domenica 23 ottobre 2016

Turchia.una situazione in divenire

Medio Oriente
Il doppio volto della Turchia dopo il golpe
Andrea Carteny
18/10/2016
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La visita del ministro degli esteri italiano Paolo Gentiloni in Turchia il 6 ottobre, e l’incontro con l’omologo turco Mevlut Cavusoglu, si presenta come un passo verso il superamento della crisi tra Unione europea, Ue, e la Turchia, determinata dagli eventi della scorsa estate.

La stagione apertasi all’indomani del tentato golpe del 15 luglio scorso, è infatti caratterizzata da elementi anche contraddittori, in cui la Turchia di Racep Tayyip Erdogan trova un indiscutibile punto di svolta.

Le tensioni interne, combinate al contesto internazionale, hanno condotto Ankara verso uno dei momenti più drammatici della sua storia contemporanea: si è aperta dunque una nuova fase nel complesso contesto vicino e medio-orientale.

Turchia e Russia si riavvicinano
Il governo turco, dopo il tentativo di colpo di stato, si caratterizza non solo per le estensive purghe dei suoi avversari, ma anche per un attivismo in campo internazionale incentrato nel tessere di nuovo buoni rapporti con altre potenze, globali e regionali, con cui i rapporti si erano deteriorati o interrotti.

Il maggiore atto simbolico del nuovo corso è stato la riapertura di un canale privilegiato con la Russia, il tradizionale rivale sul Mar Nero e sul Caucaso, che compensa la tensione con gli Stati Uniti.

Infatti dopo il duro scontro consumatosi all’interno del ginepraio siriano - sugellato dall’abbattimento, il 24 maggio, di un Sukhoi Su-24 russo al confine turco-siriano da parte di un F-16 turco - i due vecchi nemici sembravano riavvicinarsi. A mostrarlo non solo la visita di Erdogan in Russia, il 9 agosto scorso, ma anche quella più recente di Putin in Turchia.

Gli Stati Uniti e l’Ue sono avvisati: sebbene il conflitto siriano veda Mosca ed Ankara su fronti opposti, l’ambiguità che secondo Ankara le cancellerie occidentali hanno dimostrato durante la drammatica notte di metà luglio a favore di soluzioni alternative al “sultano” Erdogan, sono un ottimo alibi per riaprire un canale privilegiato con Mosca.

La repressione contro la rete di Fetullah Gulen, che fa riferimento al leader spirituale ancora residente negli Stati Uniti, ha dunque effetti anche sulle relazioni esterne della Turchia.

Golpe e contro golpe
Internamente, il fallito golpe si è risolto con una forte reazione, un vero e proprio contro-golpe, capace di risolvere la situazione di stallo creatasi con i risultati elettorali dello scorso anno di fronte al progetto presidenziale di Erdogan, obiettivo del suo Adalet ve Kalkınma Partisi, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, Akp.

Le elezioni del 7 giugno 2015, infatti, non avevano dato all’Akp il risultato sperato: con il 41% dei voti, il partito del presidente raccoglieva solo 258 seggi, il partito kemalista del Partito popolare repubblicano (in turco Cumhuriyet Halk Partisi, Chp) si confermava la seconda forza con 132 seggi, ma soprattutto il turchista ed euroscettico Partito di azione nazionalista (in turco Milliyetçi Hareket Partisi, Mhp) e il Partito democratico dei popoli (Hdp, che non si limitava a replicare il continuamente sciolto "partito curdo" ma si allargava ideologicamente alla sinistra libertaria e allo spirito di Gezi Park) raccoglievano 80 seggi ognuno.

Dopo una campagna elettorale tutta tesa a dimostrare i rischi dell’instabilità di governo nel Paese, con in atto una nuova escalation militare di repressione nel sud-est anatolico contro il Partito dei lavoratori del Kurdistan, Pkk, le nuove elezioni del 1̊ novembre riportano l’Akp al 49% dei voti a quindi alla maggioranza assoluta in parlamento (con 317 su 550 seggi della grande assemblea nazionale).

L’inverno del 2015 e la primavera 2016 permettevano dunque di riprendere il progetto di rafforzamento presidenziale al governo Akp traghettato nelle mani di Ahmet Davutoğlu, fino al maggio 2016, quando il contrasto tra il dinamico primo ministro e il presidente Erdogan provocano la sua sostituzione con il più allineato Binali Yildirim.

Demirtas e l’Hdp, baluardi dell’opposizione
In seguito al tentato golpe di metà luglio, l’Hdp rimane l’unico partito che, pur avendo rifiutato qualsivoglia appoggio ai golpisti e confermato il proprio sostegno al legittimo governo, non viene coinvolto dalla leadership di Erdogan per la giornata di consenso nazionale che celebra la sconfitta dei golpisti.

I suoi leader, la giornalista Figen Yüksekdağ e l’avvocato Selahattin Demirtaş, si sono distinti per la loro attività in difesa delle donne e dei diritti umani: Demirtas, già candidato alle elezioni presidenziali, si profila così come l’unico reale oppositore alla leadership di Erdogan.

Infatti anche il Mhp, è da sempre avversario del “separatismo” di armeni e curdi (i “lupi grigi” sono la formazione paramilitare non ufficialmente legata agli ambienti dell’Mhp).

L’ultra-nazionalismo dell’Mhp trova nell’attuale criminalizzazione pubblica dell’intera galassia del movimento curdo (dal Pkk al Dhp) il principale motivo di supporto alla leadership di Erdogan.

Anche il Chp e il suo leader Kemal Kılıçdaroğlu, nonostante il naturale ruolo di opposizione che la cultura di partito occidentalista e socialdemocratico, pur criticando gli eccessi nella “purga” seguita al fallito golpe contro magistrati, funzionari, insegnanti, giornalisti, ha assunto un atteggiamento di istituzionale sostegno al regime di Erdogan, definendo quella del post-golpe una “nuova Turchia” in cui si è aperta una “nuova porta per il compromesso”.

La foto del 7 agosto, quando un milione di persone si radunavano a Istanbul per sostenere il presidente e il governo turco, vedeva riuniti sul palco a fianco di Erdogan e del capo del governo Yildirim, proprio i leader del Chp Kılıçdaroğlu e del Mhp Bahceli. Il solo assente, Demirtas, sembra essere l’unico isolato oppositore della Turchia post-golpe.

Andrea Carteny è docente di Storia dell'Eurasia presso la Sapienza Università di Roma.

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