lunedì 30 novembre 2015

Il futuro della Siria passa per Vienna

 di Alesandro Ugo Imbriglia
Mentre l’Osservatorio siriano ha registrato almeno quaranta morti e un centinaio di feriti in seguito ad un bombardamento aereo condotto dal regime siriano in un mercato di Duma, pochi chilometri a nordest della capitale Damasco, si sono svolti all’hotel Imperial di Vienna i nuovi negoziati internazionali per una soluzione al conflitto siriano. L’obiettivo dei colloqui era giungere ad un accordo condiviso che consentisse di arrestare i combattimenti e tracciare una linea d’azione chiara per mettere fine al regime del presidente Bashar al Assad. L’incontro coinvolgeva i ministri degli esteri di Stati Uniti, Russia, Turchia e Arabia Saudita, delegati dell’Unione europea, delle Nazioni Unite e di diciassette paesi, tutti considerati “attori rilevanti” della crisi; così li ha definiti l’alta rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini. Non erano presenti rappresentanti dell’opposizione siriana. Oltre al segretario di stato statunitense, John Kerry e al rappresentante della diplomazia russa Sergej Lavrov, a Vienna era presente anche il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Singolare e quasi inaspettata è stata la presenza dell’Iran, fedele alleato del regime alauita siriano. La Repubblica islamica infatti non era stata invitata alle precedenti conferenze che si erano tenute a Ginevra nel 2012 e nel 2014. I partecipanti ai negoziati  hanno espresso l’intento ampiamente condiviso di conservare l'integrità e la sovranità della Siria come Stato indipendente, di distruggere lo Stato Islamico ed altri gruppi terroristici e sostenere i profughi siriani nei Paesi che li ospitano. Per giungere a questi risultati le Nazioni Unite dovrebbero favorire e condurre a una convergenza fra rappresentanti del governo siriano e l’opposizione, avviando «un processo politico che conduca a un governo credibile, inclusivo, non settario, seguito da una nuova Costituzione e da elezioni». Significativa è stata l’apertura dell’Iran all’uscita progressiva del presidente siriano Assad, attraverso  un periodo di transizione di circa sei mesi seguito da elezioni. Decisivo sarà il ruolo giocato dalla Russia sul futuro del regime alauita. In uno scenario così complesso la sola certezza è che il presidente statunitense Barack Obama invierà decine di consiglieri dei reparti speciali in territorio siriano per supportare le frange dei ribelli moderati che combattono contro lo Stato islamico. Anche se l’operazione riguarderà un nucleo di decine di militari, si tratta di un capovolgimento strategico in piena contraddizione con le dichiarazioni epocali di Obama del 2013, con le quali promise che non avrebbe più inviato reparti di terra in Siria. Molto probabilmente il contingente militare sarà composto da circa sessanta unità dei reparti scelti, che avranno funzioni di consulenza e assistenza logistica per i gruppi moderati che si oppongono ad Assad e allo Stato islamico, già armati ed equipaggiati dagli Stati Uniti. Sul fronte iracheno verrà costituita una task force incaricata delle operazioni speciali, al cui interno sarà integrato un numero imprecisato di forze statunitensi, con il fine di potenziare le incursioni contro lo Stato Islamico sul confine tra Siria e Iraq.
 1 novembre 2015
Alessandro Ugo Imbriglia
ugo1990@hotmail.it




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