lunedì 2 maggio 2016

Yemen: il conflitto non si risolve

Yemen
Operazione anti-Al Qaeda, manovre e negoziati
Eleonora Ardemagni
26/04/2016
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Il conflitto in Yemen attraversa un tornante decisivo. Insorti huthi e Arabia Saudita avviano contatti informali, corroborando la ripresa dei negoziati intra-yemeniti dell’Onu in Kuwait: sul campo, nessuna fazione riesce a prevalere militarmente.

Quale soluzione unitaria per il futuro dello Yemen dalle tante identità regionali-tribali? Gli abitanti di Aden scendono in piazza per l’indipendenza, mentre esercito yemenita e coalizione saudita-emiratina lanciano un’inedita offensiva contro Al-Qaeda nella Penisola arabica (Aqap). E chiedono aiuto militare a Washington.

Onu e mediazione tribale
Il governo yemenita e gli insorti sciiti zaiditi del nord, ovvero i miliziani huthi del movimento Ansarullah e i fedeli dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh, hanno ripreso i colloqui targati Onu. I delegati dei ribelli hanno raggiunto in ritardo Kuwait City. Si negozia sulla base della risoluzione 2216: ritiro degli insorti (Sana’a compresa) e restituzione delle armi, ovvero l’improbabile resa dei miliziani sciiti. Sono già fallite due tornate diplomatiche in Svizzera (giugno e dicembre 2015).

Nel marzo 2016, i miliziani huthi e l’Arabia Saudita hanno avviato una trattativa informale per la messa in sicurezza del confine. Attraverso una discreta quanto preziosa opera di mediazione tribale, sauditi e ribelli sciiti zaiditi hanno effettuato scambi di prigionieri.

Ansarullah ha verbalmente preso le distanze dall’Iran, ma tre nuovi carichi di armi pro-ribelli sono stati intercettati via mare. Lungo il confine, i bombardamenti della coalizione guidata da Riyadh sono notevolmente diminuiti, così come l’azione di guerriglia dei miliziani yemeniti (soprattutto lanci di missili e incursioni di terra).

Finora, la mediazione tribale ha dato risultati più concreti delle trattative capeggiate dall’Onu. Tuttavia, il cessate il fuoco (con dispiegamento di osservatori) raggiunto tra governo e insorti nella città contesa di Taiz non è ancora entrato in vigore.

Vecchio regime e al Qaida nella Penisola arabica
Su pressioni saudite, il presidente ad interim Abd Rabu Mansur Hadi ha licenziato il primo ministro, nonché vicepresidente, Khaled Bahah, frettolosamente liquidato per i “fallimenti economici e di sicurezza del governo”.

Bahah, uomo del sud non sgradito però agli insorti, è stato sostituito da Ahmed bin Dagher, socialista del sud già segretario del partito di Saleh, promuovendo a vicepresidente il generale Ali Mohsin Al-Ahmar, appena nominato vice comandante delle Forze armate.

È una restaurazione: entrambi appartengono all’establishment del vecchio regime (il Generale è dello stesso clan tribale di Saleh, i Sanhan, contro il quale si era poi schierato nel 2011). Il futuro dell’ex presidente rimane un rebus per la diplomazia.

Dal marzo 2016, esercito yemenita, milizie sunnite, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno lanciato un’offensiva militare nel sud (aerea e di terra) contro Aqap e l’affiliata Ansar Al-Sharia: una dinamica nuova, che dà il senso del livello raggiunto dalla minaccia jihadista in Yemen, con implicazioni per l’intero Golfo.

jihadisti si sono frettolosamente ritirati da Mukalla (dove la coalizione araba sta imponendo l’embargo solo ora) dopo l’ingresso di truppe yemenite ed emiratine. Per l’operazione, gli Emirati avrebbero richiesto sostegno, anche militare, agli Stati Uniti.

Quando l’esercito yemenita riesce a strappare alcuni centri urbani ad Aqap, le milizie jihadiste ripiegano nell’entroterra, preparando future offensive: fuggiti da Mukalla, i jihadisti ripiegano ora a ovest, tra Shabwa e Al-Bayda.

É lo stesso schema del 2012: i sette proto-emirati islamici della regione meridionale di Abyan, allora smantellati, sono poi tornati sotto il controllo di Aqap. Adesso, le cellule yemenite del sedicente Stato Islamico competono con Aqap su propaganda e reclutamento, finora con scarsi risultati: Al-Qaeda in Yemen ha una storia di militanza che dura da almeno tre decenni e una rete collaudata di alleanze tribali.

Sud, tante autonomie
Gli abitanti di Aden sono massicciamente tornati in piazza, con le bandiere dell’ex Repubblica del Sud, invocando la secessione da Sana’a. A Mukalla (500 mila persone), il capoluogo dell’Hadramaut, i jihadisti hanno guadagnato consensi co-amministrando il territorio con le tribù locali, desiderose di autonomizzarsi dalla capitale e di trarre vantaggi economici e occupazionali dall’industria petrolifera qui concentrata.

Né con Sana’a, né con Aden, molti clan del sud, attori e arbitri dell’economia informale locale, vogliono autogovernarsi, come de facto avviene. È il caso delle tribù di Al-Mahra, la regione più orientale del paese, dove l’80% della popolazione non ha accesso diretto ad acqua ed elettricità.

Se la bozza di riforma federale approvata dal governo di transizione prima del conflitto venisse applicata, Shabwa, Hadramaut, Al-Mahra (e l’arcipelago di Socotra) formerebbero un'unica regione. Una soluzione rigettata dalle tribù e che potrebbe dunque innescare ulteriore violenza. Data l’incognita Aqap, il vicino Oman sta ergendo barriere per proteggere il Dhofar omanita da traffici illegali e infiltrazioni jihadiste.

Eleonora Ardemagni, analista di relazioni internazionali del Medio Oriente. Gulf Analyst per la Nato Defense College Foundation, collaboratrice di Aspenia, Ispi. Autrice di “The Yemeni Conflict. Genealogy, Game-Changers and Regional Implications” Ispi Analysis, 2016 e di “The Yemeni Factor in the Saudi Arabia-Sudan Realignment”, Arab Gulf States Institute in Washington, 2016.
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