Conferenza sulla Siria Verso un compromesso di Pirro Roberto Aliboni 16/01/2014 |
Alla vigilia della conferenza sulla Siria di Montreux, gli Stati Uniti e la Russia continuano a premere per convincere le opposizioni che confluiscono nel Consiglio nazionale siriano (Cns) a prendervi parte.
Il Consiglio è molto diviso. Una buona parte dei suoi rappresentanti vorrebbe che il presidente Bashar al-Assad e il suo regime fossero esclusi o, almeno, che l’uscita di scena del regime fosse preventivamente assicurata.
A confermare queste posizioni è stata l’ultima riunione del Consiglio svoltasi a Istanbul all’inizio del mese. Ahmed Jarba, leader del Consiglio, le ha riportate alla riunione degli Amici della Siria del 12 gennaio a Parigi. Qui Stati Uniti e Russia hanno ripetuto le loro assicurazioni sul fatto che il governo Assad parteciperebbe alla Conferenza che si terrà il 22 gennaio, ma poi lascerebbe il potere a un governo di coalizione, in grado di riflettere un equilibrio inclusivo nel paese.
Trattative con il regime
L’impressione è che, sia pure molto di malavoglia, il Cns accetterà, ma naturalmente non avrà l’appoggio fermo e unanime dei suoi membri che, per il successo a lungo termine della riunione, sarebbe invece auspicabile.
La posizione statunitense appare meno chiara di quella russa. Mosca ha sempre sostenuto la permanenza al potere di Assad, non escludendo una sua uscita, ma affidandola a meccanismi interni e non a pressioni dall’esterno volte a cambiare il regime. È anche probabile che nell’accordo russo-siriano preliminare al disarmo chimico siano state date ad Assad assicurazioni in questo senso.
Lo scenario di una conferenza che pone le premesse per un compromesso che contempli un’uscita personale di Assad e dei suoi, ma garantisca una partecipazione al governo di rappresentanti “moderati” del vecchio regime, degli alawiti e dei loro alleati, fa parte certamente parte delle previsioni di Mosca.
Nella loro evoluzione gli Stati Uniti non sono arrivati molto lontani da questo scenario. A metà dicembre, la stampa riferì esplicitamente di un orientamento Usa favorevole a far restare Assad. A nostro avviso l’orientamento non riguarda la persona di Assad, ma un compromesso tra i siriani circa la permanenza nel governo di elementi del passato regime e dei loro interessi.
Sembrerebbe quindi che le differenze fra Mosca e Washington sull’esito della conferenza e il futuro della Siria siano più retoriche che sostanziali. Quello che viene assicurato ad Ahmed Jarba è vero (cioè che Assad uscirebbe di scena), ma questo implica un compromesso con il regime che fa inorridire parecchi fra i membri del Consiglio.
Estremisti alla ribalta
Questo non deve scandalizzare - salvo a vedere poi l’entità e la qualità del compromesso (che riguarda obbligatoriamente tutte le guerre civili, salvo quelle che finiscono con la distruzione fisica del nemico).
Innanzitutto, il Cns non è militarmente vittorioso, anzi tra gli attori militari in campo è il più debole. Inoltre, lo scenario militare (e politico) vede una prevalenza significativa degli islamisti estremisti e di Al Qaida.
Questo rende urgente una soluzione politica fra le forze secolari - il regime e il Cns - e il mantenimento dell’integrità territoriale siriana (un fattore necessario a contrastare le spinte alla disgregazione in Iraq e altri problemi regionali).
Questa soluzione metta allo scoperto una serie di problemi più generali. Il Cns è oggi la forza militare più debole a causa non solo delle sue divisioni interne, ma anche della decisione statunitense e occidentale di non aiutarlo militarmente. Questo aiuto è mancato per evitare che esso finisse nelle mani degli islamisti. Ma chi ha voluto aiutare gli islamisti l’ha fatto e la prudenza occidentale risulta oggi eccessiva.
Disimpegno Usa
Gli Usa, senza che gli europei abbiano saputo e voluto compensare le loro riluttanza, hanno ottime ragioni per estraniarsi dai conflitti del Medio Oriente, ma forse esagerano. Mentre nessuno può contestare l’emergere di un legittimo interesse strategico a starsene fuori dal Medio Oriente, questo ritiro doveva forse essere accompagnato da una strategia che evitasse un prezzo eccessivo.
Limiterà questo prezzo l’avvicinamento fra Usa e Iran? Noi pensiamo che questo avvicinamento farà la sua strada, ma difficilmente la pace ritrovata fra i due paesi potrà trasformarsi in alleanza. Le rivalità profonde che esistono fra i paesi della regione restano e gli Stati Uniti faranno bene a non lasciarsene coinvolgere: se Washington vorrà esercitare un ruolo regionale moderatore ed efficace dovrà coltivare buoni rapporti con tutti e non sbilanciarsi a sostenere questo o quello, ora lo Sha, ora la casa dei Saud, ora Saddam, come ha fatto nel passato.
In questo senso, gli Stati Uniti fanno bene a pretendere un impegno perché Teheran partecipi alla conferenza, accettando le conclusioni di Ginevra I, ma anche a tenere la porta della conferenza ben aperta. La partita con l’Iran è lunga, certamente centrale, e merita gradualità.
Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
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Il Consiglio è molto diviso. Una buona parte dei suoi rappresentanti vorrebbe che il presidente Bashar al-Assad e il suo regime fossero esclusi o, almeno, che l’uscita di scena del regime fosse preventivamente assicurata.
A confermare queste posizioni è stata l’ultima riunione del Consiglio svoltasi a Istanbul all’inizio del mese. Ahmed Jarba, leader del Consiglio, le ha riportate alla riunione degli Amici della Siria del 12 gennaio a Parigi. Qui Stati Uniti e Russia hanno ripetuto le loro assicurazioni sul fatto che il governo Assad parteciperebbe alla Conferenza che si terrà il 22 gennaio, ma poi lascerebbe il potere a un governo di coalizione, in grado di riflettere un equilibrio inclusivo nel paese.
Trattative con il regime
L’impressione è che, sia pure molto di malavoglia, il Cns accetterà, ma naturalmente non avrà l’appoggio fermo e unanime dei suoi membri che, per il successo a lungo termine della riunione, sarebbe invece auspicabile.
La posizione statunitense appare meno chiara di quella russa. Mosca ha sempre sostenuto la permanenza al potere di Assad, non escludendo una sua uscita, ma affidandola a meccanismi interni e non a pressioni dall’esterno volte a cambiare il regime. È anche probabile che nell’accordo russo-siriano preliminare al disarmo chimico siano state date ad Assad assicurazioni in questo senso.
Lo scenario di una conferenza che pone le premesse per un compromesso che contempli un’uscita personale di Assad e dei suoi, ma garantisca una partecipazione al governo di rappresentanti “moderati” del vecchio regime, degli alawiti e dei loro alleati, fa parte certamente parte delle previsioni di Mosca.
Nella loro evoluzione gli Stati Uniti non sono arrivati molto lontani da questo scenario. A metà dicembre, la stampa riferì esplicitamente di un orientamento Usa favorevole a far restare Assad. A nostro avviso l’orientamento non riguarda la persona di Assad, ma un compromesso tra i siriani circa la permanenza nel governo di elementi del passato regime e dei loro interessi.
Sembrerebbe quindi che le differenze fra Mosca e Washington sull’esito della conferenza e il futuro della Siria siano più retoriche che sostanziali. Quello che viene assicurato ad Ahmed Jarba è vero (cioè che Assad uscirebbe di scena), ma questo implica un compromesso con il regime che fa inorridire parecchi fra i membri del Consiglio.
Estremisti alla ribalta
Questo non deve scandalizzare - salvo a vedere poi l’entità e la qualità del compromesso (che riguarda obbligatoriamente tutte le guerre civili, salvo quelle che finiscono con la distruzione fisica del nemico).
Innanzitutto, il Cns non è militarmente vittorioso, anzi tra gli attori militari in campo è il più debole. Inoltre, lo scenario militare (e politico) vede una prevalenza significativa degli islamisti estremisti e di Al Qaida.
Questo rende urgente una soluzione politica fra le forze secolari - il regime e il Cns - e il mantenimento dell’integrità territoriale siriana (un fattore necessario a contrastare le spinte alla disgregazione in Iraq e altri problemi regionali).
Questa soluzione metta allo scoperto una serie di problemi più generali. Il Cns è oggi la forza militare più debole a causa non solo delle sue divisioni interne, ma anche della decisione statunitense e occidentale di non aiutarlo militarmente. Questo aiuto è mancato per evitare che esso finisse nelle mani degli islamisti. Ma chi ha voluto aiutare gli islamisti l’ha fatto e la prudenza occidentale risulta oggi eccessiva.
Disimpegno Usa
Gli Usa, senza che gli europei abbiano saputo e voluto compensare le loro riluttanza, hanno ottime ragioni per estraniarsi dai conflitti del Medio Oriente, ma forse esagerano. Mentre nessuno può contestare l’emergere di un legittimo interesse strategico a starsene fuori dal Medio Oriente, questo ritiro doveva forse essere accompagnato da una strategia che evitasse un prezzo eccessivo.
Limiterà questo prezzo l’avvicinamento fra Usa e Iran? Noi pensiamo che questo avvicinamento farà la sua strada, ma difficilmente la pace ritrovata fra i due paesi potrà trasformarsi in alleanza. Le rivalità profonde che esistono fra i paesi della regione restano e gli Stati Uniti faranno bene a non lasciarsene coinvolgere: se Washington vorrà esercitare un ruolo regionale moderatore ed efficace dovrà coltivare buoni rapporti con tutti e non sbilanciarsi a sostenere questo o quello, ora lo Sha, ora la casa dei Saud, ora Saddam, come ha fatto nel passato.
In questo senso, gli Stati Uniti fanno bene a pretendere un impegno perché Teheran partecipi alla conferenza, accettando le conclusioni di Ginevra I, ma anche a tenere la porta della conferenza ben aperta. La partita con l’Iran è lunga, certamente centrale, e merita gradualità.
Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.
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