mercoledì 30 marzo 2016

Siria. Verso la federalizzazione

di
Alessandro Ugo Imbriglia*
La partecipazione dell’opposizione siriana alle trattative di Ginevra ha lasciato presagire un segnale di cauto ottimismo per l’avvio di una transizione verso la pace in Siria. Ma la realtà dei fatti ci mostra che la corsa per accaparrarsi fette di territorio del gruppo Stato islamico ha preso il via. Stati Uniti e Russia hanno lasciato intendere, dalle dichiarazioni ufficiali, che lo scenario più realistico per giungere alla cessazione del conflitto consiste nella federalizzazione del paese, che di fatto si tradurrebbe in una spartizione della Siria tra i ribelli, i curdi e il governo alauita. Dato che l’Is è escluso dall’interruzione del conflitto in vigore dal 27 febbraio e non partecipa al processo di pace, l’estesa fascia territoriale che controlla in Siria dovrà essere assegnata a qualcun altro. Dunque il gruppo jihadista, che per anni è stato risparmiato dagli attacchi delle altre parti in conflitto e ne ha approfittato per espandersi, è il bersaglio principale di tutte le fazioni in gioco: un gruppo di insorti supportato dagli Stati Uniti e dalla Turchia si fa strada verso est da Azaz, l’ultima area territoriale occupata dai ribelli a nord di Aleppo, espellendo l’Is da diversi villaggi sulla linea di confine con la Turchia. Dopo essere riuscita ad arginare l’attacco del regime alauita e dei curdi sulla città di Azaz, Ankara vuole impossessarsi dell’area geografica in mano ai jihadisti in prossimità del suo territorio per evitare che cada in mano ai curdi o alle forze governative. Dinnanzi alla tenace opposizione della Turchia, i curdi hanno momentaneamente interrotto la ricongiunzione dell’enclave di Afrin a nord di Aleppo con l’area di Rojava e sono diretti verso Raqqa e la valle dell’Eufrate. Se riuscissero a raggiungere Deir Ezzor e consolidare la loro permanenza entro questa fascia territoriale, potrebbero spezzare la principale via di comunicazione e trasporto verso i territori controllati dall’Is in Iraq. In tal caso avrebbero il pieno controllo di gran parte della Siria a est dell’Eufrate. Nei giorni scorsi l’esercito siriano ha lanciato un’offensiva per riconquistare Palmira con il sostegno dell’aviazione russa, ed è giunto alle porte della città. Se l’attacco dovesse avere successo, l’avanzata potrebbe proseguire fino a Deir Ezzor, assediata dall’Is da quasi un anno, e trovarsi al cospetto di un crocevia strategico con molteplici attori in gioco. A quel punto il governo rivendicherebbe il controllo di tutta la parte centrale della Siria. Per evitare un simile ribaltamento negli attuali equilibri, un gruppo ribelle chiamato Nuovo esercito siriano, armato e addestrato dagli Stati Uniti, è entrato sul suolo siriano dalla Giordania, nel sudest della Siria, per garantire il suo sostegno a un gruppo di insorti a est di Damasco e interrompere un’altra via di collegamento con l’Iraq. Gran parte del territorio occupato dall’Is comprende fasce territoriali desertiche; i jihadisti sono molto più deboli rispetto ai mesi precedenti: l’interruzione di molti canali di finanziamento e approvvigionamento ha prodotto risultati importanti, inoltre iniziano a diffondersi informazioni che attestano la presenza di conflitti intestini nel gruppo e diserzioni. Le ultime controffensive dell’Is sul suolo siriano hanno subito gravi perdite e il suo leader militare Omar al Shishani sarebbe stato gravemente ferito in un bombardamento statunitense. Se l’interruzione del conflitto dovesse trovare terreno fertile, scongiurando definitivamente una ripresa delle ostilità tra i curdi, i ribelli e l’esercito siriano, il dominio territoriale del califfato potrebbe ridursi a un insieme di gruppi di resistenza isolati. A quel punto a capitolare sarebbe la parte siriana del gruppo jihadista, dove il governo si prepara a lanciare l’offensiva per riconquistare Mosul. Il ministro degli esteri siriano,Walid Muallem, non ritiene che l’ipotesi di nuove elezioni presidenziali possa essere considerata un’opzione realistica e la esclude categoricamente dal tavolo delle trattative di Ginevra. Al contrario l’ipotesi delle nuove elezioni presidenziali è un punto fondamentale nell’agenda dell’opposizione siriana per stabilire un dialogo costruttivo. Il 15 Marzo Mosca ha ordinato il ritiro delle forze russe dalla Siria, ritenendo che la missione nel suo complesso è stata portata a termine. L’obiettivo consisteva nel garantire un supporto alle forze governative, evitare che Damasco capitolasse sotto le spinte insurrezionali dei ribelli e mantenere la possibilità di un compromesso, riequilibrando le forze in campo a favore di Assad. Quest’ultimo ha dichiarato di voler riconquistare tutto il territorio siriano, ma il Cremlino non condivide tale obiettivo. I primi aerei militari di Mosca hanno lasciato il paese. Il Cremlino manterrà i suoi sistemi di difesa antiaerea e continuerà a bombardare lo Stato islamico. L’equilibrio su cui si regge l’interruzione del conflitto comprende diverse condizioni: i curdi hanno raggiunto la piena autonomia sia in Iraq sia in Siria, l’Arabia Saudita deve gestire una situazione complicata fra la guerra in Yemen e il crollo del prezzo del petrolio, sua prima fonte di reddito. Inoltre mentre si raffreddava il rapporto fra Turchia e Stati Uniti i ribelli perdevano i loro principali sostenitori, Assad traeva vantaggio dell’intervento massiccio di Putin e soprattutto del disimpegno degli statunitensi, i quali, attraverso il patto sul nucleare iraniano possono divincolarsi dalla morsa mediorientale e concentrarsi sul Pacifico. Washington ha favorito un ri-equilibrio fra sunniti e sciiti; ciò è comprovato dalla probabile suddivisione della Siria in cantoni federali. Negli ultimi giorni i curdi hanno fondato nel nord della Siria una regione autonoma, che comprende le zone territoriali di Kobane, Afrin e Jazira; una fascia territoriale di 400 chilometri che parte dal confine turco-siriano e si protrae sino alle porte dell’Iraq. Né il governo né i gruppi dell’opposizione riconoscono la nuova entità federale. A cinque anni dall’inizio della guerra civile, secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani sono 79mila i civili uccisi, cifra che comprende 13.500 bambini e 8.700 donne. Sono migliaia i dispersi, gli oppositori nelle carceri del regime e i membri delle forze lealiste catturati dai ribelli e dai gruppi jihadisti, tra i quali lo Stato islamico. Almeno 13 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case, 5 milioni hanno abbandonato il paese per sfuggire ai bombardamenti e a ai soprusi commessi dai tanti gruppi rivali. La Turchia è la principale terra d’asilo per questi rifugiati e ospita sul suo territorio tra i due milioni e i due milioni e mezzo di siriani; il Libano ne accoglie un milione e 200mila. In Giordania, circa 630mila i rifugiati sono registrati presso l’agenzia delle Nazioni Unite, ma secondo le autorità il numero reale è di più di un milione. In Iraq sono fuggiti 225mila siriani, 137mila in Egitto. Secondo alcuni esperti, il conflitto ha provocato una vera e propria regressione economica, riportando indietro di trent’anni l’economia del paese, privata di quasi tutte le sue entrate. Gran parte delle infrastrutture è stata distrutta. I sistemi di istruzione e sanità sono in rovina e l’export è sceso in picchiata per oltre il 90 per cento dall’inizio della guerra. Dai dati pubblicati dal ministero del petrolio le perdite dirette e indirette nel settore dell’energia si aggirano attorno ai 58 miliardi di dollari. A causa della guerra l’83 per cento della rete elettrica non è più funzionante.

*Alessandro Ugo Imbriglia, sociologo del Mutamento e dei Sistemi Complessi. Analista dei Processi Organizzativi e dell’Industria Culturale. Laureato in Scienze Sociali Applicate: Lavoro, Formazione e Risorse Umane

E-mail ugo1990@hotmail.it

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