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Tempi di ansia acuta per gli stati del Golfo. Da una parte il collasso dell’ordine regionale, dall’altra il tentativo di immunizzarsi dalle sue ripercussioni, premendo l’acceleratore sul pedale dell’integrazione, per trasformare il Consiglio di Cooperazione del Golfo, Gcc, in una Unione.
Anche se le minacce poste dai terroristi di Al-Qaeda e dell’autoproclamatosi “stato islamico”, così come l’influenza della Fratellanza Musulmana, si sono in parte contratte, questi pericoli continuano ad esistere. Lo stesso vale per le sfide socio-domestiche con le quali il Golfo ha dovuto fare i conti durante la stagione delle “primavere arabe”. Anche se appaiono ora più gestibili, non sono sparite del tutto. In aggiunta, la crescita del potere regionale di Russia e Iran sta mettendo alla prova l’asse delle tradizionali alleanze. Gli ingenti investimenti fatti dai Paesi del Golfo in Egitto, Yemen e Siria non hanno poi prodotto i risultati attesi. Anzi, il tentativo di influenzare la politica regionale è stata un’operazione azzardata anche per Paesi come questi, le cui casse non hanno mai rischiato di rimanere a secco. Basta pensare a come sono stati ricompensati i sauditi per aver tenuto artificialmente in vita l’economia egiziana. Non solo non sono riusciti a mettere le mani sopra Tiran e Sanafir - le tanto contese isole del Mar Rosso che il presidente Abdel Fattah Al-Sisi ha promesso di cedere alla petromonarchia, prima di essere bloccato dalle manifestazioni di strada e dai tribunali nazionali - ma hanno anche dovuto contrastare la politica estera egiziana sulla Siria, visto che Al-Sisi si è mostrato molto più sensibile alle esigenze del presidente Assad, arcinemico degli Al-Saud, che a quelle del nuovo sovrano. Per non parlare del disinteresse egiziano sul fronte yemenita. Manama dialogues 2016 Abbandonando ormai ogni speranza sulla possibile nascita della cosiddetta Nato araba - l’ambizioso esercito comune di cui la Lega Araba parla sin dalla sua nascita - per cercare di dare una risposta comune a questa ansia regionale, l’Arabia Saudita e il Bahrein hanno deciso di rilanciare il progetto di un’unione del Golfo. Sarà questo il tema al centro dei tradizionali Manama dialogues che si terranno quest’anno tra il 9 e l’11 dicembre. Nelle parole del ministro degli Affari del Golfo saudita Thamer Al-Sabhan, le relazioni tra gli stati del Golfo non sono mai state così forti e questo renderebbe ancora più fertile il terreno dell’integrazione regionale. A mostrare questa coesione, secondo Al-Sabhan, sarebbe anche il recente viaggio compiuto da re Salman tra i diversi Paesi. Tour che non ha però toccato l’Oman, Paese fondatore del Ccg che da anni non sembra affatto entusiasta dal processo di ulteriore integrazione. Unione del Golfo: l’opposizione dell’Oman e i dubbi di Kuwait, Qatar ed Emirati Il fatto che l’Oman si sfili dal progetto non sembra però preoccupare Bahrein e Arabia Saudita che esacerbando i fattori di rischio securitario regionale stanno facendo il possibile per convincere tutti gli altri stati a compiere gli sforzi necessari per difendersi, collettivamente, dalle minacce esterne. Non tutti però sembrano convinti che valga la pena cedere sovranità - e quindi indipendenza - per ottenere i benefici derivanti da una maggior cooperazione securitaria. Il Kuwait - stato conosciuto per avere le istituzioni più democratiche e la vita politica più vibrante del Ccg - teme ad esempio gli effetti che eventuali azioni di sicurezza collettiva potrebbero avere sulla società civile locale. Il timore è che l’Arabia Saudita o altri stati del Golfo tentino di silenziare quelle voci di dissenso che sono riuscite anche ad entrare in parlamento nel corso delle recenti elezioni. Questo spiega anche le resistenze al progetto di Unione diffuse tra la popolazione che da anni afferma orgogliosamente di vivere in una mezza democrazia. A tale questione si somma quella relativa alla disputa petrolifera tra i due Paesi. I sauditi continuano infatti a pompare petrolio dai campi di Al-Khefji, ubicati nella zona neutrale tra i due Paesi, cercando quasi di anticipare la caduta delle frontiere che seguirebbe la creazione di una Unione. Questioni energetiche sarebbero anche alla base dei dubbi del Qatar. Doha teme infatti di essere costretta a condividere parte della sua ricchezza con gli stati “più poveri” dell’eventuale Unione. In aggiunta, qualora vi aderisse, al Qatar sarebbe chiesto di smettere di esercitare il ruolo di protettore nei confronti delle diverse fazioni islamiste, in primis la Fratellanza Musulmana, che negli ultimi anni hanno trovato rifugio nei suoi confini. Ad essere titubanti su un’eventuale accelerazione dell’integrazione regionale anche gli Emirati Arabi Uniti che da sempre si ritengono i principali rivali finanziari dell’Arabia Saudita. Difficile pensare che gli emiri sarebbero pronti a sostenere la nascita di un’eventuale banca centrale guidata da Riad. Il fronte anti-Iran del Golfo fatica a decollare Come ben spiegato da Giorgio Cafiero su Gulf Pulse c’è poi il fattore Iran, Paese che l’eventuale Unione tenderebbe a isolare. Se da una parte l’Oman ha interessi a rafforzare i rapporti commerciali con Teheran, dall’altra i leader di Kuwait e Qatar non sarebbero propensi a mettere in discussione la normale relazione con l’Iran visto che, a differenza del Bahrein e dell’Arabia Saudita, non hanno problemi con le comunità sciite presenti all’interno dei loro Paesi. In questa ottica, l’alleanza tra Manama e Riad in chiave anti-sciita appare un tandem destinato a camminare da solo. Qualcosa potrebbe forse cambiare con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca,visto che il nuovo presidente è certamente meno propenso della sua sfidante a garantire la sicurezza della regione. Ciononostante, la sua politica estera è poco prevedibile e anche per questo non sarà, da sola, il motore dell’integrazione regionale. Nonostante i proclami fatti alla vigilia, è quindi difficile pensare che a Manama l’Unione del Golfo prenda forma. Le divergenze tra gli Stati coinvolti non fanno del Golfo un terreno attualmente fertile a un’ulteriore integrazione. Le minacce alla stabilità regionale potrebbero però tenere in vita il progetto, rimandandolo a tempi più propensi. Azzurra Meringolo è ricercatrice presso lo IAI e caporedattrice di Affarinternazionali. Coordinatrice scientifica di Arab Media Report. Potete seguirla sul suo blog e su twitter a @ragazzitahrir. | ||||||||
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venerdì 9 dicembre 2016
Arabia Saudita: la corsa ai ripari
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