domenica 2 ottobre 2016

.TURCHIA: ancora emergenza

Turchia, curdi nuovamente nel mirino 
Bianca Benvenuti
09/10/2016
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Il 28 settembre il Consiglio di sicurezza nazionale turco ha deciso di rinnovare per altri tre mesi lo stato di emergenza proclamato a seguito del tentato colpo di stato del 15 luglio. Non accennano a fermarsi le purghe che ad oggi hanno già colpito migliaia di persone, in una guerra senza esclusione di colpi contro il terrorismo.

Nel mirino i militanti dell’autoproclamatosi “stato islamico” e i membri dell’organizzazione dell’imam Fetullah Gulen, Fetö, accusata di aver orchestrato il tentato golpe. La stretta è aumentata anche contro l’acerrimo nemico dello stato turco, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, Pkk. Sono ormai lontane le speranze, accese nel marzo 2013 dall’inzio del processo di pace, di veder concluso un conflitto che si protrae dagli anni ‛80. Da quando, nel luglio 2015, è stato violato il cessate il fuoco, la tensione tra le parti è tornata alle stelle.

Ankara si affida ai guardiani di villaggio
Ciononostante, il primo ministro Binali Yıldırım ha recentemente negato l’esistenza di un “problema curdo”, sostenendo la sola esistenza di un “problema terrorismo” a causa dell’esistenza del Pkk. Il Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdoğan, dal canto suo, ha dichiarato che le operazioni contro i militanti del Pkk continueranno fino all’uccisione dell’ultimo ribelle.

Nel frattempo, dal carcere di massima sicurezza dove è rinchiuso, il leader del Pkk, Abdullah Öcalan ha ribadito la necessità di riprendere i colloqui di pace, ma Ankara non sembra pronta a scendere a compromessi. Negli ultimi mesi, il conflitto armato si è rispostato nelle zone rurali, dopo la fine della strategia urbana del Pkk che aveva portato il conflitto in città come Diyarbakır, Cizre e Sirnak.

Per stanare ogni militante, Ankara ha deciso affiancare all’esercito regolare anche i “guardiani di villaggio”, una forza paramilitare composta per lo più da curdi leali al governo (per loro scelta o non), creata agli inizi del conflitto per impedire il sostegno al Pkk da parte dei villaggi del sud-est turco. Il ministro dell’interno Süleyman Soylu ha recentemente deciso di rafforzare questa forza paramilitare, creando tra l’altro un Dipartimento dei guardiani di villaggio: ad oggi, ci sono circa 47 mila guardiani temporanei e 22 mila permanenti al soldo del governo di Ankara.

Vita dura per l’Hdp
A ridurre le speranze di chi auspica una soluzione politica all’impasse curdo in Turchia concorrono anche gli attacchi contro il filo curdo Partito democratico del popolo, Hdp, entrato in parlamento a novembre 2016, dopo aver superato l’alta soglia di sbarramento del 10%.

Nel maggio 2016, è stata approvata una legge per revocare l’immunità parlamentare, aprendo la strada a numerosi processi contro deputati del Hdp accusati di vicinanza o sostegno al Pkk. Inoltre, con un decreto di emergenza approvato il 1̊ settembre, il governo ha assunto l’autorità di nominare direttamente amministrazioni fiduciarie, rimuovendo sindaci accusati di favoreggiamento al terrorismo.

Il decreto è stato utilizzato per la prima volta l’11 settembre, quando Ankara ha commissariato 28 amministrazioni locali nel sud est del Paese: 24 dei sindaci erano membri dell’Hdp mentre i restanti 4, accusati di appartenenza all’organizzazione Fetö, erano membri dell’Akp e del partito ultra-nazionalista Mhp. Di nuovo a fine settembre, altre tre città nella provincia di Şanlıurfa hanno visto rimossi i loro sindaci, democraticamente eletti, e nominate nuove amministrazioni fedeli al governo di Ankara, in una mossa definita “golpe amministrativo” dall’Hdp.

Ma non è solo il Partito democratico del popolo a essere preso di mira. L’8 settembre Ankara ha sospeso 11.285 insegnanti curdi, nuovamente con l’accusa di sostenere l’attività del Pkk. Le purghe post golpe hanno preso di mira anche mezzi di informazione curdi: da ultimo, ha destato sgomento la decisione di chiudere 23 tra stazioni radio e TV, compreso il primo canale di cartoni animati in lingua curda, Zarok TV.

La ripresa del conflitto e la stretta contro chi viene accusato di avere legami diretti o di sostenere indirettamente il Pkk, sta allontanando ogni giorno di più la possibilità di raggiungere una soluzione democratica a questa guerra, da molti considerata civile.

Sebbene il governo dichiari che il problema non è con la minoranza, ma solo con i militanti del Pkk, sminuendo il sostegno dei curdi al partito illegale,il tentativo di isolare i primi sta radicalizzando la frattura con i curdi e al contempo delegittimando l’Hdp. Ne è dimostrazione il fatto che, malgrado dichiarazioni di vicinanza ad Ankara a seguito del tentato golpe, l’Hdp sia stato escluso da ogni manifestazione congiunta dell’Akp con altri partiti di opposizione a sostegno della democrazia turca.

La dimensione internazionale della guerra al Pkk
Altri fattori contribuiscono ad allontanare la prospettiva di una soluzione democratica. L’intervento di Ankara in Siria lo scorso 24 agosto evidenzia che la guerra con il Pkk sta assumendo una portata non più solo nazionale, ma anche regionale: sarà difficile trovare una soluzione al caos domestico turco e tornare ai colloqui di pace senza al contempo risolvere anche l’equazione siriana.

Sul fronte interno, il crescente nazionalismo, istigato dal governo a seguito del tentato colpo di stato per legittimare misure spesso considerate autoritarie, non fa che aggravare la polarizzazione nella società.

Questa fine del processo di pace ha simbolicamente marcato l’inizio di un periodo di profonda instabilità in Turchia. D’altra parte la questione curda è barometro della situazione domestica turca e dello stato della sua democrazia sin dalla fondazione della Repubblica. Per questa ragione, è proprio dalla questione curda che occorre ripartire per sbrogliare la matassa del caos turco degli ultimi mesi.

Bianca Benvenuti è visiting researcher allo IAI.

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