Sud dello Yemen indipendente: è la richiesta scandita, il 4 maggio ad Aden, da migliaia di manifestanti pacifici. Un’antica questione che potrebbe oggi dividere Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU).
Le due monarchie sono l’asse portante della coalizione militare araba che dal 2015 tenta, vanamente, di piegare gli insorti sciiti e ripristinare le istituzioni pre-golpe. Tuttavia, in alcune aree meridionali del Paese, la rivalità fra il debole presidente yemenita Abdu Rabu Mansur Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita, e gli Emirati, che guidano le operazioni terrestri, è ormai evidente.
In Yemen, sauditi ed emiratini hanno obiettivi, partner locali e idee differenti sulla governance futura: i primi privilegiano l’unità del Paese, i secondi flirtano con i secessionisti per guadagnare influenza e proiezione geopolitico-marittima. In Yemen, le strategie parallele di Arabia ed Emirati arriveranno a un punto di rottura?
Hadi vs Emirati Il 27 aprile, Hadi ha licenziato sia il governatore di Aden, Aidarous al-Zubaidi, che il capo delle milizie locali, Hani Ali bin Breik. Questi due leader pro-secessione, nominati e sostenuti dagli EAU, sono riusciti a ridurre il numero degli attentati jihadisti in città (oggi sede delle istituzioni riconosciute). Per stabilizzare Aden, al-Zubaidi ha reclutato poliziotti dal feudo di al-Dhale, lo stesso che nel 1986 sconfisse i miliziani di Hadi (Abyan) nella guerra civile del Sud.
Ma è lo stretto rapporto con gli emiratini ad aver alimentato diffidenze e ostilità: Hadi non ha gradito i contatti extra-Onu fra gli Emirati, l’ex presidente Saleh e la Russia, sostenendo che Abu Dhabi si comporta da forza di occupazione: per esempio, il progetto di un maxi complesso abitativo-commerciale emiratino a Socotra, isola strategica nell'Oceano Indiano, sta facendo discutere.
In febbraio, il capo dell’aeroporto di Aden aveva negato l’atterraggio a Hadi (che vive a Riad). Il presidente lo aveva così rimosso, inviando il fedele Generale Muhran Qabati: quando allo stesso Qabati è stato proibito l’atterraggio, sono scattati i due licenziamenti. Dopo scontri in aeroporto tra milizie yemenite pro-Hadi e filo-emiratine, le stesse hanno negoziato l'ingresso del nuovo governatore: i pro-Emirati avrebbero ottenuto il controllo di un fondamentale check-point nei pressi dell'aeroporto.
Licenziamenti e proteste C’è rabbia fra la popolazione di Aden, senza welfare e stipendi pubblici: i manifestanti hanno chiesto proprio ad al-Zubaidi, già ‘eroe’ della cacciata degli huthi dalla città (estate 2015), di rappresentare le istanze indipendentiste del Sud. Un corto circuito provocato dall’incrocio di vendette personali-tribali, rivalità regionali e aspirazioni popolari.
Nonostante le dichiarazioni, la costituzione di un fronte unitario meridionale pare improbabile: in Yemen esistono ˊmolti Sudˋ. Nel 2014, la bozza di riforma federale del paese targata Hadi, che riuniva il Sud yemenita in due macro-regioni, Aden e Hadhramaut, provocò critiche e malumori all’interno degli stessi raggruppamenti amministrativi.
Hadhramaut autonomo? In aprile, primo anniversario del ritiro di Al-Qaeda nella Penisola arabica (Aqap) da Mukalla, il governatore dell’Hadhramaut, Ahmed Ben Burik, ha organizzato una conferenza autonomista finanziata e sponsorizzata dagli Emirati, senza invitare né il governo né personaggi vicini ai sauditi. Il documento finale rivendica il diritto degli hadhrami a staccarsi dallo Yemen, qualora la forma unitario dello Stato non garantisca più gli interessi della regione.
L’Hadhramaut, forte di un’identità storicamente peculiare, è rimasto in disparte rispetto alla guerra civile: le unità militari dell’entroterra sono fedeli al generale Ali Mohsin (ora vice di Hadi, ma sodale di Saleh per decenni), quelle costiere a Saleh. I proventi della vendita dell’abbondante petrolio locale stentano a raggiungere la banca del capoluogo: le tribù hadhrami si finanziano con tasse portuali, contrabbando e, secondo molte fonti, con la vendita intermediata di carburante alla guerriglia huthi nel nord.
Arabia ed Emirati Fin dall’inizio, i sauditi hanno concentrato le operazioni al Nord e gli emiratini al Sud. Gli obiettivi dei due alleati si sono progressivamente differenziati: lotta agli insorti sciiti per Riad, attività di stabilizzazione, ricostruzione dei servizi di sicurezza e addestramento, contrasto ai jihadisti per gli EAU.
A differenza dei sauditi, gli emiratini mantengono una posizione ostile verso la Fratellanza Musulmana (in Yemen sotto le insegne del partito Islah) e non hanno sostenuto le milizie tribali legate agli Ikhwan, specie a Taiz, contesa agli huthi: qui, la milizia salafita-jihadista Abu Abbas (forse un brand locale di Aqap) controlla l’Est della città. Abu Dhabi ha invece canalizzato gli aiuti su gruppi secessionisti (al-Hiraak), salafiti e confraternite sufi (Tarim).
Una divisione geografica, ideologica e settoriale del lavoro che non è mai stata, però, complementare. Contraddizioni e rivalità stanno così emergendo laddove il post-conflict è iniziato: l’ennesimo regalo ai jihadisti. Resta da vedere se, quando (e come) Hadi tornerà ad Aden.
Eleonora Ardemagni, analista di relazioni internazionali del Medio Oriente. Autrice di “From Insurgents to Hybrid Security Actors? Deconstructing Yemen’s Huthi Movement”, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, ISPI Analysis e di “The Horn of Africa’s Growing Importance to the UAE”, Middle East Institute, Analysis,(aprile 2017).
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