lunedì 9 maggio 2016

Iran: la vittoria delle forze riformiste

Medio Oriente
Iran, il bis di Rohani al ballottaggio
Nicola Pedde
02/05/2016
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Una vittoria netta delle forze pragmatiche e riformiste che sostengono il presidente in carica, cui si aggiungono le non poche preferenze espresse a favore delle liste a sostegno di Hassan Rohani anche da parte dei conservatori tradizionalisti, che confermano in tal modo il risultato del primo turno elettorale.

È questo, in sintesi, il verdetto che proviene dalle urne iraniane, dove il 29 aprile si è tenuto il ballottaggio per l’elezione degli ultimi 68 deputati del Parlamento. Si è votato nei 55 collegi dove nessun candidato aveva raggiunto il 25% delle preferenze al primo turno, completando in tal modo l’organico dei 290 membri del Parlamento.

Secondo i dati diramati a partire dal giorno seguente, sarebbero risultati vincitori 38 candidati della coalizione “Lista della Speranza”, vicina al presidente Rohani, 18 candidati delle liste conservatrici indipendenti ed ultraconservatrici, e 12 candidati indipendenti.

Hanno vinto i riformisti o conservatori?
Ancora una volta la stampa internazionale si è affrettata a interpretare il risultato elettorale cercando di attribuirlo alle forze riformiste, commettendo tuttavia il medesimo errore interpretativo del primo turno elettorale.

I 38 parlamentari eletti nei ranghi della “Lista della Speranza” rappresentano infatti anche questa volta un insieme distinto di posizioni ideologiche, che spazia dal riformismo sino alle posizioni conservatrici tradizionali. Tutti sono accomunati dal sostegno alla piattaforma politica del presidente Rohani, ma non per questo possono essere assimilati nell’ambito della stessa matrice ideologica, appartenendo al contrario ad espressioni della politica e del sociale spesso anche molto diverse tra loro.

Tra questi, inoltre, possono essere individuati sostenitori convinti e decisi della linea politica del presidente, ma anche assertori di un sostegno più moderato e pragmatico, di fatto vincolato al rispetto delle promesse elettorali e soprattutto del successo delle politiche di rilancio dell’economia.

Un insieme quindi alquanto eterogeneo che, sebbene coeso in questa tornata elettorale, esprime posizioni diverse che possono quindi configurare una lettura del dato elettorale meno dogmatica e netta di quella che la stampa si affretta a ricondurre al solo riformismo.

Majlis, coalizioni in divenire
È necessario poi segnalare come le liste pre-elettorali a sostegno delle coalizioni, di fatto si sciolgano una volta terminate le elezioni ed insediatisi i parlamentari, con la definizione di nuove alleanze non necessariamente identiche a quelle pregresse.

In tal modo, una lettura precisa degli equilibri parlamentari risulta ad oggi estremamente affrettata, rendendosi invece necessario attendere l’insediamento vero e proprio e soprattutto l’avvio dell’attività parlamentare, che andrà a quel punto a definire con maggiore chiarezza gli spazi delle coalizioni.

Il prossimo parlamento conterà anche 85 deputati ad oggi definiti come indipendenti, e quindi non apertamente schierati con nessuna coalizione in particolare. Un numero non indifferente, questo, su cui andranno a concentrarsi gli sforzi delle principali componenti politiche nel tentativo di ricondurli in tutto o in parte nell’ambito delle proprie schiere.

Non è quindi a oggi possibile stabilire con chiarezza quale sia la componente politica dominante del prossimo parlamento, diviso tra due insiemi quasi paritari di forze conservatrici, pragmatiche e riformiste, che si intrecciano tra loro dando vita ad interpretazioni multiple circa le possibili percentuali di ogni schieramento.

A questi devono sommarsi anche gli 85 indipendenti, che da soli rappresentano poco meno di un terzo del Parlamento e che avranno in tal modo una grande rilevanza nei lavori del prossimo Majlis.

Accordo sul nucleare difficile da implementare
Le elezioni del secondo turno si sono tenute in un clima del tutto differente rispetto alle precedenti di febbraio, dove ancora si respirava l’euforia dei recenti successi negoziali e dell’implementazione del Joint Comprehensive Plan of Action, il piano d’azione risultate dall’accordo sul nucleare.

Il dibattito politico è infatti dominato dalle difficoltà nell’avvio del Jcpoa. Mentre gli Stati Uniti vogliono bloccare i fondi iraniani congelati, il sistema bancario internazionale è titubante nel sostenere le transazioni in direzione della Repubblica islamica.

La Guida ha apertamente accusato gli Stati Uniti di non aver rispettato i termini dell’accordo sottoscritto lo scorso 14 luglio, favorendo l’azione di quelle forze che si oppongono con ogni strumento possibile alla revoca delle sanzioni.

Non solo è stata infatti ventilata l’impossibilità di sblocco dei fondi congelati negli Stati Uniti, accogliendo in tal modo le richieste dei parenti di alcuni americani uccisi tempo addietro in Libano - assassinati secondo l’accusa dalle forze di Hezbollah con la complicità dell’Iran - ma è stata anche riscontrata la scarsa collaborazione del sistema bancario internazionale che - a detta dell’Iran - ha subito e continua a subire costanti pressioni da parte dei funzionari del Tesoro Usa. Questi minacciano ritorsioni a tutti quegli istituti che saranno impegnati nella gestione delle transazioni finanziarie con l’Iran.

Nicola Pedde è Direttore dell'Institute for Global Studies, School of Government.
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