martedì 30 maggio 2017

Arabia Saudita: rapporti con USA

Il discorso di Riad
Trump, una politica mediorientale debole
Roberto Aliboni
24/05/2017
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Il discorso che il 21 maggio, nella sua prima uscita all’estero, il presidente Trump ha fatto al vertice arabo-islamico-americano di Riad, nell’ambito della sua visita ufficiale in Arabia Saudita, ha lasciato un messaggio un po’ brusco.

Non ha fatto alcun commento sui legami fra terrorismo e religione, fra estremismo e Medio Oriente, fra islamismo e jihadismo. Ha semplicemente detto che musulmani e americani sono uniti dalla urgente necessità di combattere l’estremismo e il terrorismo che imperversa nella regione e si diffonde oltre i suoi confini.

Trump ha poi affermato che in questa prospettiva “America is prepared to stand with you - in pursuit of shared interests and common security. But the nations of the Middle East cannot wait for American power to crush this enemy for them. The nations of the Middle East will have to decide what kind of future they want for themselves, for their countries, and for their children. It is a choice between two futures - and it is a choice America CANNOT make for you”.

Infine ha sottolineato il ruolo maggiore che l’Iran gioca nel suscitare e appoggiare estremismo e terrorismo.

Il messaggio e le reazioni
Tutto questo implica un minore impegno diretto degli Stati Uniti e contestualmente un appoggio politico senza tentennamenti e incertezze alla luce della lotta comune contro il terrorismo e l’estremismo. È un incoraggiamento ad accrescere l’impegno militare diretto degli arabi, ma anche a esercitare la necessaria repressione interna senza che Washington abbia poi a ridire.

Gli Stati Uniti si scaricano di responsabilità dirette e si tengono le mani libere, ma procedono anche a un deciso rafforzamento dei legami politici con i regimi arabi così detti moderati, nella prospettiva che questo più forte legame politico lavori poi a favore degli interessi strategici degli Stati Uniti. Il principio dell’ “America First” comincia così ad articolarsi nei dettagli.

Com’è ricevuto questo nuovo orientamento da parte dell’Arabia Saudita e degli altri governi moderati della regione? Alle spalle di Trump c’è una lunga stagione di delusione, in cui gli alleati arabi degli Usa si sono sentiti traditi: dalla guerra contro Saddam del 2003, che si risolse nel mettere l’Iraq in mano agli sciiti esponendolo all’influenza dell’Iran, fino all’accordo nucleare con Teheran dell’anno scorso, passando per la scelta di Obama di combattere il sedicente Stato islamico piuttosto che Assad e i suoi alleati iraniani.

Il discorso di Trump, come Obama, lascia da parte la Siria e indica il terrorismo come nemico comune. Però, a differenza di Obama, punta il dito senza esitazioni contro l’Iran e lo mette nello stesso sacco del terrorismo.

Il triangolo Arabia Saudita, Iran, Siria
Per lungo tempo, la strategia saudita ha cercato di contrastare l’Iran in Siria, lasciando in secondo piano il terrorismo, il sedicente Stato islamico e l’estremismo (che talvolta ha cercato di usare contro Assad). Ma nelle condizioni che si sono via via create nella regione, Riad ha potuto costatare che, mentre le ambizioni di battere l’Iran abbattendo il regime di Assad, per poi mettere la Siria in mano sunnita, sono ormai tramontate, l’influenza di Teheran nella regione si è fortemente consolidata: in Siria, in Iraq, ma anche nello Yemen (che per l’Arabia Saudita è una questione di sicurezza nazionale).

È quindi necessaria una strategia più direttamente centrata sull’Iran, che emerge oggi come un rischio più centrale e diretto di qualche anno fa. Questa strategia coincide oggi con gli orientamenti americani. L’appoggio politico che Trump oggi offre agli arabi moderati richiede una rinuncia a battere Assad in Siria, secondo gli orientamenti americani, ma del resto collima con le esigenze strategiche di sicurezza che nel frattempo sono maturate a Riad.

Premesse sbagliate e scelte deboli
Non si tratta solo dell’Iran ma anche dell’estremismo in generale. Anche qui la percezione saudita è cambiata. Sebbene oggi l’impressione sia che il sedicente Stato islamico è sull’orlo di essere battuto, è anche evidente che esso cambierà pelle ma non morirà e, più in generale, che nelle condizioni politiche e sociali che continueranno a prevalere nella regione il terrorismo è destinato a durare.

Appare significativo il commento su quanto i sauditi si aspettano da una rinnovata collaborazione con gli Usa che ha fatto Abulaziz Sager, presidente del Gulf Research Center, in un suo recente commento: “more emphasis needs to be given to maintaining the integrity of the state structures in the region and finding viable ways to stem the growth of militias and violent non-state actors”. Questa considerazione certamente riflette l’orientamento del governo saudita verso una visione meno ambiziosa ma più comprensiva della sicurezza nella regione. L’accenno alla necessità di mantenere l’integrità delle strutture statali misura il cambiamento di pensiero nei confronti del regime di Assad, un po’ com’è accaduto al governo turco.

Dunque, Iran ed estremismo islamista emergono come principali preoccupazioni di sicurezza degli Usa di Trump in Medio Oriente. Nella lotta a questi nemici l’Amministrazione individua la base per una rinnovata alleanza con gli arabi moderati e conservatori che su questa strada trovano convenienza e consenso a seguirla.

La politica americana torna ai suoi vecchi alleati ma, per mantenersi libera da impegni troppo precisi e pesanti, lascia una mano più libera al loro autoritarismo. Come valutare tutto questo? L’estremismo ha origini anche nell’autoritarismo politico da cui con Obama l’Occidente era sembrato prendere qualche distanza e che ora invece Trump riabbraccia.

Combattere il terrorismo rafforzando l’autoritarismo non funzionerà. Per quanto riguarda l’Iran, esiste in effetti un grave problema, ma Trump non può illudersi di risolverlo né da se stesso né con gli arabi. Per farlo deve avere la collaborazione sia dei russi che degli europei, ma da questo lato il quadro è ancora piuttosto oscuro. Perciò, ad oggi, la politica Usa che sembra emergere verso il Medio Oriente con la nuova amministrazione appare debole, basata su premesse errate e priva di fondamenti strategici adeguati.

Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
 

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