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Islam politico e la Fratellanza Musulmana: questo il tema al centro del rapporto pubblicato dalla Commissione affari esteri della camera dei comuni inglese lo scorso 7 novembre e accolto con un certo interesse dalla stampa britannica, evidentemente preoccupata per l’estensione del fenomeno all’interno della numerosa comunità musulmana presente nel Paese, oltre che per una evidente confusione concettuale che impedisce di discernere chiaramente il confine tra l’Islam politico e l’estremismo islamico.
In Gran Bretagna la pubblicazione ha riacceso il dibattito politico anche perché la Commissione è stata particolarmente critica nei confronti del precedente lavoro effettuato dal governo. Già nell’aprile 2014 infatti, l’allora Primo Ministro David Cameron aveva commissionato uno studio sulla Fratellanza Musulmana. Il risultato è stato un rapporto segreto, le cui conclusioni sono state tuttavia rese pubbliche nel dicembre 2015, causando diverse polemiche. Le numerose criticità del rapporto del 2015 Una delle principali riguarda gli autori del precedente rapporto. La Commissione ha rimproverato al governo di aver affidato lo studio precedente alle cure dell’allora ambasciatore britannico a Riyadh Sir John Jenkins, co-autore del report assieme a Charles Farr, già Direttore generale dell’ufficio per la sicurezza e la lotta al terrorismo del Ministero degli interni. Bisogna ricordare che circa un mese prima della nomina di Jenkins, l’Arabia Saudita aveva designato la Fratellanza Musulmana come organizzazione terroristica, impegnandosi in una lotta senza quartiere contro l’organizzazione. Il rimprovero della Commissione riconosce quindi il rischio di indebite interferenze di parti terze interessate a influenzare i risultati dell’indagine. Oltre ai vizi di forma, la Commissione ha rilevato evidenti vizi di contenuto, il principale dei quali riguarda il non aver preso in considerazione il più importante evento nella storia della Fratellanza, ossia il colpo di stato militare in Egitto che ha messo fine alla Presidenza di Mohammed Morsi nel luglio 2013. Ebbene, il golpe e le sue immediate conseguenze non vengono neanche menzionati nelle conclusioni del report governativo; una falla abbastanza evidente, ove si pensi solamente all’episodio del massacro di piazza Rab’ia al Cairo, dove centinaia, se non migliaia di sostenitori di Morsi perirono a seguito dell’intervento dell’esercito nell’agosto 2013. La definizione di Islam politico La Commissione parlamentare guidata da Crispin Blunt ha anche provato a indagare su un concetto sfuggente e spesso abusato come l’Islam politico. Definendo l’Islamismo come l’applicazione dei valori islamici ai governi ed alle società moderne, il rapporto aggiunge tre fattori cruciali per circoscrivere meglio il fenomeno: la partecipazione alla, e la difesa della, democrazia; un’interpretazione della fede che protegga i diritti, le libertà e le politiche in linea con i valori promossi dalla Gran Bretagna; la non-violenza, a cui aderire in maniera inequivoca. Su questi punti la Commissione esprime poco più di un wishful thinking che mal si concilia con la realtà presente sul terreno. Se i tre criteri proposti riflettono un idealismo democratico del tutto legittimo, allo stesso tempo risultano scevri di ogni prospettiva realista. Le dinamiche politiche scaturite dalle rivolte del 2011 hanno evidenziato l’endemica carenza di tali fattori, riconosciuta dallo stesso rapporto nella parte in cui si sottolinea un’interpretazione maggioritaria (spesso totalitaria) della democrazia, con poche e rilevanti eccezioni. Oltretutto, dal secondo criterio emerge un chiaro orientalismo, riconoscendo nei valori difesi e promossi dalla Gran Bretagna uno standard universale applicabile tout court. La Fratellanza Musulmana e il ricorso alla violenza Molto prezioso è invece lo studio effettuato sul rapporto tra la Fratellanza Musulmana e il ricorso alla violenza, vero punto focale dell’intera questione. Ebbene, la Commissione ha criticato le conclusioni del precedente rapporto, nella parte in cui riconoscono che il gruppo ha finora preferito agire sul piano politico per un cambiamento graduale, senza tuttavia escludere il ricorso alla violenza quando necessario. E ha anche smontato la teoria del ‘nastro trasportatore’, secondo la quale l’affiliazione alla Fratellanza Musulmana è in realtà un primo passo verso la radicalizzazione dell’individuo, che sfocia più tardi nell’ineluttabile passaggio al jihadismo. In sostanza la Commissione concorda con la decisione del governo inglese di non inserire la Fratellanza nella lista delle organizzazioni terroriste. Allo stesso tempo suggerisce una certa cautela: diversi esperti ascoltati durante le audizioni hanno rilevato numerosi punti di contatto tra le varie filiali regionali dei Ikhwan e l’estremismo (Hamas per esempio, ma anche la filiale libica). Il labile confine tra l’Islam politico e il terrorismo islamico è stato di recente riconosciuto anche da Rachid Gannouchi: durante l’ultimo congresso, il leader di Ennahda ha lanciato il nuovo concetto di democrazia musulmana, ripudiando l’Islam politico e giudicandolo ormai corrotto dall’abuso fatto da gruppi jihadisti come al-Qaeda e lo Stato Islamico. Riconoscendoli quindi come parte integrante della numerosa e variegata famiglia. Il pugno duro dell’Akp Oltretutto il rapporto evita accuratamente di prendere in considerazione il Partito della Giustizia e dello Sviluppo turco, l’Akp, da molti ritenuto uno dei principali punti di riferimento dell’Islam politico nella regione. Recentemente scampato a un tentato golpe che ha ricordato da vicino quello egiziano del 2013, il Presidente Erdogan ha reagito usando il tradizionale pugno di ferro, trasformando radicalmente la Turchia e sollevando ulteriori dubbi sulle sue credenziali democratiche. Forse, analizzando l’Akp sarebbero emerse ulteriori criticità. Magari la Commissione sarebbe giunta a conclusioni diverse. E, forse, si sarebbe resa conto della evidente difficoltà di individuare l’impercettibile confine tra oppressori e oppressi, vittime e carnefici, nella ormai vasta zona grigia chiamata Medio Oriente. Umberto Profazio è dottore di ricerca in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma “Sapienza”, Research Assistant per l’International Institute for Strategic Studies, Senior Researcher per il Centre for Geopolitics and Security in Realism Studies e Maghreb Analyst per la NATO Defence College Foundation. | ||||||||
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mercoledì 30 novembre 2016
Medio Oriente, Europa ed Islam
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