Guerra al Califfato Il diritto internazionale e l’intervento contro l’Isis Natalino Ronzitti 16/11/2015 |
Come rispondere all’attacco terrorista di Parigi? Le soluzioni prefigurate da esperti e politici sono molteplici e spesso confuse. Il Presidente francese François Hollande ha qualificato l’attacco come un “atto di guerra” e taluni considerano imminente una risposta militare.
Da parte di chi? Della sola Francia, peraltro già impegnata insieme agli alleati in bombardamenti aerei in Siria? Da parte di una “coalizione di volenterosi”, che farebbe registrare un salto di qualità alle operazioni militari già in atto? Da parte della Nato, mediante l’attivazione dell’art. 5 del Trattato? Per non parlare dell’Unione europea che, tuttavia, con i mezzi a disposizione non può andare oltre ad una politica assertiva e declamatoria.
Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
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Lasciamo ad altri l’esame dell’opportunità “politica” di un’azione militare e concentriamoci invece sulla sua legalità dal punto di vista del diritto internazionale.
I bombardamenti in corso contro l’Isis
Le attuali azioni militari degli Stati Uniti, della Francia e di altri Stati impegnati contro l’Isis in Iraq trovano la loro fonte di legittimità nella richiesta di intervento formulata dal governo iracheno, alle prese con una entità insurrezionale, che combatte con metodi terroristici, stanziata in buona parte del suo territorio.
Ma i bombardamenti avvengono anche contro le postazioni in Siria, dove l’Isis esercita un controllo territoriale. In Siria, se si prescinde dalla Russia, le cui azioni militari sono legittimate dalla richiesta di Bashar Al-Assad, il fondamento dei bombardamenti occidentali sta nella legittima difesa collettiva esercitata a favore del governo iracheno.
Poiché gli attacchi provengono dal territorio siriano, l’Iraq è autorizzato ad agire a titolo di legittima difesa individuale e a chiedere il soccorso di altri Stati, che agiranno a titolo di legittima difesa collettiva. Il fondamento è l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite (NU) che consente la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato.
Ormai è consolidata la tesi, quantunque contestata da qualche autore, secondo cui l’attacco armato che dà diritto a reagire in legittima difesa possa provenire non solo da uno stato, ma anche da un attore non statale. In questa categoria si colloca infatti l’Isis, quantunque pretenda di chiamarsi “stato”.
L’attacco alla Francia e l’art. 5 della Nato
Ove venisse confermata la paternità dell'Isis per la strage di Parigi, l’attacco alla Francia rivendicato dall’Isis cambierebbe completamente lo scenario. La Francia, avendo subito un attacco armato diretto, può agire autonomamente in legittima difesa ex art. 51 della Carta delle N U.
La Francia, in quanto membro della Nato, potrebbe invocare anche l’art. 5 del relativo trattato, per cui un attacco contro uno stato membro è da considerare come un attacco contro tutti i membri, che hanno l’obbligo di prestare l’assistenza militare che giudicheranno necessaria.
In altri termini, gli alleati dovranno assistere lo stato attaccato invocando l’esercizio della legittima difesa collettiva. È da ricordare che l’art. 5 è stato attuato solo una volta in occasione dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono nel 2001 proprio in occasione di un attacco proveniente da un’organizzazione terroristica: Al-Qaida.
Si badi bene che la reazione in legittima difesa non deve essere autorizzata da nessuno e tantomeno dalle Nazioni Unite. Il dispositivo dell’art. 51 è chiaro. L’azione militare dovrà terminare solo quando il Consiglio di Sicurezza delle NU avrà preso tutte le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Disposizione che, a causa dell’impotenza militare del Consiglio, si è rivelata difficilmente attuabile. L’intervento militare in legittima difesa è assoggettato ai requisiti della necessità e della proporzionalità.
Sul primo requisito non occorre spendere molte parole. La necessità è di palmare evidenza e tra l’altro l’intervento dovrebbe servire a scongiurare futuri attacchi. Quanto al secondo, non credo che esso dovrebbe limitare l’azione bellica, ma potrebbe comportare la completa distruzione dell’Isis e la sua estinzione come entità non statale, nel rispetto, ovviamente, delle regole del diritto internazionale bellico.
Il ruolo dell’Italia
E l’Italia? I tentennamenti e le giravolte le abbiamo già viste in occasione della decisione (non presa) di un intervento militare contro le postazioni dell’Isis in Iraq, che non si limitasse a mere azioni di ricognizione.
L’attacco di Parigi e l’eventuale azione collettiva della Nato cambiano i termini del problema. In questo caso, l’art. 5 del Patto ci obbliga a dare tutta l’assistenza che lo stato italiano giudicherà necessaria. Il che significa che non c’è nessun obbligo di intervento militare automatico, secondo un’interpretazione consolidata dell’art. 5 e l’Italia, per assolvere gli obblighi, potrebbe limitarsi al solo supporto logistico, senza un sostanziale mutamento della linea fin qui seguita.
Al solito la scelta è di natura politica. Qualora, tuttavia, si decidesse d’intervenire militarmente l’art. 11 della Costituzione non sarebbe d’ostacolo poiché la disposizione condanna la guerra d’aggressione, ma consente l’intervento in legittima difesa individuale e collettiva, che è un diritto connaturato con l’esistenza stessa dello stato.
Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
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