Adesione palestinese alla Cpi Se l'Anp vuole processare Israele Marina Mancini 12/01/2015 |
Rompendo gli indugi, il presidente della Palestina Mahmoud Abbas ha firmato l’adesione allo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (Cpi) e ad altri sedici trattati, nonché una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Cpi ex art. 12 par. 3 dello Statuto stesso.
La firma, avvenuta il 31 dicembre, costituisce l’immediata reazione alla bocciatura da parte del Consiglio di sicurezza (Cds) del progetto di risoluzione presentato dalla Giordania, che fissava il termine di un anno per il raggiungimento di un accordo di pace comprendente la fine dell’occupazione israeliana dei Territori palestinesi e il reciproco riconoscimento di Israele e Palestina.
Adesione allo Statuto di Roma
La mossa palestinese ha fatto infuriare Israele che non è parte dello Statuto di Roma e vede ora concretizzarsi il rischio che i propri vertici militari e politici, incluso il Primo ministro Benjamin Netanyahu, finiscano sotto processo in quanto responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nei Territori occupati, anche se ordinati dal territorio israeliano.
Salvo infatti che la situazione sia deferita al Procuratore della Corte dal Cds, la giurisdizione della Cpi sussiste se l’accusato è cittadino di uno stato parte dello Statuto o di uno Stato non parte che l’abbia accettata con una dichiarazione ad hoc oppure se, quale che sia nazionalità dell’accusato, il crimine è stato commesso sul territorio di uno di tali Stati.
Il 6 gennaio 2015, il Segretario generale dell’Onu, in qualità di depositario dello Statuto, ha annunciato che, come prevedono le procedure, questo entrerà in vigore per la Palestina il 1° aprile prossimo.
Per effetto dell’adesione, la Corte avrà giurisdizione sui crimini che siano commessi nei Territori da chiunque - dunque non solo da israeliani, ma anche da palestinesi - a partire dalla data di entrata in vigore dello Statuto per la Palestina. Quest’ultima potrà deferire al Procuratore una situazione in cui detti crimini appaiano essere stati compiuti (referral), chiedendogli di aprire un’indagine.
Indagine sull’operazione “margine di protezione”?
Quid per i crimini commessi in passato? La Cpi può pronunciarsi solo sui crimini commessi dopo l’entrata in vigore dello Statuto per il singolo stato parte, tranne che questi abbia anteriormente depositato presso il Cancelliere una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Corte ex art. 12 par. 3 dello Statuto, consentendole di processare i responsabili di crimini compiuti in precedenza, ma comunque in una data successiva al 1° luglio 2002 (giorno dell'entrata in vigore dello Statuto).
La dichiarazione firmata da Abbas mira ad attribuire alla Cpi la giurisdizione sui crimini commessi dagli israeliani nell’ambito dell’ultima campagna militare, costata la vita ad oltre 1400 civili nella Striscia di Gaza.
La Palestina ha infatti dichiarato di accettare la giurisdizione della Cpi su tutti i crimini da chiunque commessi nei Territori occupati, inclusa Gerusalemme Est, a partire dal 13 giugno 2014, ovvero dal giorno successivo al rapimento in Cisgiordania di tre giovani israeliani, che portò a “margine di protezione”, l’ultima operazione israeliana sulla Striscia di Gaza.
Come da prassi, il procuratore della Cpi procederà a un esame preliminare della situazione oggetto della dichiarazione palestinese per verificare se sussistano elementi sufficienti per l’apertura di un’indagine. In caso di esito positivo, il procuratore potrà iniziare un’indagine, previa autorizzazione della Camera preliminare (tranne che nel frattempo intervenga un referral della Palestina riguardante crimini commessi dopo l’entrata in vigore dello Statuto per quest’ultima).
Nell’ambito dell’indagine poi, il procuratore potrà chiedere alla stessa Camera l’emanazione di uno o più ordini di comparizione e/o mandati d’arresto.
Timori israeliani
A ben vedere, però, i vertici israeliani non hanno molto da temere dalla Corte, se non un danno politico e d’immagine. La Cpi non può celebrare processi in contumacia. Non disponendo questa di un proprio apparato di polizia, l’esecuzione di un mandato d’arresto richiede la cooperazione del paese in cui il ricercato si trova.
È impensabile che Israele consegni dei propri cittadini alla Corte. Quanto agli altri paesi, il caso del presidente sudanese Omar Al Bashir dimostra come interessi politici ed economici possano indurre gli stessi stati parti a non ottemperare all'obbligo di piena cooperazione con la Corte stabilito dallo Statuto e a disattendere la richiesta di arresto e consegna del ricercato formulata da quest’ultima.
Al Bashir, destinatario di due mandati d’arresto, uno nel 2009 per crimini di guerra e crimini contro l’umanità e l’altro nel 2010 per genocidio, è ancora al suo posto e continua a viaggiare in numerosi Paesi, compresi diversi Stati parti.
Inoltre, con l’eccezione del caso dell’ex leader libico Muammar Gheddafi, l’azione investigativa del procuratore non si è finora distinta per rapidità ed efficienza, anche a causa delle limitate risorse a disposizione e della scarsa o assente cooperazione degli stati coinvolti.
Il 5 dicembre scorso, questi ha addirittura dovuto ritirare le accuse nei confronti del presidente del Kenya Uhuru Muigai Kenyatta, già rinviato a giudizio per crimini contro l'umanità, riconoscendo di non avere sufficienti prove della sua colpevolezza.
Considerato tutto ciò, Netanyahu può ancora dormire sonni tranquilli!
Marina Mancini è docente di Diritto internazionale penale nel Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli e ricercatrice di Diritto internazionale nel Dipartimento di Giurisprudenza ed Economia dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.
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Adesione allo Statuto di Roma
La mossa palestinese ha fatto infuriare Israele che non è parte dello Statuto di Roma e vede ora concretizzarsi il rischio che i propri vertici militari e politici, incluso il Primo ministro Benjamin Netanyahu, finiscano sotto processo in quanto responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nei Territori occupati, anche se ordinati dal territorio israeliano.
Salvo infatti che la situazione sia deferita al Procuratore della Corte dal Cds, la giurisdizione della Cpi sussiste se l’accusato è cittadino di uno stato parte dello Statuto o di uno Stato non parte che l’abbia accettata con una dichiarazione ad hoc oppure se, quale che sia nazionalità dell’accusato, il crimine è stato commesso sul territorio di uno di tali Stati.
Il 6 gennaio 2015, il Segretario generale dell’Onu, in qualità di depositario dello Statuto, ha annunciato che, come prevedono le procedure, questo entrerà in vigore per la Palestina il 1° aprile prossimo.
Per effetto dell’adesione, la Corte avrà giurisdizione sui crimini che siano commessi nei Territori da chiunque - dunque non solo da israeliani, ma anche da palestinesi - a partire dalla data di entrata in vigore dello Statuto per la Palestina. Quest’ultima potrà deferire al Procuratore una situazione in cui detti crimini appaiano essere stati compiuti (referral), chiedendogli di aprire un’indagine.
Indagine sull’operazione “margine di protezione”?
Quid per i crimini commessi in passato? La Cpi può pronunciarsi solo sui crimini commessi dopo l’entrata in vigore dello Statuto per il singolo stato parte, tranne che questi abbia anteriormente depositato presso il Cancelliere una dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Corte ex art. 12 par. 3 dello Statuto, consentendole di processare i responsabili di crimini compiuti in precedenza, ma comunque in una data successiva al 1° luglio 2002 (giorno dell'entrata in vigore dello Statuto).
La dichiarazione firmata da Abbas mira ad attribuire alla Cpi la giurisdizione sui crimini commessi dagli israeliani nell’ambito dell’ultima campagna militare, costata la vita ad oltre 1400 civili nella Striscia di Gaza.
La Palestina ha infatti dichiarato di accettare la giurisdizione della Cpi su tutti i crimini da chiunque commessi nei Territori occupati, inclusa Gerusalemme Est, a partire dal 13 giugno 2014, ovvero dal giorno successivo al rapimento in Cisgiordania di tre giovani israeliani, che portò a “margine di protezione”, l’ultima operazione israeliana sulla Striscia di Gaza.
Come da prassi, il procuratore della Cpi procederà a un esame preliminare della situazione oggetto della dichiarazione palestinese per verificare se sussistano elementi sufficienti per l’apertura di un’indagine. In caso di esito positivo, il procuratore potrà iniziare un’indagine, previa autorizzazione della Camera preliminare (tranne che nel frattempo intervenga un referral della Palestina riguardante crimini commessi dopo l’entrata in vigore dello Statuto per quest’ultima).
Nell’ambito dell’indagine poi, il procuratore potrà chiedere alla stessa Camera l’emanazione di uno o più ordini di comparizione e/o mandati d’arresto.
Timori israeliani
A ben vedere, però, i vertici israeliani non hanno molto da temere dalla Corte, se non un danno politico e d’immagine. La Cpi non può celebrare processi in contumacia. Non disponendo questa di un proprio apparato di polizia, l’esecuzione di un mandato d’arresto richiede la cooperazione del paese in cui il ricercato si trova.
È impensabile che Israele consegni dei propri cittadini alla Corte. Quanto agli altri paesi, il caso del presidente sudanese Omar Al Bashir dimostra come interessi politici ed economici possano indurre gli stessi stati parti a non ottemperare all'obbligo di piena cooperazione con la Corte stabilito dallo Statuto e a disattendere la richiesta di arresto e consegna del ricercato formulata da quest’ultima.
Al Bashir, destinatario di due mandati d’arresto, uno nel 2009 per crimini di guerra e crimini contro l’umanità e l’altro nel 2010 per genocidio, è ancora al suo posto e continua a viaggiare in numerosi Paesi, compresi diversi Stati parti.
Inoltre, con l’eccezione del caso dell’ex leader libico Muammar Gheddafi, l’azione investigativa del procuratore non si è finora distinta per rapidità ed efficienza, anche a causa delle limitate risorse a disposizione e della scarsa o assente cooperazione degli stati coinvolti.
Il 5 dicembre scorso, questi ha addirittura dovuto ritirare le accuse nei confronti del presidente del Kenya Uhuru Muigai Kenyatta, già rinviato a giudizio per crimini contro l'umanità, riconoscendo di non avere sufficienti prove della sua colpevolezza.
Considerato tutto ciò, Netanyahu può ancora dormire sonni tranquilli!
Marina Mancini è docente di Diritto internazionale penale nel Dipartimento di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli e ricercatrice di Diritto internazionale nel Dipartimento di Giurisprudenza ed Economia dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.
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