giovedì 6 ottobre 2016

Irak: battaglie

Medio Oriente
La problematica liberazione di Mosul
Maurizio Melani
12/10/2016
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Un aspetto cruciale degli sviluppi in Iraq in vista della liberazione di Mosul dall’autoproclamatosi “stato islamico” è costituito dai solidi rapporti stabiliti da diversi anni tra Turchia e regione del Kurdistan iracheno, Krg, guidato da Massud Barzani.

Il legame è soprattutto economico. Gli investimenti turchi e l'interscambio con la Turchia sono alla base della forte crescita negli scorsi anni nella regione autonoma. Il Krg ha bisogno della Turchia per esportare il suo petrolio in mancanza dell'attuazione di una intesa con il governo di Baghdad per la gestione di contratti e proventi, impedita dalla paralisi decisionale del Parlamento iracheno.

La Turchia utilizza e smercia il petrolio curdo ottenuto a prezzi ridotti. Per quanto sia solido questo asse non è però inossidabile. Regge fin quando Barzani è allineato nella sostanza, al di la del detto e non detto, alla politica complessiva di Ankara nella regione. Di tale politica sono componenti centrali la lotta al Pkk e ai suoi alleati del Pyd in Siria e il confronto con l'Iran.

In questo quadro si collocano anche le riemergenti rivalità tra i curdi iracheni e le loro interazioni con la lotta politica in corso a Baghdad. Nel Kurdistan iracheno vi è inoltre un malcontento popolare, sfruttato dall'opposizione a Barzani, causato dopo il boom degli anni precedenti da una crisi economica dovuta alla guerra con lo “stato islamico”, alla gestione di quasi due milioni di rifugiati, al rallentamento dell'economia turca e anche, in misura rilevante, ai problemi di trasferimenti di fondi dal governo centrale a quello di Erbil per il pagamento degli stipendi a centinaia di migliaia di dipendenti pubblici.

Forze turche nella base di Bashika
La presenza da oltre un anno di forze turche nella base di Bashika nella provincia di Niniwa, ove i peshmerga del Krg e milizie arabo-sunnite e turcomanne controllano parti del territorio strappato allo “stato islamico”, è motivo di duro contrasto con il governo di Baghdad che ne chiede il ritiro.

Ankara sostiene che questa presenza - diretta all'addestramento delle forze anti “stato islamico”, ma con capacità di combattimento - ha luogo su richiesta del governo di Erbil che a sua volta né conferma né smentisce e che peraltro non ha legalmente una giurisdizione su quell'area.

Sta di fatto che per il Krg le forze turche costituiscono una assicurazione contro le Popular Mobilisation Units (PMUs) sciite, sostenute dall'Iran, che nella loro parallela marcia verso Mosul sono quelle più in grado di cacciare i peshmerga dalle aree a popolazione mista araba e curda occupate nella fase di resistenza all'avanzata dello “stato islamico” e dopo.

In questo momento esse sono ritenute dal Krg più pericolose delle milizie arabo-sunnite locali, tradizionali avversarie dei curdi, con le quali invece Barzani ha stabilito una convergenza favorita dalla Turchia che non intende dare spazio alle forze sostenute dall'Iran contro le quali si è esplicitamente espresso il Presidente turco Racep Tayyip Erdogan.

Lotta di potere a Baghdad
Sullo sfondo vi è la lotta di potere in corso a Baghdad, dove l’ex-Primo Ministro Noori Al-Maliki è in grado non soltanto di impedire al Parlamento di dare la fiducia a nuovi Ministri proposti da Al -Abadi, ma anche di far sfiduciare Ministri chiave per la gestione e gli equilibri del Paese.

Benché non sia esplicito l’appoggio a queste manovre da parte dell'Iran, che nel 2014 aveva sostenuto parallelamente agli Usa l’avvento di Al Abadi, appare difficile che Al-Maliki operi senza le coperture da Teheran che egli è accusato di avere.

Di fronte a questi sviluppi, comprensivi dell’intensificazione dei rapporti tra Maliki e i curdi del Puk, secondo partito della Regione autonoma, Al-Abadi e Barzani si sono incontrati a fine settembre a Baghdad ed hanno annunciato la volontà di risolvere tutti i contenziosi tra governo centrale e Krg.

Non è la prima volta che questo accade con seguiti raramente conclusivi, ma appare sempre più evidente un interesse comune a convergere in questa fase. Sia di fronte a milizie sciite riattivate per contrastare lo “stato islamico” che sfuggono al pieno controllo del Primo Ministro e manifestano volontà di autonomia politica e insofferenze per la presenza militare statunitense. Sia di fronte alle manovre di Al-Maliki destabilizzatrici del quadro politico a Baghdad e a Erbil.

Attori regionali ed esterni
Come sempre, un ruolo cruciale sarà giocato dalle potenze regionali: la Turchia - formalmente alleata degli Usa, ma che ignora l'invito di Washington a lasciare il suolo iracheno se non vi è un accordo con quello di Baghdad e non si cura delle preoccupazioni per le conseguenze sulle risorse idriche in Iraq della costruzione della grande diga di Ilisu sul Tigri.

L'Iran - alleata della Russia in Siria, che sostiene contemporaneamente il governo legittimo a guida sciita, ma anche le azioni sul terreno e probabilmente gli intrighi parlamentari che limitano la stabilità di Al-Abadi, lanciando agli Usa il segnale che senza Teheran non può esservi stabilizzazione della regione.

E infine l'Arabia Saudita- che sostenendo gruppi arabo-sunniti di varia natura, inclusi i più estremisti, continuerà presumibilmente ad operare affinché la stabilizzazione dell'Iraq e la conseguente piena agibilità delle sue enormi risorse petrolifere non raggiungano livelli tali da insidiare la sua supremazia nella regione e nel mercato mondiale degli idrocarburi.

Per tanti motivi politici, economici, umanitari e migratori, favorire tutte le possibili intese funzionali ad una piena stabilizzazione della regione e i dividendi economici della pace resta un interesse primario della diplomazia statunitense, degli europei e delle Nazioni Unite, in un contesto nel quale anche la Cina è interessata a soluzioni pacifiche.

Occorre però la consapevolezza della natura spesso tattica, temporanea e precaria di allineamenti tra attori che malgrado non possano vincere sono ancora distanti da una logica di composizione cooperativa dei diversi interessi.

Maurizio Melani è Ambasciatore d'Italia.

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