Attacco a Teheran Iran: terrore, insorti, Isis, interferenze saudite Eleonora Ardemagni 27/06/2017 |
Il 7 giugno, il sedicente Stato islamico, l’Isis, o Daesh, ha rivendicato il suo primo attacco in Iran: gli attentatori erano tutti di nazionalità iraniana. Le autorità della Repubblica islamica non hanno divulgato l’etnia dei terroristi, ma almeno quattro sarebbero curdi iraniani.
In Iran, solo il 51% della popolazione è persiana: storicamente, il pluralismo identitario non ha però indebolito la costruzione della nazione. Tuttavia, le minoranze etniche (curdi, arabi, baluci), anche sunnite, rimangono ai margini della vita politica, tra diseguaglianze socio-economiche e spinte irredentiste, nelle quali anche i Paesi arabi del Golfo provano a infilarsi.
Identità transnazionali e minoranze
La competizione egemonica fra Arabia Saudita e Iran e la ‘variabile Daesh’ hanno alimentato il settarismo: tali dinamiche non possono che impattare sulla dialettica fra uno Stato ibrido perché duale come Teheran (semipresidenziale e teocratico), le periferie e i movimenti armati.
Non è una coincidenza che gruppi dell’insorgenza armata iraniana, come i baluci di Jaysh al-Adl (già Jundullah) e i curdi del Pjak, abbiano intensificato gli attacchi contro le forze di sicurezza. In Medio Oriente, le identità transnazionali pesano ormai più dei confini statuali, mettendo sotto pressione i tradizionali meccanismi di cooptazione e/o coercizione.
In Iran, le linee di faglia sono tre: confessionale (70% sciiti, 5-10% sunniti), linguistica e soprattutto etnica. La minoranza araba (3%) si concentra nell’ovest (Khuzestan, dove c’è il 90% delle risorse petrolifere) e nella fascia costiera meridionale. I curdi (7%) abitano le terre montuose del nord-ovest. I baluci (2%) popolano la regione orientale del Sistan Baluchistan, terra frontaliera e di contrabbando con l’Af-Pak.
Il presidente HassanRohani, pur proseguendo le politiche repressive e di persianizzazione (specie nei confronti degli arabi), ha aperto ai sunniti d’Iran, nominandone uno vice-ministro del petrolio. Alle elezioni presidenziali del 19 maggio, le minoranze hanno massicciamente partecipato e votato per Rohani.
I gruppi armati e le influenze saudite
Ansar al-Furqan, movimento armato balucio, si rivolge agli sciiti con il termine dispregiativo di rafidah, lo stesso usato dai jihadisti. I nazionalisti curdi del Pjak, attivi sul confine irano-iracheno, sono un’emanazione del Pkk. Il Movimento arabo di lotta per la liberazione di Ahvaz (Asmla), capoluogo del Khuzestan, ha spesso sabotato le infrastrutture energetiche e ha contatti con la Fratellanza Musulmana siriana. Nel 2013, Asmla ha annunciato un coordinamento politico con Jaysh al-Adl e Pjak.
Il salafismo è in crescita tra i sunniti d’Iran, propagato anche da canali satellitari (come Global Kalameh Network che trasmette da Medina e Dubai) e internet. L’Iran denuncia il sostegno dei Paesi arabi del Golfo ai gruppi dell’insorgenza sunnita interna. Tuttavia, Teheran ha spesso tollerato la propagazione del salafismo tra i curdi in chiave anti-sinistra e anti-nazionalista: i salafiti curdi si oppongo a uno Stato curdo indipendente.
Le verosimili ˊinterferenze competitiveˋ di Riad, Doha e Abu Dhabi in Iran non hanno finora raggiunto il livello di operatività, nonché di visibilità, della rete transnazionale delle milizie sciite. Sauditi ed emiratini sosterrebbero i baluci di Jaysh al-Adl: il confinantePakistan è un alleato storico dell’Arabia Saudita, che lì finanzia molte scuole coraniche. Gli arabi di Asmla riceverebbero finanziamenti da segmenti della diaspora iraniana di Abu Dhabi.
Daesh s’incunea dal confine iracheno
L’Iran combatte sul campo il sedicente califfato, anche con il lancio di missili. Finora, la strategia di Teheran contro Daesh si è focalizzata sulla difesa dei confini: tra l’altro, le minoranze iraniane si concentrano lungo il perimetro geografico dell’Iran (arabi con Iraq, curdi con Turchia e Iraq, baluci con Pakistan).
Adesso, alcuni jihadisti sono però penetrati e si muovono nel Paese, a dispetto della profonda securizzazione dello stato iraniano: i salafiti curdi e il confine iracheno (epicentro Kermanshah) sono gli attori e i luoghi più esposti alle sirene dell’autoproclamato Califfato, che dopo la ritirata da Mosul si sta riorganizzando proprio tra Al-Anbar e Diyala, quest’ultima al confine con l’Iran.
Teheran è oggi un obiettivo primario: ecco perché il recente video di Daesh in persiano e la traduzione della rivista Rumiyah, nonché la creazione di una ‘Brigata farsi’ a Diyala, con curdi, baluci e arabi iraniani.
Largo ai falchi
La polarizzazione mediorientale incentiva settarismo e radicalizzazione. L’offerta di dialogo intra-Golfo, avanzata da Rohani, con il viaggio di gennaio tra Kuwait e Oman, è stata duramente respinta da Mohammed bin Salman, neo-erede al trono saudita.
In Iran, conservatori e pasdaran proveranno a capitalizzare, a spese dei riformatori, l’attacco di Daesh, i toni aggressivi dei sauditi e la postura anti-iraniana dell’Amministrazione Trump. Questo contesto può ridimensionare, da subito, le promesse riformiste del rieletto presidente, che dovrà innanzitutto confrontarsi con l’ala dura del regime: proprio quei pasdaran che, inasprendo la repressione delle minoranze sunnite, offrirebbero un formidabile assist ai reclutatori jihadisti. Lungo le due rive del Golfo, l’ascesa dei ‘falchi’ è un cattivo presagio in più.
Eleonora Ardemagni, Gulf and Eastern Mediterranean Analyst, Nato Defense College Foundation, analista per ISPI e Aspenia, commentatrice di politica mediorientale per Avvenire.
In Iran, solo il 51% della popolazione è persiana: storicamente, il pluralismo identitario non ha però indebolito la costruzione della nazione. Tuttavia, le minoranze etniche (curdi, arabi, baluci), anche sunnite, rimangono ai margini della vita politica, tra diseguaglianze socio-economiche e spinte irredentiste, nelle quali anche i Paesi arabi del Golfo provano a infilarsi.
Identità transnazionali e minoranze
La competizione egemonica fra Arabia Saudita e Iran e la ‘variabile Daesh’ hanno alimentato il settarismo: tali dinamiche non possono che impattare sulla dialettica fra uno Stato ibrido perché duale come Teheran (semipresidenziale e teocratico), le periferie e i movimenti armati.
Non è una coincidenza che gruppi dell’insorgenza armata iraniana, come i baluci di Jaysh al-Adl (già Jundullah) e i curdi del Pjak, abbiano intensificato gli attacchi contro le forze di sicurezza. In Medio Oriente, le identità transnazionali pesano ormai più dei confini statuali, mettendo sotto pressione i tradizionali meccanismi di cooptazione e/o coercizione.
In Iran, le linee di faglia sono tre: confessionale (70% sciiti, 5-10% sunniti), linguistica e soprattutto etnica. La minoranza araba (3%) si concentra nell’ovest (Khuzestan, dove c’è il 90% delle risorse petrolifere) e nella fascia costiera meridionale. I curdi (7%) abitano le terre montuose del nord-ovest. I baluci (2%) popolano la regione orientale del Sistan Baluchistan, terra frontaliera e di contrabbando con l’Af-Pak.
Il presidente HassanRohani, pur proseguendo le politiche repressive e di persianizzazione (specie nei confronti degli arabi), ha aperto ai sunniti d’Iran, nominandone uno vice-ministro del petrolio. Alle elezioni presidenziali del 19 maggio, le minoranze hanno massicciamente partecipato e votato per Rohani.
I gruppi armati e le influenze saudite
Ansar al-Furqan, movimento armato balucio, si rivolge agli sciiti con il termine dispregiativo di rafidah, lo stesso usato dai jihadisti. I nazionalisti curdi del Pjak, attivi sul confine irano-iracheno, sono un’emanazione del Pkk. Il Movimento arabo di lotta per la liberazione di Ahvaz (Asmla), capoluogo del Khuzestan, ha spesso sabotato le infrastrutture energetiche e ha contatti con la Fratellanza Musulmana siriana. Nel 2013, Asmla ha annunciato un coordinamento politico con Jaysh al-Adl e Pjak.
Il salafismo è in crescita tra i sunniti d’Iran, propagato anche da canali satellitari (come Global Kalameh Network che trasmette da Medina e Dubai) e internet. L’Iran denuncia il sostegno dei Paesi arabi del Golfo ai gruppi dell’insorgenza sunnita interna. Tuttavia, Teheran ha spesso tollerato la propagazione del salafismo tra i curdi in chiave anti-sinistra e anti-nazionalista: i salafiti curdi si oppongo a uno Stato curdo indipendente.
Le verosimili ˊinterferenze competitiveˋ di Riad, Doha e Abu Dhabi in Iran non hanno finora raggiunto il livello di operatività, nonché di visibilità, della rete transnazionale delle milizie sciite. Sauditi ed emiratini sosterrebbero i baluci di Jaysh al-Adl: il confinantePakistan è un alleato storico dell’Arabia Saudita, che lì finanzia molte scuole coraniche. Gli arabi di Asmla riceverebbero finanziamenti da segmenti della diaspora iraniana di Abu Dhabi.
Daesh s’incunea dal confine iracheno
L’Iran combatte sul campo il sedicente califfato, anche con il lancio di missili. Finora, la strategia di Teheran contro Daesh si è focalizzata sulla difesa dei confini: tra l’altro, le minoranze iraniane si concentrano lungo il perimetro geografico dell’Iran (arabi con Iraq, curdi con Turchia e Iraq, baluci con Pakistan).
Adesso, alcuni jihadisti sono però penetrati e si muovono nel Paese, a dispetto della profonda securizzazione dello stato iraniano: i salafiti curdi e il confine iracheno (epicentro Kermanshah) sono gli attori e i luoghi più esposti alle sirene dell’autoproclamato Califfato, che dopo la ritirata da Mosul si sta riorganizzando proprio tra Al-Anbar e Diyala, quest’ultima al confine con l’Iran.
Teheran è oggi un obiettivo primario: ecco perché il recente video di Daesh in persiano e la traduzione della rivista Rumiyah, nonché la creazione di una ‘Brigata farsi’ a Diyala, con curdi, baluci e arabi iraniani.
Largo ai falchi
La polarizzazione mediorientale incentiva settarismo e radicalizzazione. L’offerta di dialogo intra-Golfo, avanzata da Rohani, con il viaggio di gennaio tra Kuwait e Oman, è stata duramente respinta da Mohammed bin Salman, neo-erede al trono saudita.
In Iran, conservatori e pasdaran proveranno a capitalizzare, a spese dei riformatori, l’attacco di Daesh, i toni aggressivi dei sauditi e la postura anti-iraniana dell’Amministrazione Trump. Questo contesto può ridimensionare, da subito, le promesse riformiste del rieletto presidente, che dovrà innanzitutto confrontarsi con l’ala dura del regime: proprio quei pasdaran che, inasprendo la repressione delle minoranze sunnite, offrirebbero un formidabile assist ai reclutatori jihadisti. Lungo le due rive del Golfo, l’ascesa dei ‘falchi’ è un cattivo presagio in più.
Eleonora Ardemagni, Gulf and Eastern Mediterranean Analyst, Nato Defense College Foundation, analista per ISPI e Aspenia, commentatrice di politica mediorientale per Avvenire.
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