martedì 5 maggio 2015

Arabia Saudita: cambia la linea ereditaria

Arabia saudita
Le mosse del re e l’impasse nello Yemen
Roberto Iannuzzi
01/05/2015
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Nel pieno della campagna militare nello Yemen, il re saudita Salman ha compiuto una nuova mossa a sorpresa, promuovendo a principe ereditario il ministro dell’interno Mohammed bin Nayef in sostituzione del principe Muqrin e assegnando al figlio Mohammed bin Salman, attuale ministro della difesa, la carica di vice erede al trono.

L’uscita di scena di Muqrin apre la strada al passaggio dei poteri alla terza generazione di principi, i nipoti del fondatore della dinastia Abdulaziz. Ma soprattutto segna la definitiva cancellazione dell’eredità del predecessore di Salman, re Abdullah, a poco più di tre mesi dalla sua scomparsa, con l’emarginazione degli altri rami della famiglia a vantaggio del clan dei Sudairi.

Il controllo della linea di successione
La linea di successione appare ora saldamente nelle mani di tale clan, visto che bin Nayef ha 55 anni, e il giovane bin Salman ne ha poco più di 30.

La mossa di re Salman sembra anche un modo per “blindare” le sue scelte di politica estera. Bin Nayef, oltre a essere da anni il paladino della lotta al terrorismo nel regno, è un grande conoscitore dello Yemen. Mentre bin Salman, in qualità di ministro della difesa, è il volto ufficiale dell’intervento militare saudita in quel paese.

Resta il fatto che nessuno degli obiettivi politici della campagna aerea condotta sullo Yemen è stato raggiunto:il movimento sciita degli Houthi ha conservato molte delle proprie conquiste, e soprattutto il controllo della capitale Sanaa; il presidente Abd Rabboh Mansour Hadi non è stato reinsediato; e il dialogo nazionale appare ancora più difficile dopo i bombardamenti che hanno ulteriormente polarizzato il paese.

I vertici militari di Riad hanno però affermato di aver distrutto missili e aerei di cui gli Houthi si erano impossessati e che, a loro giudizio, rappresentavano una minaccia per il regno saudita.

Un tassello del conflitto irano-saudita
L’intervento militare nello Yemen si spiega nel contesto delle tensioni fra Riad e Teheran. Dall’Iraq alla Siria, i sauditi guardano con timore all’ascesa regionale iraniana, che verrebbe ulteriormente rafforzata da un definitivo accordo sul nucleare a giugno.

Gli Houthi nello Yemen sono visti da Riad come un “agente iraniano”, al pari di Hezbollah in Libano. Dopo aver conquistato Sanaa lo scorso settembre, la loro avanzata verso il porto di Aden non è stata tollerata dall’Arabia saudita.

Sebbene gli Houthi siano zaiditi (una branca sciita differente da quella duodecimana prevalente in Iran), esiste un’affinità ideologica fra il movimento yemenita e il regime di Teheran, rafforzatasi negli ultimi anni.

Diversi esponenti del movimento si sono formati in Iran, e più recentemente il sostegno iraniano è passato dall’ambito ideologico a quello logistico e militare, seppure in forma tuttora limitata.

Il potenziale bellico degli Houthi è però dovuto al fatto che essi si sono impadroniti di depositi militari dell’esercito yemenita, la cui dotazione era assicurata fino a poco tempo fa dagli Stati Uniti. Del resto, gran parte delle forze armate sono rimaste fedeli all’ex dittatore Ali Abdullah Saleh, alleatosi con gli Houthi dopo essere stato per anni un loro acerrimo nemico.

In un paese in cui gli sciiti rappresentano il 30% della popolazione e non sono tutti allineati con gli Houthi, l’influenza iraniana rimane circoscritta. La stessa avanzata della bizzarra alleanza tra Saleh e gli Houthi si spiega in base a dinamiche prettamente locali, che poco hanno a che fare con Teheran.

Diversi dirigenti iraniani sono tuttavia responsabili di aver indicato la ribellione sciita nello Yemen come parte integrante del cosiddetto “asse della resistenza” filo-iraniano comprendente anche Siria, Iraq e Hezbollah. Simili dichiarazioni avevano probabilmente mere finalità propagandistiche, ma hanno avuto l’effetto di esacerbare le paure saudite.

Secondo fonti dell’intelligence americana, l’Iran aveva sconsigliato gli Houthi dall’assumere il controllo della capitale Sanaa lo scorso settembre, sebbene tale suggerimento sia rimasto inascoltato. Ciò confermerebbe da un lato la relativa indipendenza degli Houthi, dall’altro che lo Yemen è un fronte secondario per Teheran.

Gli errori di Riad nati dai problemi interni alla famiglia reale
Per converso, lo Yemen è stato per decenni il “giardino di casa” del regno saudita. Riad vi ha lungamente esportato l’ideologia wahhabita, creando allo stesso tempo una rete clientelare fra le tribù sunnite e tessendo rapporti con il regime di Saleh prima del suo crollo.

Tuttavia, per problemi interni alla famiglia reale, negli ultimi anni il dossier yemenita è stato gestito secondo linee contraddittorie; e l’influenza saudita nel paese è diminuita.

Di conseguenza Riad attualmente considera avversari, o quantomeno soggetti inaffidabili, i principali attori politici nello Yemen: gli Houthi, il movimento Al-Islah vicino ai Fratelli Musulmani, il movimento separatista del sud (Hirak), e l’ex presidente Saleh.

L’intervento militare saudita ha poi dovuto fare i conti con lo scarso entusiasmo dei paesi della coalizione guidata da Riad - in primo luogo Pakistan ed Egitto - di fronte alla prospettiva di un’operazione di terra.

I sauditi ora collaborano con milizie e tribù sunnite sul terreno, ma alcuni gruppi hanno legami con un altro nemico dei sauditi: Al-Qaeda nella Penisola Araba (Aqap). Quest’ultima si è rafforzata proprio grazie ai bombardamenti aerei, assumendo il controllo di importanti infrastrutture nella provincia dell’Hadramaut.

La prospettiva di una catastrofe umanitaria
Annunciando la fine di “Tempesta decisiva”, i sauditi hanno inaugurato una nuova operazione - “Riportare la speranza” - che prevede misure di “nation building” accanto ad azioni militari teoricamente più circoscritte.

I propositi di ricostruzione appaiono tuttavia vaghi e velleitari, in un paese poverissimo tuttora preda del conflitto. Ben 16 milioni di abitanti (circa il 60% della popolazione) avevano urgente bisogno di assistenza umanitaria già prima dell’intervento militare saudita.

Siccome lo Yemen importa il 90% degli alimenti base, il blocco di porti e aeroporti imposto da Riad ha conseguenze devastanti. Più di metà del paese non ha accesso all’acqua potabile. Mancano i medicinali e diversi ospedali sono stati danneggiati.

Un aspetto paradossale del conflitto è che esso ha determinato un’inversione dei flussi migratori: ora dallo Yemen si fugge via mare a Gibuti e perfino in Somalia.

Questa situazione drammatica porterà a un’ulteriore radicalizzazione di ampie fasce della popolazione, favorendo l’espansione di Aqap e del sedicente Stato Islamico, come molti segnali già indicano.

Alla luce del lungo e poroso confine che l’Arabia saudita condivide con lo Yemen, e dei legami che esistono fra le popolazioni dei due paesi, la crisi yemenita potrebbe avere serie conseguenze per la stabilità interna del regno.

Roberto Iannuzzi è ricercatore presso l’Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo). È autore del libro “Geopolitica del collasso. Iran, Siria e Medio Oriente nel contesto della crisi globale”.

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