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Il 22 luglio 2016, il Segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjørn Jagland ha ricevuto una comunicazione ufficiale dal governo turco, nella quale le autorità di Ankara annunciano la volontà di derogare alla Convenzione Europea dei diritti umani. Il provvedimento giunge in risposta al tentativo di colpo di Stato messo in atto da una parte delle forze armate turche il 15 luglio 2016 per rovesciare il presidente Racep Tayyp Erdoğan. La possibilità di deroga è prevista dall’articolo 15 della Convenzione. Questo dà facoltà agli Stati parte di sospendere temporaneamente l’applicazione di alcuni diritti “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”, e di prendere le misure necessarie per far fronte all’emergenza.
La stagione delle purghe Tuttavia, la reazione del governo al fallito putsch sta assumendo forme e proporzioni preoccupanti. Le autorità hanno ordinato l’arresto di oltre 13.000 cittadini turchi – fra soldati, poliziotti e magistrati - sospettati di essere coinvolti nel golpe. Negli ultimi giorni sono state chiuse centinaia di scuole e università, e sciolti quasi 1400 fra sindacati, fondazioni e associazioni. Inoltre, più di 50.000 dipendenti pubblici sono stati licenziati o sospesi dal servizio. Le misure emergenziali adottate includono la possibilità di estendere i fermi di polizia per 30 giorni, senza dover procedere ad alcuna incriminazione. Sono inoltre numerose le accuse di gravi maltrattamenti cui sarebbero stati sottoposti gli accusati, ad alcuni dei quali sarebbe stata negata la possibilità di interloquire in privato col proprio difensore, o di informare i parenti del proprio arresto. Particolarmente preoccupante è poi l’intenzione manifestata dal governo turco di voler reintrodurre la pena di morte. I limiti imposti dal diritto internazionale dei diritti umani Nonostante le difficili circostanze in cui versa il paese, le autorità turche incontrano dei limiti ben precisi nell’individuare il tipo di provvedimenti necessari a ristabilire l’ordine. Detti limiti derivano dai numerosi trattati sul rispetto dei diritti umani che il governo turco ha sottoscritto nel corso degli anni, fra cui spicca proprio la Convenzione europea sui diritti umani. Va innanzitutto precisato che l’articolo 15 non dà carta bianca rispetto alle misure emergenziali che è possibile introdurre. Queste debbono essere necessarie e proporzionali, ossia realmente utili a porre un freno all’emergenza e commisurate alla minaccia cui si deve far fronte. La sospensione di diritti il cui esercizio non ha alcuna connessione con il mantenimento dell’ordine pubblico non sarebbe dunque ammissibile. Lo stesso articolo contiene inoltre una lista di diritti che non possono mai essere soggetti a sospensione, neanche in situazione di emergenza pubblica. Vi rientrano il diritto a non essere privati arbitrariamente della vita, il divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti, e il principio nulla poena sine lege, in virtù del quale nessuno può essere condannato a una pena più grave di quella applicabile al momento del compimento del reato. Qualora realmente verificatisi, molti dei trattamenti cui sarebbero stati sottoposti gli individui incarcerati risulterebbero in violazione della Convenzione. Pena di morte Ci si chiede se agli autori del tentato golpe possa essere comminata la pena di morte. Va innanzitutto ricordato che nel 2004 la pena capitale è stata abolita dall’ordinamento turco (anche in tempo di guerra), nel quadro delle riforme legislative sollecitate dall’Unione Europea per permettere l’ingresso del paese nell’organizzazione. Inoltre, nel 2006 la Turchia ha ratificato il Protocollo n. 13 alla Convenzione Europea, che vieta l’imposizione e l’applicazione della pena di morte in qualsiasi circostanza, e che rende tale divieto inderogabile. La Turchia potrebbe ovviamente denunciare il Protocollo n. 13 o l’intera Convenzione, sciogliendosi dagli obblighi che impongono. Tuttavia, l’art. 58 della Convenzione stabilisce che lo Stato che intenda denunciarla debba dare un preavviso di sei mesi, e che comunque andrebbero considerati “coperti” dalla Convenzione tutti gli atti avvenuti prima che la notifica di denuncia abbia effetto. Si aggiunga a questo che l’imposizione della pena capitale costituirebbe una flagrante violazione del principio inderogabile nulla poena sine lege. Inoltre, la Corte Europea dei diritti umani ha chiarito in una recente sentenza che l’applicazione della pena di morte in Europa è contraria alle norme internazionali sui diritti umani perché incompatibile col divieto di tortura. Tale divieto è vincolante a prescindere dalla partecipazione ai trattati sui diritti umani. In buona sostanza, ci sono ragioni sufficienti per credere che una condanna a morte dei golpisti rappresenterebbe una violazione del diritto internazionale da parte della Turchia. Numerosi paesi hanno espresso apprensione per le misure repressive adottate, suscitando tuttavia reazioni irritate da parte delle autorità turche. Lo stesso Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, pur dando atto alle autorità e alla popolazione turca di aver sventato il golpe, ha ricordato come la risposta del paese debba essere in linea con gli standard in materia di diritti umani, che vanno rispettati anche nel punire gli autori del tentato putsch, garantendo loro l’incolumità fisica e il rispetto dei principi dell’equo processo. D’altro canto, non ha di certo giovato alla causa di chi invoca moderazione il comportamento del governo francese, che negli scorsi mesi ha ritenuto di dover derogare alla Convenzione europea per far fronte alla minaccia terrorista, circostanza che le autorità di Ankara non hanno mancato di sottolineare. Emanuele Sommario è ricercatore in diritto internazionale presso la Scuola Superiore Sant'Anna. | ||||||||
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giovedì 28 luglio 2016
Turchia: strascichi del colpo di stato
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