Medio Oriente Dopo il Libano, le scosse siriane arrivano in Iraq Ludovico Carlino, Marco Di Donato 30/01/2014 |
Mentre la conferenza internazionale di Ginevra sulla Siria rischia di non produrre alcun risultato, il caos siriano continua a incrementare l’instabilità regionale sempre più profonda.
Alla lotta tra le forze del regime di Damasco e l’opposizione armata si è sommata nelle ultime settimane quella intestina e non meno cruenta tra le brigate jihadiste dello Stato islamico di Iraq e al-Sham (ad-Dawla al-Islāmiyya fi al-'Irāq wa-sh-Shām, meglio conosciute con l’acronimo Isis) guidate da Abu Bakr al-Baghdadi e i combattenti di diverse fazioni ribelli riuniti sotto le sigle del Fronte islamico e dell’esercito dei Mujaheddin.
Al-Qaeda serra le fila
Questa circostanza ha spinto il leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri a intervenire per l’ennesima volta per sedare la disputa interna.
L’offensiva anti-Isis in Siria, che ha permesso alle fazioni ribelli di sottrarre alcune aree del Nord del paese al controllo jihadista in una linea del fronte comunque in continuo mutamento, non sembra tuttavia aver inflitto un colpo reale alla costante ascesa dell’organizzazione di al-Baghdadi.
Isis ha al contrario rafforzato in quest’arco di tempo la sua presa nelle aree occidentali dell’Iraq, creando un nuovo ramo anche in Libano.
Se l’offensiva dell’Isis nella provincia irachena di Anbar, dove da inizio gennaio il gruppo ha nella sostanza preso il controllo di vaste aree delle città di Fallujah e Ramadi, rimane una dinamica legata a questioni principalmente interne, il conflitto siriano ha giocato negli ultimi due anni a favore del gruppo di Baghdadi.
Lo scorso 30 dicembre, la decisione del governo di Nuri Maliki di sgomberare il campo di protesta sunnita a Ramadi ha contribuito a rimescolare ancora una volta la miscela di alleanze tribali e settarie sulla quale da tempo poggia la stabilità di Anbar.
Scarsamente citato dalla stampa internazionale, l’episodio ha rappresentato nei fatti l’ennesima scintilla che ha permesso all’Isis di inserirsi nella nuova esplosione di rivendicazioni dei sunniti, capitalizzando senza dubbio la rinnovata vitalità garantita dal suo coinvolgimento nel conflitto siriano.
Hezbollah non più invincibile
Mentre in Iraq Isis continua a inquadrare la sua azione come finalizzata a proteggere la comunità sunnita dalle politiche repressive del governo a guida sciita, in Libano è in corso uno scontro settario più profondo, soprattutto nel confronto militare con Hezbollah.
Dopo le brigate Abdullah Azzam, nelle ultime settimane a dichiarare guerra aperta contro il partito sciita si sono schierati anche lo Jabhat al-Nusra in Libano, presunto ramo libanese del gruppo siriano.
Lo stesso Isis la scorsa settimana ha annunciato per voce di Abu Sayyaf al-Ansari l’imminente creazione di un ramo libanese, prestando giuramento di fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi.
I recenti attacchi dei tre gruppi nelle roccaforti di Hezbollah nella valle della Beqa'a e più volte nel cuore della Dahyeh, sembrano aver progressivamente eroso quell'aura d’invincibilità ed infallibilità che finora aveva accompagnato Hezbollah, in uno scontro su larga scala che sembra oramai interessare il paese nella sua totalità.
Non è difatti un caso che recentemente anche l'esercito libanese (storico rappresentante dell'unità statale e delle istituzioni) sia stato dichiarato come obiettivo legittimo dalle formazioni jihadiste.
Oltre al contagio c’è di più
Ma l'attuale crisi libanese è solo effetto dell'intervento di Hezbollah in Siria? Secondo la maggioranza degli analisti la situazione attuale è la conferma dello spillover della guerra siriana in Libano causato dal coinvolgimento del Partito di Dio nel conflitto oltre confine.
Altri tuttavia ritengono che lo scontro fra i jihadisti sunniti ed Hezbollah risponda più che altro alla crescente presenza di formazioni ideologicamente affini ad al-Qaeda nel paese, una dinamica incrementata da finanziamenti riconducibili alla gestione di Sa'ad al-Hariri.
In quest'ultimo caso la crisi siriana avrebbe “soltanto” aggravato una situazione d’instabilità già in essere approfondendo, inasprendo un clima di tensione assolutamente endogeno al contesto libanese.
Fa inoltre riflettere la facilità di azione militare di cui questi soggetti godono riuscendo a colpire Hezbollah a Beirut, Hermel, Arsal e a lanciare con successo un attentato suicida ai danni dell'ambasciata iraniana della capitale libanese. Si tratta di azioni che richiedono una profonda conoscenza del territorio ed un elevato know-how militare.
In tal senso, la crisi siriana sembra aver avuto un effetto facilitatore (senza per questo sgravare Hezbollah delle sue effettive responsabilità) nell'approfondire lo scontro su base confessionale fra sunniti e sciiti, permettendo che in Libano si riaffermassero vecchie logiche comportamentali: un paese diviso, frammentato, senza un governo, privo di uno stato e dunque potenzialmente esposto alle diverse spinte centrifughe esterne che costantemente lo attraversano.
Una situazione del resto similare a quella irachena, dove Baghdad è immersa in una spirale di violenza dai contorni convulsi che affonda le proprie radici in dinamiche tanto precedenti quanto contingenti al conflitto siriano.
Ludovico Carlino è PhD Candidate in International Politics presso la University of Reading, Regno Unito. Ricercatore del Cisip (Centro Italiano di Studi sull’Islam Politico) ed analista per la Jamestown Foundation.
Marco Di Donato è Dottore di Ricerca in Scienze Politiche e presidente del Centro Italiano di Studi sull'Islam Politico (CISIP).
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Alla lotta tra le forze del regime di Damasco e l’opposizione armata si è sommata nelle ultime settimane quella intestina e non meno cruenta tra le brigate jihadiste dello Stato islamico di Iraq e al-Sham (ad-Dawla al-Islāmiyya fi al-'Irāq wa-sh-Shām, meglio conosciute con l’acronimo Isis) guidate da Abu Bakr al-Baghdadi e i combattenti di diverse fazioni ribelli riuniti sotto le sigle del Fronte islamico e dell’esercito dei Mujaheddin.
Al-Qaeda serra le fila
Questa circostanza ha spinto il leader di al-Qaeda Ayman al-Zawahiri a intervenire per l’ennesima volta per sedare la disputa interna.
L’offensiva anti-Isis in Siria, che ha permesso alle fazioni ribelli di sottrarre alcune aree del Nord del paese al controllo jihadista in una linea del fronte comunque in continuo mutamento, non sembra tuttavia aver inflitto un colpo reale alla costante ascesa dell’organizzazione di al-Baghdadi.
Isis ha al contrario rafforzato in quest’arco di tempo la sua presa nelle aree occidentali dell’Iraq, creando un nuovo ramo anche in Libano.
Se l’offensiva dell’Isis nella provincia irachena di Anbar, dove da inizio gennaio il gruppo ha nella sostanza preso il controllo di vaste aree delle città di Fallujah e Ramadi, rimane una dinamica legata a questioni principalmente interne, il conflitto siriano ha giocato negli ultimi due anni a favore del gruppo di Baghdadi.
Lo scorso 30 dicembre, la decisione del governo di Nuri Maliki di sgomberare il campo di protesta sunnita a Ramadi ha contribuito a rimescolare ancora una volta la miscela di alleanze tribali e settarie sulla quale da tempo poggia la stabilità di Anbar.
Scarsamente citato dalla stampa internazionale, l’episodio ha rappresentato nei fatti l’ennesima scintilla che ha permesso all’Isis di inserirsi nella nuova esplosione di rivendicazioni dei sunniti, capitalizzando senza dubbio la rinnovata vitalità garantita dal suo coinvolgimento nel conflitto siriano.
Hezbollah non più invincibile
Mentre in Iraq Isis continua a inquadrare la sua azione come finalizzata a proteggere la comunità sunnita dalle politiche repressive del governo a guida sciita, in Libano è in corso uno scontro settario più profondo, soprattutto nel confronto militare con Hezbollah.
Dopo le brigate Abdullah Azzam, nelle ultime settimane a dichiarare guerra aperta contro il partito sciita si sono schierati anche lo Jabhat al-Nusra in Libano, presunto ramo libanese del gruppo siriano.
Lo stesso Isis la scorsa settimana ha annunciato per voce di Abu Sayyaf al-Ansari l’imminente creazione di un ramo libanese, prestando giuramento di fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi.
I recenti attacchi dei tre gruppi nelle roccaforti di Hezbollah nella valle della Beqa'a e più volte nel cuore della Dahyeh, sembrano aver progressivamente eroso quell'aura d’invincibilità ed infallibilità che finora aveva accompagnato Hezbollah, in uno scontro su larga scala che sembra oramai interessare il paese nella sua totalità.
Non è difatti un caso che recentemente anche l'esercito libanese (storico rappresentante dell'unità statale e delle istituzioni) sia stato dichiarato come obiettivo legittimo dalle formazioni jihadiste.
Oltre al contagio c’è di più
Ma l'attuale crisi libanese è solo effetto dell'intervento di Hezbollah in Siria? Secondo la maggioranza degli analisti la situazione attuale è la conferma dello spillover della guerra siriana in Libano causato dal coinvolgimento del Partito di Dio nel conflitto oltre confine.
Altri tuttavia ritengono che lo scontro fra i jihadisti sunniti ed Hezbollah risponda più che altro alla crescente presenza di formazioni ideologicamente affini ad al-Qaeda nel paese, una dinamica incrementata da finanziamenti riconducibili alla gestione di Sa'ad al-Hariri.
In quest'ultimo caso la crisi siriana avrebbe “soltanto” aggravato una situazione d’instabilità già in essere approfondendo, inasprendo un clima di tensione assolutamente endogeno al contesto libanese.
Fa inoltre riflettere la facilità di azione militare di cui questi soggetti godono riuscendo a colpire Hezbollah a Beirut, Hermel, Arsal e a lanciare con successo un attentato suicida ai danni dell'ambasciata iraniana della capitale libanese. Si tratta di azioni che richiedono una profonda conoscenza del territorio ed un elevato know-how militare.
In tal senso, la crisi siriana sembra aver avuto un effetto facilitatore (senza per questo sgravare Hezbollah delle sue effettive responsabilità) nell'approfondire lo scontro su base confessionale fra sunniti e sciiti, permettendo che in Libano si riaffermassero vecchie logiche comportamentali: un paese diviso, frammentato, senza un governo, privo di uno stato e dunque potenzialmente esposto alle diverse spinte centrifughe esterne che costantemente lo attraversano.
Una situazione del resto similare a quella irachena, dove Baghdad è immersa in una spirale di violenza dai contorni convulsi che affonda le proprie radici in dinamiche tanto precedenti quanto contingenti al conflitto siriano.
Ludovico Carlino è PhD Candidate in International Politics presso la University of Reading, Regno Unito. Ricercatore del Cisip (Centro Italiano di Studi sull’Islam Politico) ed analista per la Jamestown Foundation.
Marco Di Donato è Dottore di Ricerca in Scienze Politiche e presidente del Centro Italiano di Studi sull'Islam Politico (CISIP).
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