Iraq Rebus per evitare la guerra civile Maurizio Melani 15/01/2014 |
Con l'avvicinarsi delle elezioni legislative di fine aprile, il primo ministro iracheno Nuri Al-Maliki si trova, come nel 2010, a dover costituire un sistema di alleanze che gli consenta di ottenere un nuovo mandato.
Allora, di fronte alla divisione delle compagini sciite e alla condizione minoritaria del suo partito Dawa, Maliki riuscì a far convergere nella coalizione Rule of Law personaggi di varie provenienze, anche sunnite.
Il premier beneficiò soprattutto dell’autorevolezza che gli derivava dalla ripresa del controllo della quasi totalità del territorio sottratto a variegate milizie sciite a sud del paese e a Baghdad con una azione politica e militare sostenuta dagli occidentali (americani, britannici e missione addestrativa della Nato con la formazione della polizia federale affidata ai Carabinieri) e sostanzialmente accettata dall'Iran.
Promesse tradite
E ciò dopo che Al Qaeda era stata neutralizzata nella provincia di Anbar e altrove grazie all'azione di tribù e milizie sunnite assistite dagli americani. Questo consentì a Maliki un risultato elettorale vicinissimo a quello dell’alleanza trasversale Iraqiya guidata da Ayad Allawi, costituita nel clima allora dominante di rigetto delle divisioni "settarie".
L’attuale premier riuscì poi a ricomporre un’intesa con altre forze sciite grazie alla quale ottenne la guida del nuovo governo di grande coalizione con la stessa Iraqiya e con il blocco curdo.
Ma il promesso "power sharing" alla base della coalizione non fu rispettato. Il controllo delle forze di sicurezza fu concentrato nelle mani del primo ministro. I leader sunniti vennero in buona parte emarginati e a volte criminalizzati ricorrendo a un uso strumentale delle leggi sulla debaathificazione e contro il terrorismo.
La protesta sunnita si diffuse, alimentata anche dall'onda delle primavere arabe, e fu violentemente repressa mentre non veniva ostacolato il transito di armi, uomini e risorse dall'Iran e dallo stesso Iraq verso la Siria.
Vi erano quindi tutte le condizioni per una ripresa del terrorismo che dopo la ben pianificata operazione di evasione di centinaia di detenuti jihadisti ha portato i qaedisti ben armati, addestrati e finanziati dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis) a riprendere il controllo di ampie aree dell'Iraq occidentale e del confine siriano.
Esitazioni
Maliki sa che una soluzione esclusivamente militare non è possibile. Esita infatti a lanciare un'offensiva su Falluja e Ramadi, occupate dai qaedisti, i cui risultati sarebbero quanto mai incerti. Spinto dagli americani, che seppure con un’influenza diminuita hanno ripreso ad occuparsi della questione, il premier cerca quindi un recupero delle tribù.
Anche questo non basterebbe, occorrerebbe un serio sforzo per ristabilire un rapporto con le leadership politiche sunnite reso difficile dalla sfiducia reciproca accumulatasi e dalle loro divisioni.
Iraqiya è in dissoluzione, ma starebbero per unirsi il gruppo guidato dal presidente del Parlamento Usama Nujafi - forte soprattutto nella provincia di Ninive, dove peraltro sono maggiori le tensioni tra arabi e curdi -e quello al cui capo vi è il vice primo ministro Saleh Mutlak.
Potrebbero trovare una non facile convergenza con altre forze sciite (sadristi e Isci di Al-Hakim) anch'esse insofferenti verso Maliki, e costituire un'alleanza che potrebbe sconfiggerlo alle elezioni o nel nuovo Parlamento.
Se ciò si profilasse realmente Maliki potrebbe essere tentato di esacerbare la situazione con un affondo militare su Anbar che porterebbe verosimilmente alla guerra civile, giustificherebbe un rinvio delle elezioni e richiamerebbe gli sciiti all'unità sacra contro il nemico sunnita.
Si tratterebbe però di un gioco estremamente pericoloso che avrebbe bisogno di un deciso sostegno iraniano. Potrebbe diventare più probabile se le trattative sulla questione nucleare e sulla Siria fallissero e l'Iran perdesse le sue attuali remore.
Tentativo grande intesa
Bisogna quindi che i tentativi di "grande intesa" nella regione proseguano e abbiano successo anche se nel breve e medio periodo coloro che vi si oppongono, fino a quando non si convinceranno ad accettare un ragionevole e garantito compromesso, potranno contribuire all'aumento delle tensioni.
Occorrerà poi una soluzione dei contenziosi con il Kurdistan, per la quale si sta ora adoperando la Turchia, consapevole che altrimenti non saranno pienamente agibili le risorse di idrocarburi su cui ha tanto investito.
Pur avendo ultimamente puntato diversamente dal passato sull'autonomia della regione curda, Ankara non può volere, per evidenti ragioni, che questa vada oltre certi limiti e non sia compresa nell’unità dell'Iraq, cosa di cui gli stessi curdi sono ben consapevoli.
L'Iraq costituisce oggi un vuoto di potere al centro della regione mediorientale. Nessuno dei vicini, con l'eccezione forse della Turchia, ha voluto finora che esso riacquisti una capacità in grado di pesare nuovamente sugli equilibri regionali. Con le sue enormi risorse pienamente sfruttate, un Iraq unito e stabile ridurrebbe il peso relativo dell'Arabia Saudita e dell'Iran.
È quindi sulla possibilità di trovare un equilibrio basato su vantaggi reciproci e sulla considerazione ponderata dei costi dell'instabilità che si giocheranno le prospettive di ridare al paese una consistenza statuale e un ruolo che non siano più percepiti come una attuale o potenziale minaccia.
Maurizio Melani è Ambasciatore d'Italia.
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Allora, di fronte alla divisione delle compagini sciite e alla condizione minoritaria del suo partito Dawa, Maliki riuscì a far convergere nella coalizione Rule of Law personaggi di varie provenienze, anche sunnite.
Il premier beneficiò soprattutto dell’autorevolezza che gli derivava dalla ripresa del controllo della quasi totalità del territorio sottratto a variegate milizie sciite a sud del paese e a Baghdad con una azione politica e militare sostenuta dagli occidentali (americani, britannici e missione addestrativa della Nato con la formazione della polizia federale affidata ai Carabinieri) e sostanzialmente accettata dall'Iran.
Promesse tradite
E ciò dopo che Al Qaeda era stata neutralizzata nella provincia di Anbar e altrove grazie all'azione di tribù e milizie sunnite assistite dagli americani. Questo consentì a Maliki un risultato elettorale vicinissimo a quello dell’alleanza trasversale Iraqiya guidata da Ayad Allawi, costituita nel clima allora dominante di rigetto delle divisioni "settarie".
L’attuale premier riuscì poi a ricomporre un’intesa con altre forze sciite grazie alla quale ottenne la guida del nuovo governo di grande coalizione con la stessa Iraqiya e con il blocco curdo.
Ma il promesso "power sharing" alla base della coalizione non fu rispettato. Il controllo delle forze di sicurezza fu concentrato nelle mani del primo ministro. I leader sunniti vennero in buona parte emarginati e a volte criminalizzati ricorrendo a un uso strumentale delle leggi sulla debaathificazione e contro il terrorismo.
La protesta sunnita si diffuse, alimentata anche dall'onda delle primavere arabe, e fu violentemente repressa mentre non veniva ostacolato il transito di armi, uomini e risorse dall'Iran e dallo stesso Iraq verso la Siria.
Vi erano quindi tutte le condizioni per una ripresa del terrorismo che dopo la ben pianificata operazione di evasione di centinaia di detenuti jihadisti ha portato i qaedisti ben armati, addestrati e finanziati dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis) a riprendere il controllo di ampie aree dell'Iraq occidentale e del confine siriano.
Esitazioni
Maliki sa che una soluzione esclusivamente militare non è possibile. Esita infatti a lanciare un'offensiva su Falluja e Ramadi, occupate dai qaedisti, i cui risultati sarebbero quanto mai incerti. Spinto dagli americani, che seppure con un’influenza diminuita hanno ripreso ad occuparsi della questione, il premier cerca quindi un recupero delle tribù.
Anche questo non basterebbe, occorrerebbe un serio sforzo per ristabilire un rapporto con le leadership politiche sunnite reso difficile dalla sfiducia reciproca accumulatasi e dalle loro divisioni.
Iraqiya è in dissoluzione, ma starebbero per unirsi il gruppo guidato dal presidente del Parlamento Usama Nujafi - forte soprattutto nella provincia di Ninive, dove peraltro sono maggiori le tensioni tra arabi e curdi -e quello al cui capo vi è il vice primo ministro Saleh Mutlak.
Potrebbero trovare una non facile convergenza con altre forze sciite (sadristi e Isci di Al-Hakim) anch'esse insofferenti verso Maliki, e costituire un'alleanza che potrebbe sconfiggerlo alle elezioni o nel nuovo Parlamento.
Se ciò si profilasse realmente Maliki potrebbe essere tentato di esacerbare la situazione con un affondo militare su Anbar che porterebbe verosimilmente alla guerra civile, giustificherebbe un rinvio delle elezioni e richiamerebbe gli sciiti all'unità sacra contro il nemico sunnita.
Si tratterebbe però di un gioco estremamente pericoloso che avrebbe bisogno di un deciso sostegno iraniano. Potrebbe diventare più probabile se le trattative sulla questione nucleare e sulla Siria fallissero e l'Iran perdesse le sue attuali remore.
Tentativo grande intesa
Bisogna quindi che i tentativi di "grande intesa" nella regione proseguano e abbiano successo anche se nel breve e medio periodo coloro che vi si oppongono, fino a quando non si convinceranno ad accettare un ragionevole e garantito compromesso, potranno contribuire all'aumento delle tensioni.
Occorrerà poi una soluzione dei contenziosi con il Kurdistan, per la quale si sta ora adoperando la Turchia, consapevole che altrimenti non saranno pienamente agibili le risorse di idrocarburi su cui ha tanto investito.
Pur avendo ultimamente puntato diversamente dal passato sull'autonomia della regione curda, Ankara non può volere, per evidenti ragioni, che questa vada oltre certi limiti e non sia compresa nell’unità dell'Iraq, cosa di cui gli stessi curdi sono ben consapevoli.
L'Iraq costituisce oggi un vuoto di potere al centro della regione mediorientale. Nessuno dei vicini, con l'eccezione forse della Turchia, ha voluto finora che esso riacquisti una capacità in grado di pesare nuovamente sugli equilibri regionali. Con le sue enormi risorse pienamente sfruttate, un Iraq unito e stabile ridurrebbe il peso relativo dell'Arabia Saudita e dell'Iran.
È quindi sulla possibilità di trovare un equilibrio basato su vantaggi reciproci e sulla considerazione ponderata dei costi dell'instabilità che si giocheranno le prospettive di ridare al paese una consistenza statuale e un ruolo che non siano più percepiti come una attuale o potenziale minaccia.
Maurizio Melani è Ambasciatore d'Italia.
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