giovedì 24 marzo 2016

Siria: i russi si ritirano, ma Assad è salvo

Medio Oriente
Turchia, sfuma la zona cuscinetto anti-curdi
Marco Guidi
16/03/2016
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La notizia che ha destato scalpore in tutte le cancellerie del mondo l’ha data Vladimir Putin, annunciando il ritiro delle truppe di terra russe dalla Siria.

Oddio, ritiro si fa per dire perché i russi non se ne andranno dalla martoriata terra. Resteranno (e come poteva essere diversamente?) le due grandi basi di Latakya e di Tartus. La prima ospita le forze aeree, notevolmente rinforzate dopo l’abbattimento del Sukoi da parte dei turchi, e la seconda è riservata alle navi da guerra di Mosca.

A dire il vero rimarranno anche reparti di truppe speciali, gli spetnatz e almeno una unità di carri armati T90 di ultima generazione.

Insomma Putin ha stupito il mondo, ma ha anche rassicurato l’alleato presidente siriano Bashar el Assad. Di fatto Putin si sta dimostrando il vero vincitore di questa fase del conflitto siriano, mentre la tregua, a parte le consuete violazioni, pare reggere.

Putin ha vinto non la battaglia contro il Califfato, ma quella per salvare, almeno per il momento, il regime di Assad e per far sì che i combattenti non integralisti, i curdi per primi, trovino una possibilità di accordo con il regime.

Tutte cose che, prima dell'intervento, non apparivano possibili. Il tutto mentre le forze governative sono all’offensiva su tutti i fronti e stanno per riconquistare quello che resta di Palmira dopo lo scempio dell’autoproclamatosi “stato islamico” e guadagnano terreno tra le rovine di Aleppo.

Il Becco d’oca abitato dai curdi
Ma c’è anche un altro settore che è oggetto di studio da parte degli stati maggiori dei Paesi coinvolti, il cosiddetto Becco d’oca, vale a dire la fascia a cavallo tra Siria e Turchia abitata dai curdi. Lì le forze curde dell’Ypg sono all’offensiva e stanno lentamente, ma progressivamente, conquistando terreno a nord della capitale del cosiddetto califfato, Raqqa.

Ed è proprio il problema curdo quello destinato a diventare di nuovo il punto più importante della guerra. Lì, infatti, secondo il piano del presidente-padrone della Turchia Recep Tayyip Erdogan, avrebbe dovuto nascere la fascia di separazione tra la Turchia e la Siria.

Il piano, più volte annunciato da Ankara era quello di costituire, facendolo occupare dalle forze della III Armata, una fascia di territorio siriano dal Mediterraneo al confine iracheno. Fascia, ufficialmente creata per ospitare i profughi siriani e per stabilire una zona-cuscinetto tra il territorio turco e le zone di guerra.

Zona cuscinetto anti-curda
Era chiaro agli occhi di tutti però che Erdogan voleva soprattutto controllare, se non annientare, i curdi dell’Ypg, alleati del Pkk, il movimento indipendentista che da trent’anni combatte contro l’esercito e la polizia di Ankara.

La zona cuscinetto avrebbe inoltre permesso alla Turchia di continuare, lontano da occhi indiscreti, la sua politica nei confronti degli estremisti sunniti dello “stato islamico”, una politica ambigua quanto nessun’altra che ha fatto della Turchia lo stato nel quale si sviluppano traffici di ogni tipo - petrolio, armi, medicinali, viveri - che tutt’ora fioriscono indisturbati tra i turchi e i fondamentalisti.

Un primo stop al progetto della creazione di una zona cuscinetto era arrivato quasi subito da Washington. Gli Usa giudicavano e giudicano essenziale la parte che i combattenti curdi stanno svolgendo nella lotta contro il Califfato. Dopo questo, era arrivato un secondo e perentorio alt da parte dei russi che hanno in qualche modo facilitato le operazioni dei curdi contro quelli che sono i principali nemici di Assad.

Ora il disimpegno russo potrebbe spingere Erdogan a ritornare al suo progetto, ma è difficile. Intanto perché in realtà i russi sono sempre lì e perché la posizione degli Stati Uniti e della Nato riguardo ai curdi di Siria non è cambiata.

Grande Kurdistan
Inoltre, anche il timore turco di vedere sorgere un grande Kurdistan che comprenda il Kurdistan iracheno - di fatto indipendente, e quello siriano, dovrebbe essere notevolmente scemato.

I curdi di Erbil appaiono infatti sempre più divisi da storiche rivalità interne. Da una parte il Pdk e dall’altra i Puk, i due partiti che fanno capo a Barzani e a Talabani, la cui rivalità è smorzata solo dalla necessità di combattere contro lo “stato islamico” in Iraq.

Dopo l’ultimo attentato di Ankara, le forze aeree turche hanno ripreso a bombardare le posizioni del Pkk in territorio curdo-iracheno, mentre l’artiglieria non fa mancare i suoi “saluti" contro i curdi di Siria. Ma questo è un conto, un'altra cosa sarebbe dare il via a una invasione del Nord della Siria che sconvolgerebbe ulteriormente la situazione.

Quindi, nonostante il ritiro russo, appare improbabile che Erdogan si giochi la carta dell’invasione.

Marco Guidi è giornalista esperto di Medio Oriente e Islam, a lungo inviato di Il Messagero, in Turchia e nel mondo arabo. Dalla sua fondazione insegna alla Scuola di giornalismo dell’Università di Bologna.
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