lunedì 22 agosto 2016

Turchia: gli assestamenti per nuove prospettive

Tuchia
Tutte le sfumature del golpe fallito
Nathalie Tocci
29/07/2016
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Visitare la Turchia apre sempre gli occhi. Questa volta più che mai. Quando sono atterrata ad Istanbul quattro giorni dopo il raffazzonato colpo di stato del 15 luglio, avevo già un’idea abbastanza chiara di quello che stava succedendo.

Sebbene non avessi mai dato credito alle voci per cui il colpo di stato fosse stata una messa in scena – una mossa disperata in una situazione disperata nella quale il Presidente Racep Tayyp Erdoğan non si trovava – già pensavo che il presidente turco avrebbe cavalcato l’onda della popolarità all’indomani del fallito colpo di stato per accelerare la centralizzazione del potere, coronandola con il sistema presidenziale.

Da un certo punto di vista, questo è esattamente quello che sta succedendo. Ma analizzando ulteriormente il contesto, emerge una realtà più complessa. Non c’è un bianco e nero nella storia di quello che è successo, sta succedendo e succederà in Turchia: è una storia complessa, con molte sfumature di grigio.

Gulen, uno dei nemici
Mentre la folla si riversava nelle strade di Istanbul ed Ankara, determinando il destino del maldestro tentativo di colpo di stato, l’AKP già puntava il dito verso il movimento di Fetullah Gülen. È noto da tempo che Gülen, predicatore autoesiliatosi in Pennsylvania, fosse sulla lista nera di Erdoğan: da quando il campo islamista si è diviso nel dicembre 2013, è in corso una guerra segreta tra i due. In particolare, il governo AKP ha cercato di mettere la museruola alla stampa gülenista, intralciare le sue scuole ed epurare la polizia e il sistema giudiziario da sospetti membri e simpatizzanti del gruppo; per quest’estate erano state programmate sostituzioni di ruoli chiave nel corpo militare.

A peggiorare la reputazione internazionale del governo concorre il fatto che i gülenisti non sono stati gli unici che Erdoğan ha tentato di zittire, escludere o eliminare. È ormai comune palare dell’autoritarismo, dello sdegno per meccanismi di controllo e della chiara paranoia di Erdoğan, che si tratti degli attacchi contro i manifestanti di Gezi o giornalisti critici, accademici o i curdi.

La longa manus di Gulen
Tuttavia, il tentato colpo militare è realmente accaduto. Forse il governo era a conoscenza della sua preparazione, o forse no. Nessuno dei miei interlocutori è un fervente sostenitore del Presidente e tuttavia nessuno ha creduto che il colpo di stato fosse stato orchestrato. Se avesse avuto successo, avremmo assistito all’uccisione del presidente e ad un bagno di sangue nel paese. Metà della popolazione che sostiene senza riserve l’AKP non sarebbe stata a guardare. Se il colpo di stato fosse riuscito, la Turchia non sarebbe tornata ai giorni bui degli anni ’80. Sarebbe sprofondata in tempi ancora più bui.

Tutti i miei interlocutori davano per certa la longa manus dei gülenisti nel commettere questo crimine. Le discussioni si focalizzavano su l’ammontare del loro coinvolgimento, se fosse al 60%, al 70% o più o al totale, con un sostegno minore da altre componenti militari. La nebbia che copre questi eventi è ancora fitta; eppure tutti i miei interlocutori non avevano dubbi sul coinvolgimento del movimento di Gülen e sulla minaccia dallo stesso rappresentata per lo stato turco e per la democrazia.

Qui inizia il vero problema. Sebbene l’obiettivo politico del movimento di Gülen resti un mistero, è ben noto che i suoi membri e simpatizzanti sono stati collocati negli apparati militari, nella polizia, nella magistratura e nell’accademia, così come è nota l’estrema abilità di questi impiegati pubblici a manovrare il sistema, ben attenti a non infrangere formalmente regole e leggi. Affrontare il problema non è così semplice.

La complessità nello sbrogliare la matassa di questo movimento che penetra le strutture statali farebbe tentennare qualsiasi governo. Ancora di più un leader che non è naturalmente incline ad azioni graduali e moderate. Questo non per giustificare gli arresti e le purghe di massa in corso, piuttosto per stimolare una comprensione più ampia. È troppo semplice analizzare la Turchia odierna alla luce della seppur legittima critica al suo leader, che non deve tuttavia oscurare la valutazione circa quello che sta succedendo, la profondità della crisi e la complessità nel trovare una soluzione democratica.

Alla ricerca di una unità
Perciò, che cosa si può fare? È alta la tentazione di risolvere una questione sostanziale con mezzi sostanziali, cioè accantonare lo stato di diritto, ancora peggio nel caso in cui questo fosse utilizzato per imbrigliare il dissenso. Ma non funzionerà. Epurazioni massicce praticate raggirando la legge non sono una novità in Turchia. I processi Ergenekon e Balyoz condotti dai gülenisti nel periodo in cui lavoravano mano nella mano con l’AKP per epurare il sistema militare dai kemalisti, ne è una esatta rappresentazione: se non ci fossero state quelle espulsioni massicce, non si sarebbe neanche verificata l’ascesa accelerata dei gülenisti alle più alte cariche delle forze armate, cosa che ha reso possibile il tentato colpo di stato. Rispettare la legge e le norme può portare risultati lenti e imperfetti, ma che hanno più possibilità di resistere alla prova del tempo.

Allo stesso modo, non ci può essere una soluzione alla odierna crisi turca attraverso un solo uomo o un partito. I tre partiti di opposizione turca hanno dato una lezione di democrazia a tutti gli osservatori internazionali che non hanno preso posizione sulla notte del 15 luglio. Malgrado abbiano sofferto la guida di Erdoğan, il parlamento turco si è schierato compatto con il governo. Sta adesso al governo afferrare quel ramo d’ulivo. Senza unità politica, non può esserci una soluzione duratura alla crisi. E una crisi politica protratta precipiterà probabilmente in una crisi economica, che nuocerà a quella stessa base socio-economica che è scesa in strada e che sostiene Erdoğan.

È nostra responsabilità come amici della Turchia in Europa e oltre, sostenere il Paese in questo difficile cammino. Il primo passo è una comprensione più profonda delle sue sfumature di grigio. Non esiste una bacchetta magica per le malattie turche. Piuttosto deve esserci uno sforzo paziente, che passi per l’ascolto, il supporto e il ricordare che la salute a lungo termine della democrazia turca può essere assicurata solo tramite inclusione politica e lo stato di diritto.

L’articolo è stato tradotto dall’inglese da Bianca Benvenuti.

Nathalie Tocci è vicedirettore dello IAI.
 
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