martedì 31 marzo 2015

Arabia Saudita: massimo impegno nel cortile di casa


Guerrieri sciiti delle montagne
Yemen, la guerra cresce e si complica
Giuseppe Cucchi
26/03/2015
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Il Colonnello egiziano Hosny Amin aveva combattuto ben quattro guerre nel corso della sua vita militare. Tre erano state contro Israele, nel '56 , nel '67 e nel '73 e della sua partecipazione a tutti e tre i conflitti - specie al terzo, la "guerra dello Yom Kippur" degli israeliani che in Egitto è invece la "vittoria del Ramadan"- Hosny andava fiero.

Il vecchio soldato ricordava invece come un errore politico, rapidamente trasformatosi in un incubo militare, la quarta guerra, quella dello Yemen, che coinvolse l'Egitto nasseriano dal 1962 al 1969.

"L'intervento - soleva dire - fu sin dall'inizio uno sbaglio che contrappose arabi ad arabi. La lotta si rivelò molto più dura e sanguinosa del previsto. Le tribù zaidite della montagna che sostenevano l'Imam El Badr, contro cui noi combattevamo, erano formate da guerrieri duri e sperimentati. Noi eravamo sunniti e loro sciiti, galvanizzati dal fatto che a guidarli ci fosse un discendente del profeta... Da un certo punto in poi, da entrambe le parti, non ci fu più spazio né per l'onore né per la misericordia. Noi arrivammo ad usare i gas....".

Successi dei ribelli e risposta saudita
Oggi, i ribelli "houti " dello Yemen, che già controllavano la parte nord est del paese, avrebbero ripreso l'offensiva e starebbero procedendo ulteriormente verso sud. Potrebbero anche essere riusciti, tra l'altro, ad impadronirsi del legittimo Presidente del Paese, sulla cui testa avevano posto da tempo una taglia che rasentava i centomila euro. Una cifra che può forse apparirci ridicola ma che certo può rivestire una notevole attrattiva per guerrieri tribali di uno Yemen in cui circa dieci milioni di persone vivono, secondo le stime delle Nazioni Unite, al di sotto della soglia minima di povertà.

Nel frattempo truppe dell'Arabia Saudita e dei paesi appartenenti al Consiglio di Cooperazione del Golfo si stanno ammassando alla frontiera nord del paese in attesa di una Risoluzione Onu che permetta loro di intervenire in Yemen sotto una veste di legittimità internazionale ed "in sostegno del Presidente e del Governo legittimo del Paese".

Lo sdegno della coalizione è diretto, oltre che verso i ribelli yemeniti, anche verso l'Iran che Arabia Saudita e CCG accusano di essere stato, se non l'istigatore, perlomeno il maggior sostenitore della rivolta. Teheran non ha infatti lesinato né appoggi né finanziamenti al movimento houti sin dalla sua fondazione, nel 2004

Il conflitto in atto nello Yemen, che sino ad ora aveva rivestito le caratteristiche di una guerra civile, rischia così di fare un decisivo salto di qualità. Si tratta di una prospettiva di cui appaiono convinti anche gli Usa che hanno già provveduto a ritirare dal teatro tutto il loro personale militare, anche se ciò ha significato perdere i materiali e gli armamenti che avevano fatto arrivare nel paese.

Una guerra che è anche storia antica
Sembra quindi che lo Yemen stia rapidamente avviandosi a divenire uno dei punti maggiormente caldi di quella terza guerra mondiale che, qualche tempo fa, con una visione strategica molto più lucida e profonda di quella della maggior parte dei leader politici, il Sommo Pontefice dichiarava essere da tempo già in atto.

È indubbio che uno dei fuochi di questo scontro sia costituito dal contrasto tra gli sciiti ed i sunniti. Una ostilità reciproca che, dopo aver covato per lungo tempo sotto la cenere, è ora oggetto di una di quelle periodiche esplosioni che la hanno caratterizzata nel corso di quattordici secoli. Tra l'altro esaurendosi sempre per dissanguamento di entrambe le parti e senza che alcuna di esse potesse dichiararsi incontrastata vincitrice.

Rientrano nella grande cornice di tale scontro la sanguinosa rivolta dei sunniti siriani contro il regime “sciita” alawita in Siria, la rivolta sciita nel Bahrein che l'Arabia Saudita soffocò rapidamente manu militari, l'instaurazione di un Califfato sunnita siro/irakeno e via di questo passo. A suo modo anche la vicinanza politica attuale fra Israele, la Turchia e l'Arabia Saudita, può essere vista nella medesima ottica, come frutto di una visione che è in pari tempo anti-sciita ed anti-iraniana per tutti e tre i paesi interessati.

Se le Nazioni Unite daranno il via libera, l'Araba Saudita ed il Consiglio di Cooperazione del Golfo sperano ora di poter ripetere anche nello Yemen la stessa operazione di repressione del campo sciita effettuata a suo tempo con successo in Bahrein. Ci sono però da tenere presenti numeri e rapporti di forza ben diversi.

Questa non sarà una guerra facile e rapida
Dei ventiquattro milioni di yemeniti infatti ben dieci sono di religione sciita zaidita e il movimento houti, che li rappresenta, può già disporre in questo momento di circa centomila combattenti, reali o potenziali. Se domani lo scontro assumesse la natura di una resa dei conti fra i seguaci delle due maggiori movenze religiose dell'Islam, il numero di coloro disposti a battersi aumenterebbe rapidamente, come è del resto logico che avvenga in un paese in cui gli uomini sono rimasti guerrieri sino a ieri ed in cui ancora oggi ciascuno porta alla cintura la jiambija, il micidiale pugnale ricurvo simbolo dell'onore e del coraggio individuale.

Un eventuale intervento saudita nello Yemen sarebbe quindi ben lontano da quelle "operazioni chirurgiche" che caratterizzano molto spesso le dichiarazioni del prima per non essere poi mai tali nella realtà' del dopo. Sauditi e paesi del Gulf Cooperation Council si troverebbero invece di fronte gli stessi guerrieri di cui parlava il Colonnello Hosny Amin, finendo con l'essere travolti in uno scontro che certo potrebbero vincere, ma non nel corto periodo né prima che sia sparito in ciascuna delle due parti contrapposte ogni residuo di misericordia ed onore.

I dilemmi occidentali
Ciò detto, rimane un interrogativo, che per noi occidentali resta fondamentale. Considerato come gli scontri di questa terza guerra mondiale vadano estendendosi e come essi investano aree essenziali per la sopravvivenza energetica dell'Occidente c'è infatti da chiedersi sino a quando potremo permetterci il lusso di non decidere, continuando con la politica di "un colpo al cerchio ed uno alla botte".

Blandendo cioè con una mano l'Iran, nell'idea che nell'area siro/irakena esso ci sia indispensabile per distruggere l'Isis, mentre con l'altra lasciamo invece via libera nella penisola arabica, per ragioni di opportunità energetica, a chi spera di ripulire rapidamente da ogni presenza sciita quello che considera come il proprio backyard.

Anche in questo caso forse dovremmo prendere esempio dal Sommo Pontefice che ha reagito a tutte le minacce estremiste di un attacco portato a Roma, nel cuore stesso della cristianità, assumendo lui l'iniziativa e proclamando un Anno Santo straordinario. Una decisione che, se da un lato innalza il valore simbolico dell'obiettivo minacciato, dall'altro, proprio per quello, dimostra con estrema chiarezza come si possa e si debba avere il coraggio di rimanere sempre arbitri del proprio destino, rifiutando di farcelo imporre da altri per incapacità, per inerzia o, peggio, per paura.

Giuseppe Cucchi, Generale, è stato Rappresentante militare permanente presso la Nato e l’Ue e Consigliere militare del Presidente del Consiglio dei Ministri.

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