giovedì 9 aprile 2015

Yemen come se non bastasse. Si apre un nuovo fronte

Yemen, la polveriera
La Nato araba scende in campo
Azzurra Meringolo
02/04/2015
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Il primo seme fu piantato 70 anni fa, quando l’Egitto invitò i capi di governo di diversi paesi arabi ad Alessandria per discutere il progetto di una federazione araba.

Guidati dal Cairo, uno sparuto gruppo di Paesi arabi unì le forze creando il primo nucleo di quella che diventerà, nel 1945, la Lega Araba, un’istituzione che sin da subito si concentrò sulla cooperazione tra i Paesi membri, immaginando anche un’integrazione militare.

L’obiettivo di un esercito comune apparve da subito molto ambizioso e continua ad esserlo fino ai giorni nostri. Pur non essendo mai stato realizzato - soprattutto a causa delle divisioni interne alla Lega Araba che è oggi condizionata dall'alleanza saudita-egiziana, da quella turco-qatariota e dalla mezzaluna sciita - è rimasto sullo sfondo, conquistando poi la ribalta in occasione dell’ultimo vertice conclusosi domenica scorsa sulla costa di Sharm el-Sheikh.

Vertice della Lega Araba
Sfruttando il pretesto dell’escalation di violenza in Yemen, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha infatti chiamato a raccolta i membri della Lega Araba chiedendo loro di accantonare i punti di divergenza e di unire una volta per tutte le forze contro le minacce destabilizzatrici della regione.

Anche se il pericolo presentato come più urgente è quello proveniente dallo Yemen, a spaventare l’Egitto sembra però soprattutto il confine con la Libia.

Le parole con le quali Al-Sisi ha annunciato che gli stati della Lega araba hanno accettato di formare un fronte militare comune per affrontare le minacce securitarie suonano quindi come storiche alle orecchie di quanti ricordano che fu solo nel ’73 che i Paesi membri riuscirono a unirsi per combattere contro il nemico comune, Israele.

Da allora, il progetto dell’esercito arabo è rimasto accantonato nel cassetto. Per rispolverarlo una volta per tutte, evitando veti paralizzanti, è stata ora adottata la formula dell'adesione volontaria e indiscrezioni parlano di una dotazione di 40 mila uomini con aerei, navi e mezzi blindati leggeri con quartier generale in Egitto o Arabia Saudita.

Nei prossimi quattro mesi, una commissione di alto livello si metterà al lavoro per definire la struttura e i meccanismi di cui si servirà in futuro questo esercito comune.

Yemen, l’ex Vietnam egiziano
La questione yemenita ha quindi spinto i Paesi della Lega a riaprire un dossier che sembrava ormai sotterrato da una serie di questioni ritenute più urgenti.

Il tutto grazie all’iniziativa dell’Egitto, paese che non solo sostiene il presidente sunnita ad interim Abdu Rabu Mansur Hadi, ma che ha anche avuto uno ruolo importante nella storia dello Yemen.

Non solo l’allora raìs egiziano, Gamal Abdel Nasser, ispirò il colpo di stato degli Anni ’60 che portò alla deposizione della monarchia, ma il Cairo partecipò anche a quella che gli storici ricordano come la guerra del Vietnam egiziana, ovvero il conflitto civile tra sostenitori della repubblica e della monarchia.

L’attuale intervento armato dell’Egitto in Yemen riflette però le alleanze che al momento definiscono le dinamiche della regione.

Il Cairo, tenuto in vita dai generosissimi assegni delle petro-monarchie, è uno stretto alleato dei sauditi. L’ossigeno che tiene in vita l’Egitto ha però un prezzo. Ecco perché Al-Sisi non può dispensare il suo esercito - il più forte della regione - da un conflitto che Riad ritiene di vitale importanza.

Una battaglia decisiva nella Guerra Fredda mediorientale che vede sunniti e sciiti competere per la supremazia regionale.

Preoccupazioni egiziane: Suez e Libia
Guerra per procura a parte, schierando una dozzina di navi verso Babel-Mandeb, Il Cairo vuole anche controllare le acque del Golfo di Aden. L’Egitto teme infatti che i ribelli yemeniti possano condizionare questo snodo cruciale del commercio globale dal quale dipende la navigazione verso il Mar Rosso e attraverso il Canale di Suez. Aden è infatti l’ultimo feudo di Hadi.

Anche se a Sharm el Sheikh si è parlato soprattutto di Yemen, Golfo di Suez a parte, le preoccupazioni egiziane provengono soprattutto dal confine libico. È qui che Al-Sisi vorrebbe vedere all’opera il neonato esercito comune per sconfiggere quegli islamisti imparentanti con i suoi principali avversari interni.

Il “nuovo” regime egiziano vuole infatti ampliare il raggio della sua guerra contro l’Islam politico, eliminando anche i membri e i sostenitori libici della Fratellanza Musulmana, confraternita nuovamente bandita lungo il Nilo.

Dopo una serie di bombardamenti contro quelle che sono state descritte come “roccaforti jihadiste” in Libia, l’Egitto ha infatti chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu “una risoluzione per un intervento internazionale in Libia”.

Il Palazzo di Vetro ha però preferito proseguire sul sentiero negoziale, scartando anche l’altra proposta egiziana di porre fine all’embargo delle armi sulla Libia.

Rispettando le decisioni Onu, l’Egitto sta ora aspettando i risultati dei negoziati. Tra gli strateghi egiziani c’è già chi, scommettendo sul fallimento della diplomazia, sta immaginando un’eventuale operazione di terra sotto la bandiera della Lega Araba.

La Libia non è però lo Yemen e non è detto che si trovino volontari sufficienti per fare scendere in campo questa nuova Nato araba.

Azzurra Meringolo è ricercatrice presso lo IAI e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir.

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