venerdì 20 marzo 2015

Arabia Saudita: i primi passi del nuovo Re

Arabia Saudita
Il nuovo scacchiere di re Salman
Roberto Iannuzzi
19/03/2015
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Visto dal trono saudita, il panorama mediorientale è preoccupante. Mentre la Guardia rivoluzionaria di Teheran e le milizie sciite filo-iraniane avanzano in Siria e Iraq, lacapitale yemenita Sanaa è caduta nelle mani del movimento sciita degli Houthi, visto da Riyadh come un altro alleato dell’Iran.

Poco importa che il precedente sostegno saudita ai gruppi armati salafiti in Siria, e a un insostenibile status quo nello Yemen, sia in parte responsabile di questo esito, visto che ha provocato la reazione sciita. Un simile ragionamento non viene accettato a Riyadh, e non serve a placarne i timori.

La sindrome da accerchiamento saudita è completata dal possibile accordo nuclearefra Washington e Teheran, virtualmente in grado di riammettere l’Iran nel consesso internazionale e di liberarne le enormi potenzialità economiche.

Politica estera di re Salman
L’ascesa regionale del nemico iraniano coincide con un momento di particolare debolezza per la monarchia saudita, dovuto all’avvicendamento al trono. Il neo-insediato re Salman ha modificato gli assetti politici interni, emarginando i principi fedeli al defunto re Abdullah.

Il nuovo asse del potere, che passa per il vice erede al trono Mohammed bin Nayef e il figlio del re Mohammed bin Salman, si traduce in una nuova visione di politica estera fondata su tre punti chiave: il ricompattamento del fronte regionale sunnita contro il blocco filo-iraniano; la lotta all’autoproclamato “stato islamico”, visto soprattutto come un pericolo per la stabilità interna del regno; la“non-ostilità” nei confronti della Fratellanza Musulmana, non più considerata un nemico esistenziale.

Questa visione è rafforzata da una differente rete di relazioni personali che distingue la nuova leadership saudita dalla precedente. Lo scomparso re Abdullah aveva uno stretto rapporto con il presidente egiziano Abedel Fattah al-Sisi e con l’alleato di quest’ultimo, il principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed. Re Salman ha invece legami di amicizia con Tamim bin Hamad, emiro del Qatar, sostenitore della Fratellanza e avversario di Al-Sisi.

Visti gli interessi strategici in ballo, re Salman ha però confermato che l’Egitto di Al-Sisi rimane un pilastro dell’architettura di sicurezza del regno saudita. Ciononostante, il Cairo, non può più contare su un “assegno in bianco” con firma saudita.

Se Erdoğan e Al-Sisi facessero la pace
La nuova visione politica di re Salman si è tradotta in un fervore diplomatico senza precedenti. A febbraio i leader arabi del Golfo sono giunti a Riyadh, su invito del sovrano saudita, dopo che il vice erede al trono Mohammed bin Nayef si era recato in Qatar espressamente per riallacciare i rapporti con l’emiro Tamim.

Ne è emersa una posizione unitaria delle monarchie del Golfo a sostegno del deposto presidente yemenita Hadi, ma soprattutto la ripresa dei contatti fra i sauditi e il movimento Al-Islah, branca yemenita dei Fratelli Musulmani sostenuta dal Qatar e ostile agli Houthi.

A cavallo tra febbraio e marzo, si sono poi avvicendati a Riyadh Al-Sisi e il presidente turco Racep Tayyip Erdoğan. Obiettivo saudita era non solo riallacciare i rapporti con Ankara, altro sostenitore regionale della Fratellanza, ma addirittura tentare una riconciliazione fra il leader turco e quello egiziano - tentativo fallito, almeno per il momento.

Congelare la guerra fredda intra-sunnita 
Ritenendo urgente contrastare l’avanzata iraniana in Siria, Iraq e Yemen, re Salman vuole “congelare” il conflitto interno al fronte regionale sunnita,imperniato sui Fratelli Musulmani. Ciò non significa affatto fare della Fratellanza un alleato, bensì un possibile interlocutore in realtà particolari come quella yemenita.

Per Riyadh questo vuol dire far fronte comune con Turchia e Qatar in Siria, rinviando a tempi successivi le divergenze sulla gestione dell’opposizione anti-Assad. E vuol dire altresì smussare i contrasti fra Ankara e Doha da un lato, e il Cairo dall’altro.

Il dissidio che vede Turchia e Qatar contrapporsi all’Egitto appare però difficilmente sanabile. Oltre a riguardare lo scontro politico interno fra il regime di Al-Sisi e la Fratellanza egiziana, tale contrapposizione ruota attorno ad Hamas a Gaza e al conflitto libico.

Nella Striscia, Ankara e Doha sostengono il movimento islamico palestinese avversato da il Cairo, mentre in Libia appoggiano il governo di Tripoli, vicino alla branca locale della Fratellanza.

A differenza del suo predecessore, schierato apertamente a fianco de il Cairo, re Salman sembra aver adottato una posizione più defilata in Libia, per ridurre le tensioni nel fronte regionale sunnita. Egitto ed Emirati Arabi sostengono però i falchi nel governo di Tobruk, rendendo ardua una soluzione negoziale.

Se è difficile pensare che la nuova politica saudita riuscirà a sanare i dissidi intra-sunniti imperniati su Libia, Egitto e Gaza, la diplomazia di re Salman rischia di esacerbare lo scontro sunnita-sciita in Siria, Iraq e Yemen. Questo potrebbe mettere ulteriormente in pericolo la già precaria stabilità regionale.

Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo). È autore del libro “Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale”.

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