venerdì 11 novembre 2016

Turchia: i giri di vite della dittatura

Medio Oriente
Nuove purghe turche, nel mirino il partito filocurdo
Bianca Benvenuti
10/11/2016
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Retate e arresti. Così la polizia turca ha messo in carcere 11 membri del Partito Democratico del Popolo, Hdp, in primis il leader Selahattin Demirtaş, accusati di non aver testimoniato ai processi per terrorismo a loro carico, tra cui incitamento all’odio e partecipazione a proteste e funerali di persone considerate terroriste.

Per i membri di questo partito filo curdo, l’unico processo in corso è quello politico contro di loro e il sorprendente risultato ottenuto nelle elezioni dello scorso anno.

Hdp nel mirino del governo
Le retate del 3 novembre sono l’apice di un processo più lungo e già marcato, a maggio, dalla decisione del parlamento di approvare un disegno di legge per revocare l’immunità ai parlamentari sotto inchiesta, passato grazie ai voti del partito di governo Akp, appoggiato dagli ultra-nazionalisti del Partito del Movimento Nazionalista, Mhp, e dal Partito Popolare Repubblicano, Chp.

Con la firma presidenziale dell’emendamento, 50 dei 59 parlamentari del Hdp erano a rischio arresto, rischio concretizzatosi negli scorsi giorni. Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, Akp, si giustifica accusando il partito filo curdo di legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, Pkk, che dagli anni ’80 conduce una guerriglia armata nel sud est del Paese e che Ankara, così come l’Unione europea, Ue, e gli Stati Uniti, considera un’organizzazione terroristica.

Dall’inizio degli anni ’90, la minoranza curda tenta di avere una rappresentanza politica in Turchia, ma agli occhi di Ankara il rapporto tra partiti legali e il Pkk sono sempre stati troppo stretti. Così, in circa 25 anni si sono succeduti sei partiti politici curdi, tutti chiusi perché accusati di sostegno alla guerriglia del sud est e attività separatista. Hep, Dep, Hadep, Dehap, Dtp, Bdp, fino ad arrivare all’attuale Hdp, che per primo riesce ad entrare in parlamento come partito unico, superando la soglia del 10%.

I leader e membri dell’Hdp hanno numerose volte condannato gli attacchi del Pkk e di alcune sue componenti più radicali, ma al contempo il rapporto tra i due non è semplice da definire.

Certo è che con i recenti arresti si allontana ancora una volta la possibilità di una soluzione politica alla questione curda, perché ad essere sotto attacco è proprio quella leadership che gioca un ruolo determinante nella mediazione tra Pkk e Ankara.

La deligittimazione di un partito democraticamente eletto e il conseguente indebolimento della componente politica nelle rivendicazioni del popolo curdo, porteranno inevitabilmente a una riacutizzazione del conflitto tra la minoranza e il governo centrale di Ankara, ad un anno dalla fine del cessate e il fuoco e dal conseguente naufragio del processo di pace tra il governo centrale e i guerriglieri curdi.

Erdogan sogna la riforma costituzionale
Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha anche cruciali ragioni politiche per attaccare l’Hdp. L’ultima sua aspirazione è la riforma costituzionale per trasformare il Paese in una Repubblica presidenziale, legittimando il suo potere de facto.

L’opposizione alla riforma presidenziale è stato lo zoccolo duro della campagna elettorale del Hdp per le elezioni del 2015, mossa che ha garantito anche l’appoggio di alcune componenti della società turca che mai prima avrebbero pensato di sostenere un partito filo curdo.

In effetti, l’ingresso dell’Hdp in parlamento ha impedito all’Akp di ottenere la maggioranza necessaria all’approvazione della riforma. Ad oggi, il partito di governo ha 317 dei 550 deputati, mentre avrebbe bisogno dei due terzi del parlamento per emendare la costituzione senza bisogno di referendum.

Grazie al sostegno dei 40 deputati del Mhp, alleato politico dell’Akp dalle elezioni dello scorso anno, Erdogan ha la maggioranza necessaria per passare la riforma e poi sottoposta al parere popolare.

Il pugno duro di Ankara nei confronti della minoranza curda e l’opposizione al partito filo curdo è uno dei collanti della nuova alleanza dell’Akp con il partito ultra nazionalista Mhp.

D’altro canto, Erdogan potrebbe indire elezioni anticipate, se ritenesse che l’Hdp non fosse più in grado di superare la soglia del 10%. In questo caso, l’Akp riuscirebbe con buona probabilità ad ottenere sufficienti deputati per passare la riforma senza bisogno dei voti del Mhp.

Una riacutizzazione del conflitto e l’aggravarsi della polarizzazione nella società turca potrebbe far gioco all’Akp, dandogli modo di usare la carta della stabilità, in una Paese che è stanco di attacchi terroristici e guerre e aspira a riottenere un po’ dei quella prosperità economica e stabilità che proprio l’Akp aveva assicurato nei suoi primi anni di governo.

La Turchia tra Raqqa e Mosul
Le purghe politiche, combinate con l’arresto di centinaia di giornalisti e la chiusura dei maggiori media di opposizione, dipingono un quadro della situazione domestica turca a tinte fosche e in incessante peggioramento. A nulla sono valse le, seppur timide, lamentele da parte europea: il presidente turco ha rifiutato ogni critica, sostenendo di essere interessato solo all’opionione della “sua gente”.

Nel frattempo, il generale statunitense Joseph F. Dunford, in visita eccezionale ad Ankara, le promette un ruolo nella liberazione di Raqqa, spegnendo così le paure turche di un crescente ruolo delle milizie curdo-siriane Ypg, per Ankara ramo del Pkk, nella lotta contro il sedicente Stato Islamico.

Oggi più che mai, la Turchia è punto nevralgico di sfide e crisi di portata ben oltre i suoi confini nazionali e così anche le sue vicende domestiche potrebbero avere conseguenze inaspettate, contribuendo in prima istanza ad aumentare l’instabilità della regione. Insomma, quel che succede in Turchia non rimarrà di certo in Turchia.

Bianca Benvenuti è visiting researcher allo IAI.

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