Inclusione e frammentazione: ecco le parole-chiave per comprendere le elezioni politiche recentemente svoltesi in Giordania. Tra bassa affluenza e persistenza del voto tribale, la strutturazione del sistema multipartitico giordano è ancora lontana.
Tuttavia, grazie anche alla riforma della legge elettorale in senso proporzionale (con l’introduzione di liste distrettuali), i Fratelli Musulmani hanno detto no al boicottaggio e si sono presentati alle elezioni, seppur divisi in tre formazioni rivali: saranno ora rappresentati in Parlamento. La strategia attribuita al sovrano Abdullah II si è così rivelata efficace: il campo dell’Islam politico è più frammentato che mai, ma è al tempo stesso tornato nel gioco elettorale e istituzionale.
Nuovo Parlamento Questa legge elettorale ha abolito il discusso principio “un uomo, un voto” (al-sawt al-wahid), ma il debuttante Parlamento è ancora legatissimo sia al voto per appartenenza tribale, determinante per circa il 50% degli eletti, che al ruolo degli indipendenti, che rappresentano circa l’80% dei deputati.
La Camera bassa giordana è stata eletta con un’affluenza ancora più ridotta (37% degli aventi diritto) rispetto alle ultime elezioni del 2013 (40%). Un dato che conferma la crescente disaffezione dei giordani verso le istituzioni elettive: perché la sensazione è che il processo decisionale avvenga altrove, nonostante le riforme, circoscritte, volute dal Re dopo le rivolte arabe.
Le aree rurali e a maggioranza beduina, molto fedeli alla monarchia, continuano a essere sovra-rappresentate in termini di seggi se comparate ai centri urbani (dove islamisti e liste di sinistra raccolgono invece più consensi), ma sono anche le meno toccate dall’astensione: a Karak, nel sud beduino che costituisce l’ossatura dell’esercito, l’affluenza è stata del 60%, mentre nella capitale Amman e a Zarqa la partecipazione si è attestata intorno al 20%.
Fratelli (musulmani) rivali La nuova legge elettorale ha sì favorito l’aggregazione in liste, ma ha anche stimolato le candidature ‘tattiche’ di personalità capaci di attrarre consensi sul territorio, indebolendo così l’affiliazione partitica e massimizzando quella tribale. In questo contesto, l’Islamic Action Front, Iaf, braccio politico tradizionale degli Ikhwan, ha dato prova di buona tenuta, ottenendo il risultato migliore tra le formazioni che si rifanno alla Fratellanza Musulmana.
Presentatosi sotto l’insegna della National Alliance for Reform, lo Iaf ha messo tra parentesi i tradizionali slogan islamici e vinto dieci seggi, mentre gli altri cinque sono da attribuire alla lista (che includeva esponenti tribali, nonché la quota destinata alle minoranze cristiana, cecena e circassa).
L’alleanza fra Zamzam e la Società dei Fratelli Musulmani (oggi la sola riconosciuta), così come il Muslim Centre Party, esce ridimensionata dal confronto con le urne, vincitori di circa tre seggi ciascuno. Laddove questi movimenti si sono presentati da soli in lista la performance è stata deludente: Zamzam, da solo a Irbid, non ha vinto seggi, mentre la Società dei Fratelli Musulmani ne ha vinto uno ad Aqaba.
L’ennesima conferma che l’Islam politico più contiguo alla monarchia non viene premiato dall’elettorato giordano, ma necessita dell’appoggio di voto tribale e indipendenti.
Il prossimo Parlamento dovrà affrontare i molti temi irrisolti (crisi economica e occupazionale) che alimentarono le proteste iniziate nel 2011: la capacità delle opposizioni, anche islamiste, di incidere nel processo legislativo dipenderà soprattutto dalla tessitura di coalizioni parlamentari.
Di fronte all’intrecciarsi di minacce interne (malcontento sociale) e regionali (jihadismo), lo Stato di sicurezza giordano ha operato un’ulteriore stretta securitaria. In questo contesto iper-controllato, stanno quindi emergendo nuove forme di attivismo giovanile, più lontane dalla street politics del recente passato (come fu il Movimento 24 Marzo), ma tese a orientare il dibattito pubblico, insistendo sull’accountability di programmi e promesse elettorali dei candidati.
È il caso di Shagaf (Youths for an Active Tomorrow), movimento giovanile fondato nel giugno 2016, che punta a superare differenze ideologiche e territoriali per promuovere consapevolezza e partecipazione politica.
Fratelli Musulmani nel Golfo Il ritorno dei Fratelli Musulmani in Parlamento, dopo i boicottaggi elettorali (2013 e 2010), contraddice la politica di stigmatizzazione degli Ikhwan perseguita da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, tra i principali donors delle esangui casse statali di Amman.
Tuttavia, la strategia inclusiva di Abdullah II nei confronti della Fratellanza non dovrebbe generare frizioni con Riyadh e Abu Dhabi: oltre alla specificità giordana, la rivalità intra-sunnita è da tempo secondaria per i sauditi rispetto alla competizione egemonica con l’Iran. Inoltre, la scelta pro-elettorale dei tre rivoli della Fratellanza Musulmana in Giordania riflette un trend partecipativo che sta investendo l’intero Golfo.
In Kuwait, l’Islamic Constitutional Movement (ICM o Hadas, non più formalmente affiliato all’organizzazione internazionale dei Fratelli) parteciperà alle elezioni politiche che si svolgeranno il prossimo 26 novembre, dopo aver boicottato le passate consultazioni (2012 e 2013). E in Bahrain, l’ala politica della Fratellanza, al-Minbar, è addirittura una preziosa alleata della dinastia sunnita degli al-Khalifa, in un paese a maggioranza sciita.
Eleonora Ardemagni, analista di relazioni internazionali del Medio Oriente per Aspenia e l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi). Gulf Analyst, Nato Defense College Foundation, commentatrice di politica mediorientale per Avvenire. Paolo Maggiolini, Assegnista di Ricerca e Professore a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Associate dell’Istituto Italiano per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi). Si occupa del rapporto tra religione e politica all’interno dell’area mediorientale e mediterranea, con particolare attenzione ai contesti di Israele, Giordania e Palestina.
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