ue per rinvigorire i negoziati ormai da tempo in fase di stallo.
In segno di rispetto nei confronti della Turchia, gli alti funzionari dell’Ue hanno accettato di istituire due summit l’anno. Inoltre, i cittadini turchi possono sorridere davanti alla prospettiva dell’esenzione del visto per i viaggi verso l’area Schengen entro la fine del 2016, a condizione però che l’accordo di riammissione venga attuato e che venga realizzata una mappa nel rispetto di determinati requisiti tecnici.
Si può quindi parlare di svolta decisiva nella saga Ue-Turchia? Non proprio. Infatti, fino a quando la questione di Cipro rimarrà irrisolta, battezzare il summit come una svolta è un’esagerazione.
Politica monetaria, un nuovo capitolo per l’adesione Un colloquio sull’apertura di un nuovo capitolo di adesione - verosimilmente sulla politica monetaria - era già nell’aria dalla metà del 2014, ma gli sforzi per aprire capitoli più rilevanti quali giustizia, diritti umani ed energia sono continuamente arrestati da Cipro.
Proprio come avvenne due anni fa, quando l’apertura dell’ultimo capitolo - quello sulle politiche regionali - non ebbe pressoché alcun impatto sulle relazioni Ue-Turchia, crearne uno nuovo adesso farebbe poca differenza.
Con 14 capitoli già aperti e 21 ancora da aprire, i negoziati di adesione si trascinano da un decennio. Per questo servirà molto più di una singola occasione per rivitalizzare il - moribondo - processo di adesione.
Turchia, oggi più che mai lontana dagli standard Ue Soprattutto, l’attuale clima politico turco non sembra promettere nessun miglioramento in quanto a conformità con le norme e gli standard Ue. La centralizzazione del potere, il rinnovato conflitto con i curdi del Pkk, le pressioni sui mezzi di informazione e l’assassinio di un prominente attivista dei diritti umani - chiunque ne sia responsabile - fanno della Turchia del 2015 un Paese sempre più simile a quello del 1995; non lo stato pieno di speranze che il partito Akp di un tempo guidava all’inizio del ventunesimo secolo.
L’Ue non può illudersi di rovesciare la situazione politica in Turchia - e di riacquisire così il ruolo di catalizzatore delle riforme democratiche turche - centellinando un capitolo alla volta nel processo di adesione.
Anzi, aprire un nuovo capitolo ora - per di più non connesso alla questione diritti umani - rischia di mandare al raggiante Davutoglu un messaggio fuorviante, ovvero che le norme Ue sono negoziabili.
A parità di condizioni, le dinamiche attuali spingono la Turchia verso il partenariato strategico chiamato già un tempo dai democratici cristiani europei.
I pilastri di questa partnership sono la modernizzazione dell’accordo sull’unione doganale, concessioni sulla liberalizzazione dei visti, e cooperazione nell’ambito della politica estera, in particolare rispetto alle questioni di alto profilo quali la migrazione e l’energia. Tuttavia, tale partnership è fondata su interessi, parzialmente convergenti, non sui valori.
Il presidente Racep Tayip Erdoğan ha comunque ragione di esultare. Dopo il trionfo elettorale del primo novembre, ha ora guadagnato punti a Bruxelles. Il colpo potrebbe tornargli inoltre utile per affrontare la Russia senza giocarsi la faccia in seguito alla crisi scatenata dal recente abbattimento del Sukhoi-24, lungo il confine con la Siria.
I dubbi dei democratici e liberali Tuttavia, un dubbio attanaglia i democratici e i liberali turchi insieme a tutti quegli europei che credono nella possibilità di un futuro europeo per la Turchia: accettare l’offerta dell’Ue, nella speranza che quest’ultima ammorbidisca l’approccio del governo verso l’opposizione, o rifiutarla perché significherebbe per l’Ue svendersi e chiudere un occhio alla chiusura del governo verso diritti e libertà?
È il dubbio di Groucho Marx che si ripete, quello del “Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me”.
Le cose potrebbero andare storte. La liberalizzazione dei visti ai cittadini turchi in area Schengen non è un affare già concluso: potrebbe infatti andare a rotoli, rimanere incompiuto o stemperato dalle pressioni dei partiti anti-immigrazione, che sono sempre più in ascesa in Francia e in molti altri Stati Membri dell’Ue.
Coloro che cercano asilo potrebbero continuare ad arrivare in massa, preferendo rotte diverse rispetto alla Turchia. I colloqui sulla modernizzazione dell’Unione doganale con Ankara potrebbero giungere a un punto morto, tanto quanto quelli per i negoziati di adesione.
In tal caso si assisterà a recriminazioni varie e ad accuse vicendevoli tra Turchia e Ue. E se anche il Piano d’Azione dovesse essere pienamente attuato, questo non garantirebbe in nessun modo una ripresa di un circolo virtuoso caratterizzato da riforme turche e integrazione europea.
Tuttavia, una speranza c’è. L’Ue, oggi, potrebbe avere dato un nuovo vigore al processo di adesione turco, per ragioni che non hanno niente a che fare con l’europeizzazione della Turchia, ma il risultato potrebbe essere comunque positivo.
Se un accordo venisse raggiunto nei prossimi mesi a Cipro, il conseguente disgelo della maggior parte dei capitoli riguardanti l’adesione all’Ue potrebbe inserirsi nel nuovo clima politico europeo dove il valore strategico della Turchia è definitivamente apprezzato. E a quel punto una genuina rivitalizzazione delle relazioni Ue-Turchia, nonché un impeto turco a favore della riforma non potrebbero non accadere.
Non tutto ciò che si fa viene fatto per i giusti motivi. Ciononostante, forse e solo forse, l’esito potrebbe essere in qualunque modo positivo.
Dimitar Bechev è Direttore dell’European Policy Institute (Sofia) e Visiting Scholar presso il Center for European Studies, Harvard University. Nathalie Tocci è vicedirettore dello IAI.
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