giovedì 28 maggio 2015

Iran: uno sguardo al futuro

Medio Oriente
Il dilemma iraniano tra Stati Uniti e Golfo
Ugo Tramballi
17/05/2015
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Fra un anno si celebra il centenario degli accordi Sykes-Picot: quando inglesi e francesi si spartirono l’eredità territoriale dell’Impero Ottomano, disegnando a loro piacimento la mappa di un nuovo Levante.

Sarà di certo l’occasione per un grande sfoggio di retorica. Sentiremo dire e leggeremo dei danni provocati al mondo arabo da quelle decisioni, del colonialismo occidentale causa di tutte le destabilizzazioni della regione, soprattutto quelle di oggi.

È innegabile che quell’accordo del 1916 sia il peccato originale del Grande Fallimento mediorientale: rafforzato fra la prima e seconda guerra mondiale, cementato poi dalla Guerra Fredda, dagli interessi petroliferi occidentali, fino ad arrivare all’atto finale e devastante dell’invasione statunitense dell’Iraq, nel 2003.

Tuttavia colonialismo, imperialismo e interessi delle multinazionali hanno saccheggiato anche l’America Latina, l’Asia, l’Africa. Eppure laggiù, in tutto questo tempo, è cresciuto il Brasile come Paese guida di un rinnovamento regionale; la Corea del Sud è diventata prima una potenza economica poi una democrazia, insieme ad altri Paesi.

Anche l’Africa da’ segni importanti di crescita, per quanto ancora fragili e disuguali. Governi responsabili, società civili, crescita economica: c’è qualche segno di tutto questo in Medio Oriente?

Vertice di Camp David
Nel maggio del 2015, a XXI secolo iniziato da tre lustri, nell’incontro a Camp David fra Barack Obama e i regnanti del Golfo si è celebrato l’ultimo episodio di un Medio Oriente che non sa uscire dalla sua dimensione tribal-religiosa.

Da una parte il presidente degli Stati Uniti, dall’altra re, emiri e sceicchi sunniti che chiedono al primo di essere rassicurati nella loro millenaria lotta scismatica contro gli sciiti: in questo caso impersonati dalla potenza iraniana. Il vertice aveva molte altre sfumature geopolitiche e militari importanti, ma nell’essenza a Camp David si è sentito parlare per l’ennesima volta della lotta tra Islam sunnita e sciita.

Passo indietro di Obama in Medio Oriente
Il presidente Usa sta facendo finalmente il suo mestiere: quello che terzomondisti, anticolonialisti e democratici di tutto il mondo nell’ultimo mezzo secolo hanno sognato facesse la superpotenza americana.

Ha fatto un passo indietro, soprattutto militare, dalle vicende mediorientali; ha trattato con l’ultimo grande nemico ideologico della regione, l’Iran, perché non costruisca un arsenale nucleare che destabilizzerebbe il Golfo e il Levante infinitamente più di quanto non siano già instabili oggi; ha cercato di convincere principi ed emiri, con atti politici concreti, che gli Stati Uniti non stanno passando da un’alleanza col mondo sunnita a una con quello scita.

Negoziando sul nucleare non scelgono l’Iran contro l’Arabia Saudita. Perché è questa la tradizionale percezione culturale, prima che politica, dei regimi arabi: sei con me o contro di me, in sistemi di governo nei quali è prevista l’esclusività del potere, non l’inclusività.

Guardate che cosa è accaduto in questi ultimi tre anni in Egitto: prima governava Mubarak, poi i Fratelli musulmani, infine i militari, nessuno con l’intenzione di spartire gli oneri ed eventualmente gli onori del governare una crisi senza precedenti. Perfino i giovani di piazza Tahrir, quando ancora venivano ascoltati, avevano mostrato un’arroganza infantile.

Accordo sul nucleare e sicurezza collettiva
Nell’affrontare un negoziato difficile sul nucleare iraniano e nel rassicurare contemporaneamente i governanti arabi del Golfo, Obama sta tentando un’operazione mai compiuta prima nella regione: costruire un sistema di sicurezza collettiva.

Camp David per lui - ma non necessariamente per i suoi ricchi ed egoisti interlocutori arabi - è il tentativo di mettere sauditi e presto iraniani, sciti e sunniti, arabi e persiani, attorno a un tavolo in un’equivalente mediorientale di Helsinki 1975, la conferenza che sancì i parametri della stabilità e della sicurezza europee giusto in mezzo alla Guerra Fredda.

La domanda che l’Arabia Saudita e i suoi satelliti guidati in gran parte da ottuagenari devono porsi è strategicamente semplice, se la risposta non fosse gravata dallo scontro sciiti/sunniti: è meglio avere un Iran riabilitato nella comunità diplomatica ma senza un arsenale atomico o un Iran isolato e con l’arsenale?

Un accordo sul nucleare di Teheran, per il Medio Oriente sarebbe di un’importanza storica. Se Obama riuscisse a costruire quel sistema di sicurezza collettiva fra le due sponde del Golfo Arabico/Persico, gli effetti avrebbero un riverbero immediato.

L’Iraq, la tragedia siriana, la lotta allo stato islamico, l’instabilità libanese, la debolezza giordana, le ambizioni di tutte le minoranze, perfino la questione palestinese, potrebbero essere affrontati in modo più chiaro ed efficace.

Ugo Tramballi è giornalista e inviato de
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