La notizia positiva per l’Europa è che l’accordo con la Turchia sui migranti è salvo, almeno per ora. Quella negativa è che l’equilibrio precario su cui si fonda l’intesa rischia di sbilanciarsi a favore di Ankara col passare dei mesi. La questione dei rifugiati sta ribaltando i ruoli e ora sembra essere l’Europa nella posizione di dover rincorrere la Turchia.
L’azione della macchina diplomatica europea è diventata evidente a fine agosto, quando è arrivata in Turchia una missione con funzioni esplorative, guidata dal viceministro tedesco agli affari europei Michael Roth, accompagnato da una delegazione di tecnici della Commissione e del Seae. A inizio settembre hanno fatto tappa ad Ankara anche il commissario alle migrazioni Dimitris Avramopoulos e il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.
L’apice dell’azione diplomatica si è però avuto con l’incontro di alto livello di venerdì 9 settembre, che ha visto contrapporsi da una parte il capo della diplomazia turca Mevlüt Çavusoglu e il ministro per gli affari europei Ömer Çelik, dall’altra l’Alto rappresentante Federica Mogherini e il commissario all’allargamento Johannes Hahn.
Liberalizzazione dei visti L’accordo è ad oggi l’unica proposta di contenimento del fenomeno migratorio messa effettivamente in piedi dall’Ue e ha portato risultati operativi, congelando, nei fatti, la rotta balcanica. La stessa cancelliera Angela Merkel ha difeso più volte il patto e ha anche recentemente presentato l’ipotesi di un utilizzo come modello per Tunisia ed Egitto.
In cambio, la Turchia ha chiesto all’Europa la liberalizzazione dei visti all’ingresso in Ue per i propri cittadini e l’assistenza finanziaria nella gestione dei rifugiati sul suolo turco. Anche se la revoca del regime dei visti era prevista entro ottobre 2016, le parti hanno già convenuto di rimandare la questione a fine anno.
Tutto è bloccato finché gli Stati membri non si riterranno soddisfatti, e cioè finché la Turchia non rispetterà i 72 parametri posti a condizione per l’abolizione del regime dei visti. Ma da maggio sono sempre ferme a 5 le richieste ancora da adempiere, delle quali una, quella relativa alla nuova legge antiterrorismo di cui Ankara dovrebbe dotarsi, sembra davvero lontana dal poter essere mai soddisfatta.
Arrivano le carte elettroniche per i profughi Se la questione dei visti rappresenta la vera spada di Damocle per Bruxelles, procede, seppur con qualche ritardo, la cooperazione per fornire assistenza, non solo umanitaria. Il sostegno finanziario alla Turchia rappresenta l’aspetto sgradito all’opinione pubblica europea e gli aiuti vengono ancora percepiti come un assegno in bianco da 3 miliardi intestato a Erdogan.
In realtà la somma è destinata al finanziamento di un complesso programma di assistenza che vede tra i principali beneficiari gli storici partner umanitari dell’Ue, tra cui diverse agenzie Onu come l’Unhcr e il Wfp e alcune importanti Ong come la Croce Rossa.
Alla Turchia spetta il coordinamento operativo sul campo e una piccola parte di finanziamento diretto, principalmente indirizzata al proprio Ministero dell’istruzione per il rimborso dei programmi educativi. Ankara non può però disporre liberamente della somma e ogni euro stanziato è soggetto a una procedura di controllo di effettiva destinazione da parte degli audit europei.
In virtù della scarsa popolarità dell’aspetto finanziario, si è potuto notare almeno da luglio un cambiamento nella strategia comunicativa della Commissione. Dai primi comunicati stampa contenenti solo freddi numeri sull’impiego delle risorse, viene ora dato più spazio ai diversi progetti approvati. L’ultimo dei quali è stato entusiasticamente presentato come il più grande programma d’aiuto nella storia dell’Ue sia per la somma record destinata, 348 milioni di euro, sia per le modalità operative.
L’obiettivo è infatti quello di consegnare la maggior parte della somma in modo diretto, e cioè tramite delle carte elettroniche che saranno date a quasi 1 milione di profughi, che vedranno così preservata la loro dignità di scelta nel decidere come utilizzarli.
Una relazione più dinamica In questi mesi dunque la cooperazione tra Turchia e Ue non si è fermata, anzi sono stati messi in cantiere grossi progetti per l’immediato futuro. Questo mostra come le relazioni bilaterali si stiano evolvendo: tradizionalmente statiche, stanno ora acquisendo dinamicità, grazie anche a un pragmatismo politico bilaterale.
La condivisione di interessi comuni, in primis la questione dei rifugiati, sta contribuendo a far evolvere in senso politico un rapporto che finora si era fondato su un sistema di aspettative reciproche funzionali a determinati obiettivi. In questo senso, l’azione diplomatica di inizio settembre dell’Ue è stata necessaria, perché ha mostrato quella vicinanza politica che era stata disattesa negli scorsi mesi e che adesso la Turchia ritiene importante tanto quanto l’ingresso nel mercato comune.
Gerardo Fortuna è ricercatore Istrid e collaboratore di Limes e Ispi.
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