Ue-Turchia Migranti, spiragli nella rotta balcanica Enza Roberta Petrillo 31/03/2016 |
Ora che il controverso accordo Ue-Turchia per contenere la crisi umanitaria è passato, ci si chiede cosa accadrà sul campo, lì al confine greco dove più di 30.000 migranti forzati premono alla frontiera macedone al ritmo del countdown disperato per entrare in Europa. Dal 21 marzo, l’entrata in vigore del piano ha cambiato di fatto le carte in tavola sovvertendo potenzialmente l’approccio adottato fino ad ora.
Grecia ancora nel caos
Potenzialmente, appunto. Visto che ad oggi restano indefiniti i dettagli tecnici con cui la Grecia dovrà gestire i 47.536 migranti forzati bloccati nel paese, 926 dei quali registrati il giorno dopo la sottoscrizione dell’accordo.
Se, in teoria, il piano prevede che per i migranti scatti l’identificazione in uno degli hot spot greci non appena superato il confine turco, in realtà, la catena operativa che dovrebbe scremare le loro richieste di ingresso, suddividendole tra titolari di protezione umanitaria e migranti irregolari, è tutt’altro che definita. Analogamente restano dubbie le modalità con cui la Turchia potrà rimpatriare nei paesi di provenienza i migranti espulsi dalla Grecia.
L’affermazione del principio ‘uno a uno’, in base al quale, per ogni migrante irregolare respinto dalla Grecia e accolto in Turchia, le autorità europee accoglieranno e ridistribuiranno un rifugiato siriano proveniente direttamente dai campi profughi turchi, secondo le organizzazioni internazionali e non governative rischia di trasformarsi in un flop colossale.
Hot spot, incertezza sulle procedure
Per ora a farla da padrone è il caos. Secondo gli attivisti dell’associazione Forgotten in Idomeni, l’implementazione dell’accordo sta avvenendo senza una strategia unitaria che riguardi la rotta balcanica nella sua interezza. Ad oggi, il primo effetto evidente di questo deficit organizzativo si registra nelle isole egee. A Lesbo, Kavala, Chios ed Efesina l’evacuazione di 8.254 rifugiati si è svolta senza che i migranti venissero informati sulle procedure di evacuazione e sul luogo di destinazione.
Le informazioni a disposizioni dei volontari parlano di un trasferimento di massa dei migranti nei due hot-spot inaugurati lo scorso venerdì a Katsikas vicino Ioannina e a Petropoulakis nei pressi di Filippiada. Qui, in teoria, commissioni formate da funzionari ellenici e dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, l’Easo, avrebbero dovuto smistare le richieste di asilo individuale. Attività che però è rimasta in standby visto che ad oggi la richiesta greca di potenziare la struttura umanitaria governativa con 4.000 funzionari europei in più è rimasta inascoltata.
Ad oggi, l’unica certezza è che gli hot spot, contrariamente a quanto immaginato dall’Agenda Europea sull’Immigrazione dello scorso autunno, sono stati di fatto trasformati in centri di identificazione ed espulsione.
Un cambio di mandato che ha spinto Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), Medici Senza Frontiere, International Rescue Committee, Consiglio norvegese per i rifugiati e Save the Children a sospendere tutte le attività sulle isole greche in attesa che si faccia chiarezza sulle procedure e sulle implicazioni umanitarie del piano.
I valichi alternativi
Nel caos, però, non ci sono soltanto i 50.000 migranti fermi in Grecia. Per ora la rotta balcanica non è del tutto estinta. Se è vero che formalmente Macedonia, Croazia, Slovenia e Bulgaria hanno già blindato i confini, è altrettanto vero, che, a dispetto delle dichiarazioni roboanti che si sono avvicendate dopo l’ultimo Consiglio europeo con la Turchia, valichi alternativi o meno protetti hanno continuato a garantire il passaggio verso nord sia sul fronte macedone che su quello albanese.
I 1.100 migranti bloccati in Serbia da tre settimane, come quelli fermi in Slovenia, Croazia e Macedonia, dimostrano che risalire verso il nord Europa è difficile ma non impossibile. A Slavonski Brod, in Croazia, il Centar za Mirovne Studies ha documentato numerosi episodi di detenzione forzata all'interno del campo di transito.
Stando al rapporto circa 600 migranti non autorizzati a proseguire il viaggio verso nord sarebbero stati detenuti senza ricevere alcuna informazione né legale ne logistica sulla loro situazione.
Scenario non dissimile da quello macedone, dove, nel centro di transito di Tabanovtse, al confine con la Serbia, più di 1.000 migranti afghani e 437 rifugiati siriani sono bloccati da due settimane senza possibilità di proseguire il viaggio.
Intanto, l’Albania, ultimo paese rimasto accessibile lungo la rotta, si prepara ad una escalation dei flussi. Per quanto al momento nessun dato attesti un aumento dei flussi al confine greco-albanese, il governo di Tirana ha giocato di anticipo chiedendo rinforzi all’Italia. Dal 15 marzo su richiesta del ministro dell’interno Saimir Tahiri, poliziotti di frontiera italiani pattugliano i confini con la Grecia insieme alla polizia albanese.
Se, per ora, l’accidentato percorso montuoso e l’assenza di infrastrutture viarie hanno scoraggiato i migranti dal tentare la rotta alternativa, in molti ritengono che l’arrivo della stagione calda potrebbe modificare gli scenari. Per questo, a Kapshticë, a ridosso del confine con la Grecia, le autorità locali hanno già individuate due aree di accoglienza che potrebbero ospitare i migranti che deviano dal percorso macedone.
Enza Roberta Petrillo è ricercatrice post-doc presso l’Università “Sapienza” di Roma. Esperta di politica e geopolitica est-europea, si occupa dell’analisi dei flussi migratori con particolare attenzione al ruolo svolto dalla criminalità organizzata transnazionale nei traffici illeciti transfrontalieri (enzaroberta.petrillo@uniroma1.it).
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Potenzialmente, appunto. Visto che ad oggi restano indefiniti i dettagli tecnici con cui la Grecia dovrà gestire i 47.536 migranti forzati bloccati nel paese, 926 dei quali registrati il giorno dopo la sottoscrizione dell’accordo.
Se, in teoria, il piano prevede che per i migranti scatti l’identificazione in uno degli hot spot greci non appena superato il confine turco, in realtà, la catena operativa che dovrebbe scremare le loro richieste di ingresso, suddividendole tra titolari di protezione umanitaria e migranti irregolari, è tutt’altro che definita. Analogamente restano dubbie le modalità con cui la Turchia potrà rimpatriare nei paesi di provenienza i migranti espulsi dalla Grecia.
L’affermazione del principio ‘uno a uno’, in base al quale, per ogni migrante irregolare respinto dalla Grecia e accolto in Turchia, le autorità europee accoglieranno e ridistribuiranno un rifugiato siriano proveniente direttamente dai campi profughi turchi, secondo le organizzazioni internazionali e non governative rischia di trasformarsi in un flop colossale.
Hot spot, incertezza sulle procedure
Per ora a farla da padrone è il caos. Secondo gli attivisti dell’associazione Forgotten in Idomeni, l’implementazione dell’accordo sta avvenendo senza una strategia unitaria che riguardi la rotta balcanica nella sua interezza. Ad oggi, il primo effetto evidente di questo deficit organizzativo si registra nelle isole egee. A Lesbo, Kavala, Chios ed Efesina l’evacuazione di 8.254 rifugiati si è svolta senza che i migranti venissero informati sulle procedure di evacuazione e sul luogo di destinazione.
Le informazioni a disposizioni dei volontari parlano di un trasferimento di massa dei migranti nei due hot-spot inaugurati lo scorso venerdì a Katsikas vicino Ioannina e a Petropoulakis nei pressi di Filippiada. Qui, in teoria, commissioni formate da funzionari ellenici e dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, l’Easo, avrebbero dovuto smistare le richieste di asilo individuale. Attività che però è rimasta in standby visto che ad oggi la richiesta greca di potenziare la struttura umanitaria governativa con 4.000 funzionari europei in più è rimasta inascoltata.
Ad oggi, l’unica certezza è che gli hot spot, contrariamente a quanto immaginato dall’Agenda Europea sull’Immigrazione dello scorso autunno, sono stati di fatto trasformati in centri di identificazione ed espulsione.
Un cambio di mandato che ha spinto Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), Medici Senza Frontiere, International Rescue Committee, Consiglio norvegese per i rifugiati e Save the Children a sospendere tutte le attività sulle isole greche in attesa che si faccia chiarezza sulle procedure e sulle implicazioni umanitarie del piano.
I valichi alternativi
Nel caos, però, non ci sono soltanto i 50.000 migranti fermi in Grecia. Per ora la rotta balcanica non è del tutto estinta. Se è vero che formalmente Macedonia, Croazia, Slovenia e Bulgaria hanno già blindato i confini, è altrettanto vero, che, a dispetto delle dichiarazioni roboanti che si sono avvicendate dopo l’ultimo Consiglio europeo con la Turchia, valichi alternativi o meno protetti hanno continuato a garantire il passaggio verso nord sia sul fronte macedone che su quello albanese.
I 1.100 migranti bloccati in Serbia da tre settimane, come quelli fermi in Slovenia, Croazia e Macedonia, dimostrano che risalire verso il nord Europa è difficile ma non impossibile. A Slavonski Brod, in Croazia, il Centar za Mirovne Studies ha documentato numerosi episodi di detenzione forzata all'interno del campo di transito.
Stando al rapporto circa 600 migranti non autorizzati a proseguire il viaggio verso nord sarebbero stati detenuti senza ricevere alcuna informazione né legale ne logistica sulla loro situazione.
Scenario non dissimile da quello macedone, dove, nel centro di transito di Tabanovtse, al confine con la Serbia, più di 1.000 migranti afghani e 437 rifugiati siriani sono bloccati da due settimane senza possibilità di proseguire il viaggio.
Intanto, l’Albania, ultimo paese rimasto accessibile lungo la rotta, si prepara ad una escalation dei flussi. Per quanto al momento nessun dato attesti un aumento dei flussi al confine greco-albanese, il governo di Tirana ha giocato di anticipo chiedendo rinforzi all’Italia. Dal 15 marzo su richiesta del ministro dell’interno Saimir Tahiri, poliziotti di frontiera italiani pattugliano i confini con la Grecia insieme alla polizia albanese.
Se, per ora, l’accidentato percorso montuoso e l’assenza di infrastrutture viarie hanno scoraggiato i migranti dal tentare la rotta alternativa, in molti ritengono che l’arrivo della stagione calda potrebbe modificare gli scenari. Per questo, a Kapshticë, a ridosso del confine con la Grecia, le autorità locali hanno già individuate due aree di accoglienza che potrebbero ospitare i migranti che deviano dal percorso macedone.
Enza Roberta Petrillo è ricercatrice post-doc presso l’Università “Sapienza” di Roma. Esperta di politica e geopolitica est-europea, si occupa dell’analisi dei flussi migratori con particolare attenzione al ruolo svolto dalla criminalità organizzata transnazionale nei traffici illeciti transfrontalieri (enzaroberta.petrillo@uniroma1.it).
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