Libia, Egitto, Algeria Stato islamico in Nord Africa: rivalità e alleanze Umberto Profazio 31/08/2015 |
Complice la situazione di estrema instabilità in Libia, l’avanzata del terrorismo di matrice jihadista in Nord Africa non sembra conoscere soste.
Nella prima metà di agosto il gruppo terrorista dello Stato Islamico si è gradualmente impadronito della città libica di Sirte, provocando nuovi timori sia da parte delle principali potenze regionali, sia da parte delle diplomazie occidentali.
Il 20 agosto un attacco nella periferia di Sousse, in Tunisia, ha provocato la morte di un poliziotto. Il giorno stesso un’autobomba è esplosa di fronte a un edificio di proprietà delle forze di sicurezza egiziane nel distretto di Shubra el-Kheima, nella periferia del Cairo, toccando anche il tribunale adiacente e provocando 29 feriti. Gli episodi si susseguono ravvicinati.
Lo Stato Islamico e al-Mourabitun
Nonostante la maggior parte degli attentati sia stata attribuita agli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi, la realtà sembra essere molto più complessa. Il fronte del terrore in Nord Africa non è compatto e monolitico come a prima vista potrebbe sembrare, ma nasconde una ricca diversità di posizioni.
Questo è quanto si può desumere dall’annuncio con cui il 24 agosto i miliziani dello Stato Islamico hanno chiesto la testa di Mokhtar Belmokhtar, a capo del gruppo terroristico al-Mourabitoun.
Conosciuto per il tragico attacco del gennaio 2013 presso l’impianto di gas algerino di In-Amenas, al-Mourabitoun è nato dalla fusione tra le Brigate al-Mulathameen e il Movimento per l’unità del Jihad in Africa occidentale.
Le origini qaediste della formazione si desumono dal fatto che le Brigate al-Mulathameen furono create da Belmokthar come una fazione dissidente di al-Qaeda nel Maghreb islamico. Tuttavia la scissione non è stata così profonda da fare rinnegare a Belmokhtar la sua appartenenza a al-Qaeda.
Nonostante il 15 maggio Adnan Abud Walid Sahraoui, capo della branca saheliana dell’organizzazione, abbia prestato giuramento di fedeltà allo Stato islamico, sono arrivate subito le smentite.
Il 17 luglio al-Mourabitoun ha rinnovato la sua bay’ah (sottomissione) a Ayman al-Zawahiri, dichiarando di rappresentare al-Qaeda in Africa occidentale e di continuare la sua battaglia contro la Francia e i suoi alleati.
L’organizzazione ha anche ribadito la leadership di Belmokhtar, smentendo così le notizie relative alla sua uccisione in un raid condotto dall’aviazione statunitense a Ajdabya a giugno.
La natura saheliana di al-Mourabitoune la scelta dell’Algeria quale teatro principale delle sue azioni, sembra rappresentareun ostacolo all’espansione dello Stato islamico in questo Paese.
Soprattutto a seguito della repressione degli uomini di al-Baghdadi da parte delle forze di sicurezza algerine: nel dicembre 2014, infatti, i militari di Algeri sono riusciti a annientare il gruppo Jund al-Khilafa, affiliato allo Stato islamico, eliminando anche il suo presunto capo Abdelmalek Gouri.
I dissidenti di Ansar Beit al-Maqdis
In questo quadro estremamente dinamico, risulta naturalmente importante il teatro egiziano, dove la minaccia principale deriva da Ansar Beit al-Maqdis, formazione originariamente di stanza nel Sinai che negli ultimi mesi ha allargato il suo raggio di azione.
Nonostante la sua bay’ah allo Stato Islamico e la ridenominazione in Wilyat Sinai, il processo di affiliazione è stato dibattuto, con alcuni membri che hanno preferito abbandonare il gruppo e prendere altre strade.
Tra questi un’importanza fondamentale sembra avere Hisham Ali Ashmawy, che s’è meritato anch’egli l’inserimento nella lista dei ricercati da parte dello Stato islamico.
Ritenuto dalle autorità del Cairo responsabile dell’uccisione il 29 giugno del procuratore generale Hisham Barakat, Ashmawy infatti avrebbe partecipato alle operazioni contro lo Stato islamico nella città libica di Derna, allineandosi alle posizioni del Mujhaideen Shura Council.
Le indagini sugli attentati in Tunisia
Ancora più complesso sembra essere il panorama tunisino. Lo Stato islamico ha infatti rivendicato i principali attentati nei Paese, compresi quelli del museo del Bardo del 18 marzo e dell’Imperial Marhaba Beach Hotel di Sousse del 26 giugno.
In un primo momento le autorità tunisine sono sembrate riluttanti a attribuire la responsabilità di entrambi gli attacchi allo Stato islamico. Le indagini per l’attentato del Bardo si erano indirizzate sulla pista delle Brigate Okba Ibn Naafa, gruppo qaedista attivo soprattutto nella regione montuosa del Chembi, al confine con l’Algeria.
Solo a seguito dell’inchiesta della polizia britannica, è emerso un collegamento diretto tra l’attacco del Bardo e quello di Sousse: si ritiene infatti che i responsabili di entrambi gli attacchi siano passati dal medesimo campo di addestramento di Sabratha in Libia. Presumibilmente nello stesso periodo.
Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che il campo di Sabratha è notoriamente gestito da Ansar al-Sharia in Libia, il cui rapporto con lo Stato islamico risulta ambivalente. Nonostante tale formazione non abbia mai fatto voto di sottomissione a al-Baghdadi, pare che molti dei suoi ex membri siano successivamente entrati nelle file dello Stato islamico, rafforzando l’organizzazione.
Una libertà di movimento assoluta
In un contesto caratterizzato da scarsa trasparenza, inaffidabilità delle fonti e strumentalizzazioni politiche, l’unica certezza è che il fattore complessità sembra avvantaggiare lo Stato islamico.
Facendo del Nord Africa un’immensa Siria dove l’assenza di una componente settaria in grado di infervorare gli animi viene compensata da un’incredibile pluralità di attori, tutti con differenti agende e caratterizzati da un’irriducibile rivalità. E i cui movimenti vengono agevolati dall’assoluta mancanza di controlli alle frontiere.
A metà agosto il valico di Musaid tra Libia e Egitto è rimasto sguarnito, per un immotivato ritiro delle guardie di frontiera libiche. E a Sirte si stanno moltiplicando le notizie relative alla presenza di numerosi combattenti nigeriani tra le fila dello Stato islamico.
Questo presunto afflusso, tramite le porose frontiere tra Nigeria e Niger e tra quest’ultimo e la Libia, dà un contenuto concreto alla bay’aha al-Baghdadi annunciata dall’organizzazione nigeriana nei mesi scorsi.
Nella non più remota eventualità di un intervento in Libia (sia da parte occidentale che della Lega Araba), il controllo delle frontiere assume un’importanza sempre più cruciale e decisiva.
Umberto Profazio è dottorando in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma “Sapienza” e analista per la Nato Defence College Foundation. Il suo primo e-book “Lo Stato Islamico: origini e sviluppi” è edito da e-muse.
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Il 20 agosto un attacco nella periferia di Sousse, in Tunisia, ha provocato la morte di un poliziotto. Il giorno stesso un’autobomba è esplosa di fronte a un edificio di proprietà delle forze di sicurezza egiziane nel distretto di Shubra el-Kheima, nella periferia del Cairo, toccando anche il tribunale adiacente e provocando 29 feriti. Gli episodi si susseguono ravvicinati.
Lo Stato Islamico e al-Mourabitun
Nonostante la maggior parte degli attentati sia stata attribuita agli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi, la realtà sembra essere molto più complessa. Il fronte del terrore in Nord Africa non è compatto e monolitico come a prima vista potrebbe sembrare, ma nasconde una ricca diversità di posizioni.
Questo è quanto si può desumere dall’annuncio con cui il 24 agosto i miliziani dello Stato Islamico hanno chiesto la testa di Mokhtar Belmokhtar, a capo del gruppo terroristico al-Mourabitoun.
Conosciuto per il tragico attacco del gennaio 2013 presso l’impianto di gas algerino di In-Amenas, al-Mourabitoun è nato dalla fusione tra le Brigate al-Mulathameen e il Movimento per l’unità del Jihad in Africa occidentale.
Le origini qaediste della formazione si desumono dal fatto che le Brigate al-Mulathameen furono create da Belmokthar come una fazione dissidente di al-Qaeda nel Maghreb islamico. Tuttavia la scissione non è stata così profonda da fare rinnegare a Belmokhtar la sua appartenenza a al-Qaeda.
Nonostante il 15 maggio Adnan Abud Walid Sahraoui, capo della branca saheliana dell’organizzazione, abbia prestato giuramento di fedeltà allo Stato islamico, sono arrivate subito le smentite.
Il 17 luglio al-Mourabitoun ha rinnovato la sua bay’ah (sottomissione) a Ayman al-Zawahiri, dichiarando di rappresentare al-Qaeda in Africa occidentale e di continuare la sua battaglia contro la Francia e i suoi alleati.
L’organizzazione ha anche ribadito la leadership di Belmokhtar, smentendo così le notizie relative alla sua uccisione in un raid condotto dall’aviazione statunitense a Ajdabya a giugno.
La natura saheliana di al-Mourabitoune la scelta dell’Algeria quale teatro principale delle sue azioni, sembra rappresentareun ostacolo all’espansione dello Stato islamico in questo Paese.
Soprattutto a seguito della repressione degli uomini di al-Baghdadi da parte delle forze di sicurezza algerine: nel dicembre 2014, infatti, i militari di Algeri sono riusciti a annientare il gruppo Jund al-Khilafa, affiliato allo Stato islamico, eliminando anche il suo presunto capo Abdelmalek Gouri.
I dissidenti di Ansar Beit al-Maqdis
In questo quadro estremamente dinamico, risulta naturalmente importante il teatro egiziano, dove la minaccia principale deriva da Ansar Beit al-Maqdis, formazione originariamente di stanza nel Sinai che negli ultimi mesi ha allargato il suo raggio di azione.
Nonostante la sua bay’ah allo Stato Islamico e la ridenominazione in Wilyat Sinai, il processo di affiliazione è stato dibattuto, con alcuni membri che hanno preferito abbandonare il gruppo e prendere altre strade.
Tra questi un’importanza fondamentale sembra avere Hisham Ali Ashmawy, che s’è meritato anch’egli l’inserimento nella lista dei ricercati da parte dello Stato islamico.
Ritenuto dalle autorità del Cairo responsabile dell’uccisione il 29 giugno del procuratore generale Hisham Barakat, Ashmawy infatti avrebbe partecipato alle operazioni contro lo Stato islamico nella città libica di Derna, allineandosi alle posizioni del Mujhaideen Shura Council.
Le indagini sugli attentati in Tunisia
Ancora più complesso sembra essere il panorama tunisino. Lo Stato islamico ha infatti rivendicato i principali attentati nei Paese, compresi quelli del museo del Bardo del 18 marzo e dell’Imperial Marhaba Beach Hotel di Sousse del 26 giugno.
In un primo momento le autorità tunisine sono sembrate riluttanti a attribuire la responsabilità di entrambi gli attacchi allo Stato islamico. Le indagini per l’attentato del Bardo si erano indirizzate sulla pista delle Brigate Okba Ibn Naafa, gruppo qaedista attivo soprattutto nella regione montuosa del Chembi, al confine con l’Algeria.
Solo a seguito dell’inchiesta della polizia britannica, è emerso un collegamento diretto tra l’attacco del Bardo e quello di Sousse: si ritiene infatti che i responsabili di entrambi gli attacchi siano passati dal medesimo campo di addestramento di Sabratha in Libia. Presumibilmente nello stesso periodo.
Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che il campo di Sabratha è notoriamente gestito da Ansar al-Sharia in Libia, il cui rapporto con lo Stato islamico risulta ambivalente. Nonostante tale formazione non abbia mai fatto voto di sottomissione a al-Baghdadi, pare che molti dei suoi ex membri siano successivamente entrati nelle file dello Stato islamico, rafforzando l’organizzazione.
Una libertà di movimento assoluta
In un contesto caratterizzato da scarsa trasparenza, inaffidabilità delle fonti e strumentalizzazioni politiche, l’unica certezza è che il fattore complessità sembra avvantaggiare lo Stato islamico.
Facendo del Nord Africa un’immensa Siria dove l’assenza di una componente settaria in grado di infervorare gli animi viene compensata da un’incredibile pluralità di attori, tutti con differenti agende e caratterizzati da un’irriducibile rivalità. E i cui movimenti vengono agevolati dall’assoluta mancanza di controlli alle frontiere.
A metà agosto il valico di Musaid tra Libia e Egitto è rimasto sguarnito, per un immotivato ritiro delle guardie di frontiera libiche. E a Sirte si stanno moltiplicando le notizie relative alla presenza di numerosi combattenti nigeriani tra le fila dello Stato islamico.
Questo presunto afflusso, tramite le porose frontiere tra Nigeria e Niger e tra quest’ultimo e la Libia, dà un contenuto concreto alla bay’aha al-Baghdadi annunciata dall’organizzazione nigeriana nei mesi scorsi.
Nella non più remota eventualità di un intervento in Libia (sia da parte occidentale che della Lega Araba), il controllo delle frontiere assume un’importanza sempre più cruciale e decisiva.
Umberto Profazio è dottorando in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Roma “Sapienza” e analista per la Nato Defence College Foundation. Il suo primo e-book “Lo Stato Islamico: origini e sviluppi” è edito da e-muse.
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