Medio Oriente I mille fronti del conflitto siriano Roberto Iannuzzi 22/02/2016 |
Dopo alcuni mesi di apparente stallo, l’intervento russo in Siria sembra aver cambiato le sorti del conflitto. Con la copertura dell’aviazione di Mosca, le forze filo-governative hanno tagliato il cosiddetto “corridoio di Azaz” che permetteva ai ribelli di Aleppo di ottenere armi e rifornimenti dal confine turco. La porzione di città controllata dagli insorti è ormai quasi circondata.
Fonte: http://syria.liveuamap.com (le zone in giallo sono i curdi, in verde i ribelli, in rosa il regime, e in grigio l'Isis).
La successiva avanzata di forze curde dall’énclave di Afrin verso est ha ulteriormente compresso la sacca settentrionale di territorio ribelle, ormai irrimediabilmente separata dalla provincia di Idlib. Quest’ultima, ancora in mano alle forze anti-regime che controllano il confine con la provincia turca di Hatay, subisce la pressione delle forze lealiste che avanzano da Latakia.
Le truppe di Damasco hanno fatto progressi anche sul fronte sud, dove si sono impadronite della strategica città di Sheikh Maskin, mentre a est stanno lentamente avanzando verso Raqqa, capitale di Daesh, il sedicente califfato.
La reazione di Ankara e Riyadh
Questo improvviso rovesciamento di fronte ha suscitato l’allarme di Arabia Saudita e Turchia, principali sostenitori dei ribelli. I due paesi stanno rafforzando il coordinamento militare e hanno affermato di essere pronti a mandare truppe in Siria. Riyadh ha anche annunciato l’invio di propri bombardieri alla base turca di Incirlik.
I sauditi sono però già impantanati nel sanguinoso conflitto yemenita. Ben presto i responsabili militari del regno hanno chiarito che Riyadh potrebbe semplicemente inviare forze speciali nell’ambito di una coalizione internazionale a guida americana.
Diversi analisti hanno interpretato la proposta come un tentativo di forzare la mano a Washington, allo scopo di assemblare una forza multinazionale di terra. Quest’ultima, sbaragliando Daesh, potrebbe impadronirsi della Siria orientale e successivamente imporre una soluzione negoziale al presidente siriano Assad.
Sebbene al momento poco realistica, l’iniziativa saudita ha avuto l’effetto di inasprire le tensioni con Iran, milizie sciite irachene e regime di Damasco, che a vario titolo si sono detti pronti a contrastare militarmente qualsiasi presenza saudita sul suolo siriano.
Russia e Turchia, tensioni alle stelle
Allarme ben più immediato ha suscitato la prospettiva di un intervento turco, che si porrebbe in rotta di collisione con Mosca.
I russi stanno smantellando la rete di gruppi ribelli che Ankara ha coltivato per anni. Inoltre, l’avanzata curda verso est, favorita anch’essa dall’aviazione russa, pone il governo Erdogan di fronte alla possibile unificazione dell’énclave di Afrin con i territori curdi che vanno da Kobane ad Hasakah.
Una regione curda unificata sul proprio confine meridionale è vista da Ankara come una minaccia alla sicurezza nazionale turca. Per scongiurarla, il governo Erdogan ha ventilato la creazione di una “safe zone” in territorio siriano.
L’intervento militare turco a sostegno della “safe zone”implicherebbe però la possibilità di uno scontro armato fra la Russia e un paese membro della Nato.
Diversi esponenti dell’Alleanza Atlantica hanno fatto capire ad Ankara che non potrebbe contare sul principio della “difesa collettiva” previsto dall’articolo 5 nel caso in cui un’escalation con Mosca fosse il risultato di un’azione militare turca in territorio siriano.
La linea solitaria di Washington
Ankara sembra perciò aver scartato un proprio intervento di terra che non rientri nel quadro di una più ampia azione a guida americana (attualmente non prevista), ma i risentimenti turchi nei confronti delle politiche della Casa Bianca sono sempre più aspri.
Obama considera prioritaria la lotta contro Daesh, principalmente tramite l’impiego di forze locali. Pur continuando ad affermare che Assad non rientra nel futuro della Siria, al momento egli ha posto in secondo piano l’obiettivo di rimuoverlo, che invece rimane essenziale per turchi e sauditi.
Inoltre, per contrastare il sedicente califfato Washington ha sostenuto militarmente l’Ypg, braccio armato dei curdi siriani appoggiato anche da Mosca, ma considerato da Ankara un’organizzazione terroristica legata al Pkk turco.
Il governo Erdogan ha attribuito proprio ai curdi siriani l’attentato che ha colpito la capitale lo scorso 17 febbraio, sebbene l’attacco sia stato successivamente rivendicato da una costola turca del Pkk. E l’artiglieria turca schierata sul confine ha ripetutamente bersagliato le forze curde in Siria.
Le Alleanze paradossali degli Stati Uniti
Ci si trova perciò di fronte alla paradossale situazione in cui un membro della Nato bombarda un alleato americano in Siria. Il paradosso si spinge ancora oltre se si pensa che tra Azaz e Aleppo i curdi sostenuti dal Pentagono sono attualmente in conflitto anche con gruppi ribelli precedentemente armati dalla Cia.
Tali gruppi hanno spesso combattuto in stretto coordinamento con Al-Nusra, formazione affiliata ad Al-Qaeda. Per scongiurare una possibile “guerra civile” fra i ribelli, Washington ha suggerito di includere Al-Nusra nella recente proposta di tregua negoziata a Ginevra, incontrando le prevedibile opposizione di Mosca.
Nel sempre più intricato conflitto siriano, la linea della presidenza Obama sembra dunque scontentare sia alleati che avversari. D’altro canto l’intervento di Mosca ha certamente consolidato il regime, ma non è sufficiente a porre fine alle ostilità in assenza di una soluzione negoziale che rimane sfuggente.
In attesa di una tregua, il rischio che errori di valutazione e decisioni avventate provochino un’ulteriore espansione del conflitto rimane elevato.
Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo). È autore del libro “Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale (Twitter: @riannuzziGPC).
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La successiva avanzata di forze curde dall’énclave di Afrin verso est ha ulteriormente compresso la sacca settentrionale di territorio ribelle, ormai irrimediabilmente separata dalla provincia di Idlib. Quest’ultima, ancora in mano alle forze anti-regime che controllano il confine con la provincia turca di Hatay, subisce la pressione delle forze lealiste che avanzano da Latakia.
Le truppe di Damasco hanno fatto progressi anche sul fronte sud, dove si sono impadronite della strategica città di Sheikh Maskin, mentre a est stanno lentamente avanzando verso Raqqa, capitale di Daesh, il sedicente califfato.
La reazione di Ankara e Riyadh
Questo improvviso rovesciamento di fronte ha suscitato l’allarme di Arabia Saudita e Turchia, principali sostenitori dei ribelli. I due paesi stanno rafforzando il coordinamento militare e hanno affermato di essere pronti a mandare truppe in Siria. Riyadh ha anche annunciato l’invio di propri bombardieri alla base turca di Incirlik.
I sauditi sono però già impantanati nel sanguinoso conflitto yemenita. Ben presto i responsabili militari del regno hanno chiarito che Riyadh potrebbe semplicemente inviare forze speciali nell’ambito di una coalizione internazionale a guida americana.
Diversi analisti hanno interpretato la proposta come un tentativo di forzare la mano a Washington, allo scopo di assemblare una forza multinazionale di terra. Quest’ultima, sbaragliando Daesh, potrebbe impadronirsi della Siria orientale e successivamente imporre una soluzione negoziale al presidente siriano Assad.
Sebbene al momento poco realistica, l’iniziativa saudita ha avuto l’effetto di inasprire le tensioni con Iran, milizie sciite irachene e regime di Damasco, che a vario titolo si sono detti pronti a contrastare militarmente qualsiasi presenza saudita sul suolo siriano.
Russia e Turchia, tensioni alle stelle
Allarme ben più immediato ha suscitato la prospettiva di un intervento turco, che si porrebbe in rotta di collisione con Mosca.
I russi stanno smantellando la rete di gruppi ribelli che Ankara ha coltivato per anni. Inoltre, l’avanzata curda verso est, favorita anch’essa dall’aviazione russa, pone il governo Erdogan di fronte alla possibile unificazione dell’énclave di Afrin con i territori curdi che vanno da Kobane ad Hasakah.
Una regione curda unificata sul proprio confine meridionale è vista da Ankara come una minaccia alla sicurezza nazionale turca. Per scongiurarla, il governo Erdogan ha ventilato la creazione di una “safe zone” in territorio siriano.
L’intervento militare turco a sostegno della “safe zone”implicherebbe però la possibilità di uno scontro armato fra la Russia e un paese membro della Nato.
Diversi esponenti dell’Alleanza Atlantica hanno fatto capire ad Ankara che non potrebbe contare sul principio della “difesa collettiva” previsto dall’articolo 5 nel caso in cui un’escalation con Mosca fosse il risultato di un’azione militare turca in territorio siriano.
La linea solitaria di Washington
Ankara sembra perciò aver scartato un proprio intervento di terra che non rientri nel quadro di una più ampia azione a guida americana (attualmente non prevista), ma i risentimenti turchi nei confronti delle politiche della Casa Bianca sono sempre più aspri.
Obama considera prioritaria la lotta contro Daesh, principalmente tramite l’impiego di forze locali. Pur continuando ad affermare che Assad non rientra nel futuro della Siria, al momento egli ha posto in secondo piano l’obiettivo di rimuoverlo, che invece rimane essenziale per turchi e sauditi.
Inoltre, per contrastare il sedicente califfato Washington ha sostenuto militarmente l’Ypg, braccio armato dei curdi siriani appoggiato anche da Mosca, ma considerato da Ankara un’organizzazione terroristica legata al Pkk turco.
Il governo Erdogan ha attribuito proprio ai curdi siriani l’attentato che ha colpito la capitale lo scorso 17 febbraio, sebbene l’attacco sia stato successivamente rivendicato da una costola turca del Pkk. E l’artiglieria turca schierata sul confine ha ripetutamente bersagliato le forze curde in Siria.
Le Alleanze paradossali degli Stati Uniti
Ci si trova perciò di fronte alla paradossale situazione in cui un membro della Nato bombarda un alleato americano in Siria. Il paradosso si spinge ancora oltre se si pensa che tra Azaz e Aleppo i curdi sostenuti dal Pentagono sono attualmente in conflitto anche con gruppi ribelli precedentemente armati dalla Cia.
Tali gruppi hanno spesso combattuto in stretto coordinamento con Al-Nusra, formazione affiliata ad Al-Qaeda. Per scongiurare una possibile “guerra civile” fra i ribelli, Washington ha suggerito di includere Al-Nusra nella recente proposta di tregua negoziata a Ginevra, incontrando le prevedibile opposizione di Mosca.
Nel sempre più intricato conflitto siriano, la linea della presidenza Obama sembra dunque scontentare sia alleati che avversari. D’altro canto l’intervento di Mosca ha certamente consolidato il regime, ma non è sufficiente a porre fine alle ostilità in assenza di una soluzione negoziale che rimane sfuggente.
In attesa di una tregua, il rischio che errori di valutazione e decisioni avventate provochino un’ulteriore espansione del conflitto rimane elevato.
Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo). È autore del libro “Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale (Twitter: @riannuzziGPC).
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