martedì 29 settembre 2015

Siria: la Russia entra in gioco


Il gioco di Putin
Siria: stivali russi per Assad
Giovanna De Maio
26/09/2015
 più piccolopiù grande
Uno dei classici colpi di scena à la Vladimir Putin. Questa volta in Siria, dove Mosca è impegnata da anni, ma con le sue operazioni a Latakia e al porto di Tartus sta diventano un attore sempre più importante.

L’acquisizione della base navale di Tartus risale al 1971. Fino a pochi anni fa era piuttosto malridotta. In seguito agli eventi della Primavera araba (o Rivolta araba, come la definisce Mosca), l’importanza di quest’unico porto russo sui mari caldi si è rivelata particolarmente strategica per la proiezione russa in Medio Oriente.

Proprio mentre dalla comunità internazionale piovevano sanzioni contro il regime di Bashar al-Assad, in questo porto arrivavano le portaerei russe cariche di YAK-30 e armi sofisticate.

Interessi russi in Siria
Del resto la Siria è uno dei primi cinque acquirenti stranieri di armamenti russi. La sinergia tra Mosca e Damasco riguarda anche il settore estrattivo, dove le compagnie russe hanno investito circa 20 miliardi di dollari. Dettaglio che spiega non solo il veto russo alla risoluzione Onu che imponeva ad Assad di farsi da parte, ma anche l’aiuto delle banche russe nell’aggirare le restrizioni finanziarie imposte a Damasco.

Dietro l’ultimo sforzo militare di Mosca in Siria si nascondono anche altri tipi di considerazioni. Putin teme l’uscita di scena di Assad perché questa significherebbe perdere l’ultimo alleato russo nel mondo arabo e la maggiore fonte di influenza nella regione.

Per quanto possa sembrare riduttivo, in Siria come in Ucraina le ragioni russe sono da ricercare nella malcelata insoddisfazione nei confronti dell’ordine mondiale del post Guerra Fredda. Mosca non vuole essere un junior partner degli Stati Uniti e pretende di recitare il suo ruolo in uno scenario il più possibile multipolare. Per farlo, si inserisce in queste zone grigie, dove non c’è né guerra né pace, destreggiandosi abilmente negli spazi lasciati liberi dal diritto e dalla comunità internazionali.

Mosca vuole guida fronte anti-Califfo
Escludendo la troppo rischiosa ipotesi di un intervento unilaterale, attraverso la mossa siriana la Russia sembra volersi proporre come leader credibile e in grado di guidare una coalizione internazionale contro il sedicente “Stato islamico” (Is), insieme all’Iran e ovviamente ad Assad.

Su quest’ultimo punto Mosca appare irremovibile, ma non mancano spiragli di compromesso come traspare dalle pagine del Valdaj Club: un cambio di regime in Siria è possibile solo se la Russia potrà giocare un ruolo attivo nella definizione dei nuovi equilibri mediorientali e sarà inserita nel sistema di sicurezza della regione. Fino a questo momento, però, la presenza di Assad rappresenta un imprescindibile strumento contro il dilagare della minaccia dello “Stato islamico”.

Anche se non ci sono dati certi circa il coinvolgimento di combattenti del Caucaso tra le fila dell’Is, il Cremlino tiene alta la guardia perché teme il riaccendersi del fuoco del separatismo in Cecenia e Inguscezia.

Per questo motivo, stando a quanto riporta il giornale Argumenty i Fakty, Mosca avrebbe affidato l’addestramento di alcune unità cecene alla guida di ex gruppi delle forze speciali russe con l’obiettivo di impegnarle a sostegno di Assad e a copertura delle truppe russe. Sembrerebbe una triste ripetizione del copione ucraino, in cui i ceceni si sono ritrovati a combattere al fianco sia degli ucraini che dei separatisti filo-russi.

Dal Donbass a Tartus
Dietro l’aiuto garantito a Damasco c’è anche un altro obiettivo: virare l’attenzione internazionale e interna sul fronte siriano per allontanarla da quello ucraino. In questo modo Mosca cerca non solo di uscire dall’isolamento internazionale e riallacciare i rapporti con l’Occidente, ma anche di alleggerirsi dal peso dei partiti nazionalisti che premono per un intervento più deciso in Ucraina.

Sui giornali nazionalisti come Zavtra, gli appelli all’indipendenza del Donbass hanno temporaneamente lasciato il posto a quelli per la lotta al terrorismo islamico e alla protezione dei Circassi in Siria.

Su questo punto, però, il governo non si sbilancia anche perché conosce bene gli effetti collaterali di invocare una responsabilità di proteggere, come accaduto in Ucraina, in cui i promotori della Novorossya sembrano sfuggire al controllo di Mosca.

La posta in gioco è molto alta e Putin ha fatto la sua mossa. Che la logica alla base sia condivisibile o meno, sta all’Occidente vedere ed eventualmente rilanciare tenendo ben presente che, stante la vulnerabilità alle minacce magmatiche dello “Stato islamico”, scegliere di avere Mosca dalla propria parte potrebbe rivelarsi vincente.

Giovanna De Maio è dottoranda di ricerca presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale; è stata stagista per la comunicazione presso lo IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3176#sthash.uqAPk60E.dpuf

Nessun commento:

Posta un commento