martedì 15 dicembre 2015

Il conflitto israelo-palestinese a vent’anni dalla morte di Rabin

Di Alessandro Ugo Imbriglia

Dal primo ottobre le violenze in Palestina e Israele hanno causato circa settanta morti palestinesi  e almeno nove israeliani. Emblematica è l’immagine dei gruppi di studenti palestinesi mentre danneggiano il muro che separa le città di Gerusalemme e Abu Dis in Cisgiordania. I manifestanti hanno preso il muro a picconate, bruciato copertoni, lanciato pietre, fino ad arrampicarsi sulla barriera. Solo a quel punto i soldati israeliani hanno restaurato l’ordine con il lancio di lacrimogeni. Le parole di Netanyahu al trentasettesimo Congresso sionista mondiale a Gerusalemme non fanno altro che alimentare il clima di terrore e l’astio fra Israeliani e Palestinesi. Il premier israeliano avrebbe affermato che Adolf Hitler ha deciso di sterminare gli ebrei su suggerimento di un palestinese, Haj Amin al Husseini, una prestigiosa autorità islamica. Husseini ha incontrato Hitler a Berlino nel novembre del 1941, ha dichiarato Netanyahu (anche se non ci sono resoconti di questo evento), e in circostanze simili avrebbe concepito l’idea dell’olocausto. Secondo questa fantasiosa ricostruzione Al Husseini sarebbe stato l’ideatore e promotore di un piano diabolico: annientare gli ebrei per escludere l’ipotesi di un loro insediamento in Palestina. Tale falsificazione storica, tesa a rimarcare un improbabile odio endemico dei palestinesi nei confronti degli ebrei e l’ideazione dell’Olocausto da parte dei primi,  ha come fine ultimo quello di dimostrare che la  politica di creazione e ampliamento d’insediamenti ebraici in Cisgiordania non è la causa della recente ondata di attacchi contro ebrei israeliani condotti da giovani palestinesi. Il fenomeno è legato in particolar modo alla disperazione dei giovani palestinesi, che assistono alla sottrazione progressiva della proprie terre da parte dei coloni israeliani e non credono che Netanyahu consentirà mai loro di avere un proprio stato nei territori occupati. A vent’anni dall’assassinio di Yitzhak Rabin, gli accordi di Oslo del 1993 sono andati in frantumi con l’immediata ascesa al potere di Netanyahu, nel 1996. L’attuale presidente israeliano ha espanso gli insediamenti ed eroso il rapporto di fiducia con le autorità palestinesi, pregiudicando irreversibilmente ogni possibilità di ulteriore attuazione degli accordi. In tal modo ha favorito le condizioni ideali dalle quali sono scaturiti gli attacchi terroristici, gli omicidi e gli accoltellamenti a cui assistiamo tutt’ora. Nell’ultimo mese, le tensioni fra israeliani e palestinesi in Cisgiordania hanno avuto serie ripercussioni anche nella Striscia di Gaza; gli scontri con le forze dell’ordine israeliane hanno condotto alla morte di diciassette palestinesi, il dato più alto dalla fine dell’offensiva israeliana del 2014. Nell’enclave oltre il 40 per cento della popolazione non ha un lavoro e il numero dei palestinesi che vive al di sotto della soglia di povertà rasenta la stessa percentuale dei non occupati. Sono sempre di più i giovani, che in condizioni di miseria e conseguente disperazione, non trovano altro rimedio che togliersi la vita.

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