di Alesandro Ugo Imbriglia
Mentre l’Osservatorio siriano ha
registrato almeno quaranta morti e
un centinaio di feriti in seguito ad un bombardamento aereo condotto dal regime
siriano in un mercato di Duma, pochi chilometri a nordest della capitale
Damasco, si sono svolti all’hotel Imperial di
Vienna i nuovi negoziati internazionali per una soluzione al conflitto siriano.
L’obiettivo dei colloqui era giungere
ad un accordo condiviso che
consentisse di arrestare i combattimenti e tracciare una linea d’azione chiara
per mettere fine al regime del presidente Bashar al Assad. L’incontro coinvolgeva
i ministri degli esteri di Stati Uniti, Russia, Turchia e Arabia Saudita, delegati dell’Unione europea, delle
Nazioni Unite e di diciassette paesi, tutti considerati “attori rilevanti”
della crisi; così li ha definiti l’alta rappresentante della politica estera
dell’Ue, Federica Mogherini. Non erano presenti rappresentanti dell’opposizione
siriana. Oltre
al segretario di stato
statunitense, John Kerry e al rappresentante della diplomazia russa Sergej
Lavrov, a Vienna era presente anche il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Singolare e quasi
inaspettata è stata la presenza dell’Iran, fedele alleato del regime alauita
siriano. La Repubblica islamica infatti non era stata invitata alle precedenti
conferenze che si erano tenute a Ginevra nel 2012 e nel 2014. I partecipanti ai
negoziati hanno espresso l’intento ampiamente
condiviso di conservare l'integrità e la sovranità della Siria come Stato
indipendente, di distruggere lo Stato Islamico ed altri gruppi terroristici e
sostenere i profughi siriani nei Paesi che li ospitano. Per giungere a questi risultati le Nazioni Unite
dovrebbero favorire e condurre a una convergenza fra rappresentanti del governo
siriano e l’opposizione, avviando «un processo politico che conduca a un
governo credibile, inclusivo, non settario, seguito da una nuova Costituzione e
da elezioni». Significativa è stata l’apertura dell’Iran all’uscita progressiva
del presidente siriano Assad, attraverso
un periodo di transizione di circa sei mesi seguito da elezioni.
Decisivo sarà il ruolo giocato dalla Russia sul futuro del regime alauita. In uno scenario così complesso la sola certezza è che il
presidente statunitense Barack Obama invierà
decine di consiglieri dei reparti speciali in
territorio siriano per supportare le frange dei ribelli moderati che combattono
contro lo Stato islamico. Anche se l’operazione riguarderà un nucleo di decine
di militari, si tratta di un capovolgimento strategico in piena contraddizione con
le dichiarazioni epocali di Obama del 2013, con le quali promise che non
avrebbe più inviato reparti di terra in Siria. Molto probabilmente il contingente militare sarà composto da circa
sessanta unità dei reparti scelti, che avranno funzioni di consulenza e
assistenza logistica per i gruppi moderati che si oppongono ad Assad e allo
Stato islamico, già armati ed equipaggiati dagli Stati Uniti. Sul fronte
iracheno verrà costituita una task force incaricata delle operazioni speciali,
al cui interno sarà integrato un numero imprecisato di forze statunitensi, con
il fine di potenziare le incursioni contro lo Stato Islamico sul confine tra
Siria e Iraq.
Alessandro Ugo Imbriglia
ugo1990@hotmail.it
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