Di Alessandro Ugo Imbriglia
Dal primo ottobre le violenze in Palestina e
Israele hanno causato circa settanta morti palestinesi e almeno nove israeliani. Emblematica è
l’immagine dei gruppi di studenti palestinesi mentre danneggiano il muro che
separa le città di Gerusalemme e Abu Dis in Cisgiordania. I manifestanti hanno
preso il muro a picconate, bruciato copertoni, lanciato pietre, fino ad
arrampicarsi sulla barriera. Solo a quel punto i soldati israeliani hanno restaurato
l’ordine con il lancio di lacrimogeni. Le parole di Netanyahu al
trentasettesimo Congresso sionista mondiale a Gerusalemme non fanno altro che
alimentare il clima di terrore e l’astio fra Israeliani e Palestinesi. Il
premier israeliano avrebbe affermato che Adolf Hitler ha deciso di sterminare
gli ebrei su suggerimento di un palestinese, Haj Amin al Husseini, una
prestigiosa autorità islamica. Husseini ha incontrato Hitler a Berlino nel
novembre del 1941, ha dichiarato Netanyahu (anche se non ci sono resoconti di
questo evento), e in circostanze simili avrebbe concepito l’idea dell’olocausto.
Secondo questa fantasiosa ricostruzione Al Husseini sarebbe stato l’ideatore e
promotore di un piano diabolico: annientare gli ebrei per escludere l’ipotesi di
un loro insediamento in Palestina. Tale falsificazione storica, tesa a
rimarcare un improbabile odio endemico dei palestinesi nei confronti degli
ebrei e l’ideazione dell’Olocausto da parte dei primi, ha come fine ultimo quello di dimostrare che la politica di creazione e ampliamento
d’insediamenti ebraici in Cisgiordania non è la causa della recente ondata di
attacchi contro ebrei israeliani condotti da giovani palestinesi. Il fenomeno è legato in particolar modo alla disperazione dei giovani
palestinesi, che assistono alla sottrazione progressiva della proprie terre da
parte dei coloni israeliani e non credono che Netanyahu consentirà mai loro di
avere un proprio stato nei territori occupati. A vent’anni dall’assassinio di
Yitzhak Rabin, gli accordi di Oslo del 1993 sono andati in frantumi con
l’immediata ascesa al potere di Netanyahu, nel 1996. L’attuale presidente
israeliano ha espanso gli insediamenti ed eroso il rapporto di fiducia con le
autorità palestinesi, pregiudicando irreversibilmente ogni possibilità di ulteriore
attuazione degli accordi. In tal modo ha favorito le condizioni ideali dalle
quali sono scaturiti gli attacchi terroristici, gli omicidi e gli accoltellamenti
a cui assistiamo tutt’ora. Nell’ultimo mese, le tensioni fra israeliani e
palestinesi in Cisgiordania hanno avuto serie ripercussioni anche nella
Striscia di Gaza; gli scontri con le forze dell’ordine israeliane hanno
condotto alla morte di diciassette palestinesi, il dato più alto dalla fine
dell’offensiva israeliana del 2014. Nell’enclave oltre il 40 per cento della
popolazione non ha un lavoro e il numero dei palestinesi che vive al di sotto
della soglia di povertà rasenta la stessa percentuale dei non occupati. Sono
sempre di più i giovani, che in condizioni di miseria e conseguente
disperazione, non trovano altro rimedio che togliersi la vita.
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