Medio Oriente Iraq, equilibrio precario Maurizio Melani 27/07/2016
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Mentre si estende la sottrazione di territori all’autoproclamatosi ‘stato islamico’ e si prepara l'assalto finale a Mosul, diventa sempre più attuale in Iraq la questione della gestione di quei territori ed in particolare della grande città multietnica e multireligiosa del nord iracheno, nonché delle conseguenze che potranno derivarne per gli equilibri e gli assetti complessivi del paese. È un fattore di preoccupazione che si accompagna a quello dell'offensiva terroristica in Europa e altrove man mano che viene eroso il controllo territoriale dello ‘stato islamico’ in Mesopotamia, considerando anche i rischi di ulteriori esodi di popolazioni in conseguenza dei difficili rapporti che si annunciano tra i vincitori.
Forze divise su territori contesi Le forze impegnate nella lotta allo ‘stato islamico’ in Iraq, con agende politiche diverse tra loro, sono molteplici. Vi è l'esercito iracheno che malgrado il sostegno addestrativo, organizzativo e logistico fornitogli da varie parti dopo la ‘débacle’ del 2014 non ha ancora un ruolo decisivo sul piano militare rispetto ad altri soggetti.
I peshmerga curdi, con le loro diverse obbedienze politiche all'interno del Governo regionale (KRG), hanno confermato anche grazie ai sostegni occidentali una notevole capacità di resistenza e di controffensiva. Hanno occupato Kirkuk e altre ‘zone contese’ con popolazioni miste (curdi, arabi e turcomanni sunniti e sciiti, assiri e caldei cristiani di varie denominazioni ed altre minoranze) risolvendo almeno temporaneamente sul campo una questione che assieme ad altre nei rapporti tra KRG e Governo centrale si trascina dall'emanazione della costituzione nel 2005. Gli sconvolgimenti di questi ultimi anni ne hanno alterata la demografia ma è certo che soprattutto per arabi e turcomanni non si tratta di una partita chiusa.
Le Unità Popolari di Mobilitazione (PMU) sciite hanno assunto un ruolo crescente. Le milizie prevalentemente collegate allo SCIRI che dopo il 2008 erano state assorbite nell'esercito e nella polizia diventandone il nerbo, si sono rigenerate con il sostegno dell'Iran ed in particolare della Forza Quds guidata dal Generale Qasem Suleimani in un gioco al quale non sono estranee le lotte di potere all'interno del complesso mondo politico iraniano. Sono sostanzialmente egemoni nel sud ed in particolare nell'area di Bassora ove oltre a garantire la sicurezza manifestano evidenti ambizioni politiche. Hanno avuto un ruolo determinante nell'arresto dello ‘stato islamico’ sulla via di Baghdad e poi nella ripresa di Tikrit ove i comportamenti nei confronti della popolazione sunnita hanno posto serie remore sulle prospettive di riconciliazione.
Il loro profilo è stato più basso nella ripresa di Ramadi e di Falluja ove accanto all'esercito iracheno, peraltro ampiamente infiltrato da quelle milizie, e al sostegno americano tattico e di copertura aerea, un ruolo è stato svolto dalle ricostituite milizie arabo-sunnite a loro volta articolate in varie fazioni. Questo ha limitato ma non impedito maltrattamenti delle popolazioni.
Più i liberatori si muovono verso nord e verso ovest, con obiettivo Mosul, più sarà complicato evitare contrasti che possono giungere al conflitto aperto in mancanza di un governo centrale sufficientemente autorevole e credibile per fornire le necessarie mediazioni e rassicurazioni, malgrado gli sforzi del Primo Ministro Al Abadi e i sostegni esterni. Il Governo resta infatti paralizzato dai veti parlamentari incrociati che impediscono al Primo Ministro di riorganizzare il suo esecutivo, di ridargli una operatività in grado anche di gestire gli aiuti internazionali recentemente concordati dai donatori a Washington e di affrontare i problemi che affliggono la vita quotidiana della popolazione scatenando proteste a Baghdad e in altri centri urbani. Vi hanno partecipato sciiti e sunniti. E Moqtada al-Sadr, sempre eccentrico rispetto ad altre componenti sciite e capace di dialogare con settori arabo-sunniti, riesce a cavalcarle da una prospettiva nazionalista e contraria a presenze e a influenze straniere.
Gli attori regionali Sta di fatto che ai fattori locali si aggiungono come sempre interferenze esterne. Una soluzione concordata che non può risolversi in ripartizioni territoriali omogenee nel nord, nell'est e nel centro del paese richiede assetti di condivisione del potere con garanzie per tutti e il sostegno convergente, oggi assai lontano, dei tre grandi attori regionali che dal 2003 condizionano le vicende irachene. Potrebbe l’Iran essere disposto a favorire una piena inclusione degli arabo-sunniti se l'Arabia Saudita accettasse che questi ultimi siano parte della stabilizzazione di un paese nel quale dovrebbero rassegnarsi ad essere minoranza? Molto potrebbe essere fatto sul piano dell'autogoverno locale purché anche in questo ambito vi siano garanzie per le minoranze. Il comportamento iraniano dipenderà comunque dagli equilibri di potere a Teheran e da quanto coloro che operano in Iraq siano disposti a svolgere un ruolo costruttivo.
Non è ancora chiaro quale potrà essere il ruolo della Turchia dopo la svolta delle ultime settimana, il deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti e i riavvicinamenti a Russia, Israele ed altri. Suoi punti di forza sono i turcomanni e, almeno finora, i buoni rapporti con il KRG ed in particolare con il Presidente Barzani (meno con le altre componenti curde della Regione autonoma).
Sarà da vedere però se e come Ankara continuerà a consentire l'espansione del KRG nelle aree contese ed in particolare in quelle petrolifere ritenendo un controllo da parte di Erbil su queste aree favorevole ai suoi interessi, come sembra essere stato finora, o se invece il quadro complessivo della politica curda di Erdogan potrà mutare questo stato di cose con effetti anche sugli equilibri all’interno della Regione autonoma. Per ragioni economiche e di equilibri regionali la Turchia dovrebbe avere come interesse primario, diversamente da altri paesi dell'area, la piena stabilizzazione dell'Iraq. Ma nelle attuali condizioni vi sono fattori di imprevedibilità nella politica turca che lasciano aperti molti interrogativi.
Maurizio Melani è Ambasciatore d'Italia.
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