Per molti i rapporti tra Turchia e Iran non possono non continuare a prescindere da una battaglia combattuta 501 anni orsono.
Fu infatti a Cialdiran che le armate ottomane, guidate da Selim I Yavuz (il Severo o il Crudele) inflissero una sconfitta epocale a quelle dello shah Savafide Ismail, colui che avrebbe definitivamente portato l’Iran allo sciismo duodecimano di stato. Una battaglia che segnò il confine, uguale ancora oggi, tra due mondi.
Eppure nei secoli a venire tra i due imperi ci fu sempre una serie di rapporti oscillanti tra la guerra e l’accordo, tra lo scambio commerciale e lo scontro.
Per questo la visita del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan a Teheran era attesa con un mix di interesse e sfiducia. Soprattutto dopo che la Turchia si era schierata con l’alleanza sunnita a guida saudita che sta bombardando le tribù Houthi (sciite zaydite e non duodecimane come in Iran) in Yemen. E dopo che per mesi l’autoproclamatosi “stato islamico” ha goduto di un benevolo occhio di riguardo da parte di Ankara oltre che di Riyadh.
Pragmatismo di Erdoğan Era una visita programmata da tempo, ma il suo svolgimento è stato inatteso. Almeno per chi non conosce lo spirito pragmatico del presidente turco e la sua capacità di adattare la sua sempre più chiara e crescente ideologia islamistica alle varie e diverse situazioni.
Solo così si possono spiegare la concordia, il calore e le parole conclusive dell’incontro di Erdoğan con il suo omologo iraniano Hassan Rouhani. Uno spettacolo stupefacente per chi aveva assistito allo scontro a distanza tra Erdoğan, che accusava l’Iran di voler destabilizzare lo Yemen e di intrusione nelle vicende irachene e siriane, e la dura risposta del ministro degli esteri iraniano Mohammed Javad Zarif.
Tanap e accordi Iran-Turchia Sorprendendo molti osservatori, Erdoğan ha concluso la sua visita affermando : “Non mi interessa di sunniti o sciiti, mi interessa la pace tra i musulmani”. Una frase preceduta dalla firma di una serie di accordi economici, tra cui quello che prevede la partecipazione iraniana al Tanap (Trans Anatolian Natural Gas Projet), il gasdotto che dovrà portare il metano iraniano e quello azero fino al Mediterraneo e favorire il rifornimento di combustibile alla sempre famelica industria turca.
È chiaro che l’Iran si prepara a rientrare nel grande gioco internazionale dopo il lungo inverno delle sanzioni e dei blocchi che dura praticamente dalla salita al potere dell’ayatollah Khomeini nel 1979.
Ed è altrettanto chiaro che i turchi preferiscono siglare accordi ora che Teheran è ancora debole piuttosto che tra qualche tempo quando le sue posizioni si saranno rafforzate.
E del resto le parole di Rouhani che auspicano il “raddoppio degli scambi commerciali trai due Paesi” lasciano intravvedere sviluppi interessanti e sostanziosi, visto che già oggi l’interscambio tra Ankara e Teheran ammonta a 14 miliardi di dollari.
Secondo alcuni osservatori c’è però un problema: la Turchia, da alleata dell’Arabia Saudita, avrebbe sconcertato, con il suo comportamento, il nuovo re Salman e tutto l’establishment reale. Ne siamo davvero così sicuri?
Non è che invece Erdoğan, che peraltro ha ricevuto un importante membro della corte saudita come il principe Muhammad Bin Nayef, viceprincipe della Corona (cioè erede al trono) poco prima di partire per l’Iran, non stia aprendo la via a un possibile avvio di trattative tra i due grandi e storici rivali che si affacciano sul Golfo Persico?
Conseguenze del riavvicinamento turco-iraniano Una trattativa che potrebbe portare a un’intesa per la pacificazione dello Yemen e per la lotta ad Al-Qaida nella Penisola Araba che tranquillizzerebbe anche il Bahrein (dinastia regnante sunnita e maggioranza della popolazione sciita tenuta a freno da un corpo di spedizione saudita)? Un tavolo di lavoro che potrebbe portare alla ricerca di soluzioni del caos siriano e magari anche di quello iracheno?
Perché il riavvicinamento turco-iraniano potrebbe portare a una trattativa, magari per interposta nazione, tra Teheran e Riyadh.
E non è tutto, un buon rapporto con gli sciiti iraniani potrebbe sbloccare l’opposizione degli alevi di Turchia, sciiti eterodossi, ma che costituiscono una larga fetta (c’è chi dice il 30% ) della popolazione turca e che da sempre votano a sinistra in odio all’Akp di Erdoğan.
In vista d’importanti appuntamenti elettorali alle porte, conquistare una parte degli alevi o comunque spegnerne l’animosità sarebbe per Erdoğan il colpo decisivo per arrivare al cambiamento costituzionale e a un potere prolungato.
Insomma: cause economiche, di prestigio, di politica estera e interna spingono a un cambio di rotta verso Teheran. E il neottomano Erdoğan è troppo abile per non coglierle.
Marco Guidi è giornalista esperto di Medio Oriente e Islam, a lungo inviato di Il Messagero, in Turchia e nel mondo arabo. Dalla sua fondazione insegna alla Scuola di giornalismo dell’Università di Bologna.
|
Nessun commento:
Posta un commento