Medio Oriente Fumata nera per il nuovo presidente libanese Rocco Polin 26/04/2014 |
Nulla da fare per il Parlamento libanese. Nelle prime votazioni del 23 aprile non è riuscito a eleggere un nuovo presidente. Il mandato dell’attuale capo di stato, Michel Sleiman, termina il 25 maggio, ma probabilmente per eleggere il nuovo raìs servirà più tempo.
Nulla di nuovo. Lo stesso Sleiman venne eletto nel maggio 2008, nonostante il mandato del suo predecessore, Emile Lahoud, fosse scaduto nel novembre 2007.
Competizione tra cristiani
Le elezioni presidenziali si svolgono in un clima di estrema difficoltà. La guerra civile in Siria rischia infatti di esacerbare le ostilità politiche e confessionali tra l’alleanza a guida sunnita 14 Marzo e quella a guida sciita 8 Marzo.
La dichiarazione di Baabda, nella quale i partiti politici libanesi si erano impegnati a preservare la naturalità del Libano rispetto alle crisi regionali, è stata ampiamente disattesa.
Hezbollah è infatti impegnato militarmente a fianco del regime di Damasco ed è riuscito a evitare che tale dichiarazione entrasse a far parte della piattaforma politica del nuovo governo di unità nazionale di Tammam Salam.
In tale situazione di conflitto tra sunniti e sciiti, un ruolo centrale è affidato ai partiti cristiani, presenti in entrambe le coalizioni. Gli accordi di power sharing che governano il Libano dal 1943 prevedono infatti che la Presidenza della Repubblica venga affidata a un cristiano maronita. I due candidati più accreditati sono stati fino ad ora Samir Geagea e Michel Aoun, divisi tra loro da aperta ostilità ed appartenenti ad opposti blocchi politici.
Geagea e Aoun, uomini di rottura
Geaga è il leader delle Forze libanesi, un partito facente parte della coalizione del Marzo 14. A causa del suo ruolo nella guerra civile, nel 1994 fu condannato a morte e, in seguito alla commutazione della pena in ergastolo, trascorse 11 anni di isolamento in carcere.
Nel 2005, nell’ambito di un tentativo di riconciliazione nazionale, Geagea venne perdonato e tornò ad essere un leader politico di primo piano. La sua è stata l’unica candidatura ufficiale nelle prime votazioni per l’elezione del nuovo presidente, ma ha ottenuto soltanto 48 voti.
Aoun è invece leder del Movimento patriottico libero, attualmente primo partito cristiano in parlamento. Egli è stato capo delle forze armate nell’ultima fase della guerra civile, impegnandosi tanto contro le milizie cristiane di Geagea quanto contro l’esercito siriano e infine auto-proclamandosi Presidente della Repubblica per due anni. Al termine della guerra civile, Aoun ha trascorso quindici anni di esilio in Francia, al ritorno dai quali è rientrato in politica schierandosi con l’alleanza 8 Marzo.
Se risultasse eletto, Aoun sarebbe il quarto Presidente ad aver precedentemente ricoperto la carica di capo delle forze armate, il terzo di seguito dopo Lahoud e Sleiman. Diversamente da questi due - che durante i loro mandati avevano tentato di fare dell’esercito un’istituzione neutrale al servizio dello Stato al disopra delle dispute confessionali - Aoun schierò apertamente l’esercito durante le ultime fasi della guerra civile. Arriverebbe quindi alla Presidenza non come figura di garanzia, ma dopo una lunga e controversa carriera politica.
Obeid, Kahwagi e Salameh, uomini del possibile compromesso
Per evitare l’elezione di figure così ingombranti e controverse, il Parlamento potrebbe orientarsi su candidati di compromesso, come Jean Obeid, già Ministro degli esteri e figura in grado di avere buoni rapporti tanto con la Siria che con l’Arabia Saudita.
Un’altra possibilità è l’elezione dell’attuale o capo delle forze armate, Jean Kahwagi, o del presidente della Banca centrale, Riad Salameh.
L’elezione di entrambi sarebbe però vietata dalla Costituzione. Questa prevede infatti che gli alti funzionari dello Stato per essere eleggibili debbano dimettersi dalla loro carica due anni prima delle votazioni. Tale norma è però stata emendata tanto nel caso di Lahoud che in quello di Sleiman, anche se questa volta l’aperta ostilità di Aoun a questa opzione potrebbe renderla più difficile.
Eco crisi siriana
Come di consueto, l’elezione del Presidente sarà determinata, oltre che dalle manovre politiche interne, dagli interessi e dalle pressioni degli attori esterni: Siria, Arabia Saudita, Francia, Stati Uniti, Iran e Vaticano tra gli altri. La decisione sarà dettata dalla necessità di evitare che il conflitto siriano e le tensioni regionali mettano a rischio la precaria stabilità del Libano.
Il prossimo Presidente dovrà avere l’autorevolezza e l’imparzialità necessaria per guidare il paese durante la difficile prova delle elezioni politiche previste per il prossimo novembre.
Negli ultimi anni, nonostante ricorrenti crisi politiche e preoccupanti episodi di violenza confessionale, sopratutto nel nord del paese, i politici libanesi, con l’incoraggiamento della comunità internazionale, sono riusciti a garantire al paese un minimo di stabilità istituzionale.
Vi sono fondate speranze che essi supereranno anche le difficili prove elettorali che li attendono, ma fino a quando non verrà trovata una soluzione alla crisi siriana, il Libano resterà sull’orlo del baratro.
Rocco Polin è dottorando in Relazioni Internazionali presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane, Scuola Normale Superiore.
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Nulla di nuovo. Lo stesso Sleiman venne eletto nel maggio 2008, nonostante il mandato del suo predecessore, Emile Lahoud, fosse scaduto nel novembre 2007.
Competizione tra cristiani
Le elezioni presidenziali si svolgono in un clima di estrema difficoltà. La guerra civile in Siria rischia infatti di esacerbare le ostilità politiche e confessionali tra l’alleanza a guida sunnita 14 Marzo e quella a guida sciita 8 Marzo.
La dichiarazione di Baabda, nella quale i partiti politici libanesi si erano impegnati a preservare la naturalità del Libano rispetto alle crisi regionali, è stata ampiamente disattesa.
Hezbollah è infatti impegnato militarmente a fianco del regime di Damasco ed è riuscito a evitare che tale dichiarazione entrasse a far parte della piattaforma politica del nuovo governo di unità nazionale di Tammam Salam.
In tale situazione di conflitto tra sunniti e sciiti, un ruolo centrale è affidato ai partiti cristiani, presenti in entrambe le coalizioni. Gli accordi di power sharing che governano il Libano dal 1943 prevedono infatti che la Presidenza della Repubblica venga affidata a un cristiano maronita. I due candidati più accreditati sono stati fino ad ora Samir Geagea e Michel Aoun, divisi tra loro da aperta ostilità ed appartenenti ad opposti blocchi politici.
Geagea e Aoun, uomini di rottura
Geaga è il leader delle Forze libanesi, un partito facente parte della coalizione del Marzo 14. A causa del suo ruolo nella guerra civile, nel 1994 fu condannato a morte e, in seguito alla commutazione della pena in ergastolo, trascorse 11 anni di isolamento in carcere.
Nel 2005, nell’ambito di un tentativo di riconciliazione nazionale, Geagea venne perdonato e tornò ad essere un leader politico di primo piano. La sua è stata l’unica candidatura ufficiale nelle prime votazioni per l’elezione del nuovo presidente, ma ha ottenuto soltanto 48 voti.
Aoun è invece leder del Movimento patriottico libero, attualmente primo partito cristiano in parlamento. Egli è stato capo delle forze armate nell’ultima fase della guerra civile, impegnandosi tanto contro le milizie cristiane di Geagea quanto contro l’esercito siriano e infine auto-proclamandosi Presidente della Repubblica per due anni. Al termine della guerra civile, Aoun ha trascorso quindici anni di esilio in Francia, al ritorno dai quali è rientrato in politica schierandosi con l’alleanza 8 Marzo.
Se risultasse eletto, Aoun sarebbe il quarto Presidente ad aver precedentemente ricoperto la carica di capo delle forze armate, il terzo di seguito dopo Lahoud e Sleiman. Diversamente da questi due - che durante i loro mandati avevano tentato di fare dell’esercito un’istituzione neutrale al servizio dello Stato al disopra delle dispute confessionali - Aoun schierò apertamente l’esercito durante le ultime fasi della guerra civile. Arriverebbe quindi alla Presidenza non come figura di garanzia, ma dopo una lunga e controversa carriera politica.
Obeid, Kahwagi e Salameh, uomini del possibile compromesso
Per evitare l’elezione di figure così ingombranti e controverse, il Parlamento potrebbe orientarsi su candidati di compromesso, come Jean Obeid, già Ministro degli esteri e figura in grado di avere buoni rapporti tanto con la Siria che con l’Arabia Saudita.
Un’altra possibilità è l’elezione dell’attuale o capo delle forze armate, Jean Kahwagi, o del presidente della Banca centrale, Riad Salameh.
L’elezione di entrambi sarebbe però vietata dalla Costituzione. Questa prevede infatti che gli alti funzionari dello Stato per essere eleggibili debbano dimettersi dalla loro carica due anni prima delle votazioni. Tale norma è però stata emendata tanto nel caso di Lahoud che in quello di Sleiman, anche se questa volta l’aperta ostilità di Aoun a questa opzione potrebbe renderla più difficile.
Eco crisi siriana
Come di consueto, l’elezione del Presidente sarà determinata, oltre che dalle manovre politiche interne, dagli interessi e dalle pressioni degli attori esterni: Siria, Arabia Saudita, Francia, Stati Uniti, Iran e Vaticano tra gli altri. La decisione sarà dettata dalla necessità di evitare che il conflitto siriano e le tensioni regionali mettano a rischio la precaria stabilità del Libano.
Il prossimo Presidente dovrà avere l’autorevolezza e l’imparzialità necessaria per guidare il paese durante la difficile prova delle elezioni politiche previste per il prossimo novembre.
Negli ultimi anni, nonostante ricorrenti crisi politiche e preoccupanti episodi di violenza confessionale, sopratutto nel nord del paese, i politici libanesi, con l’incoraggiamento della comunità internazionale, sono riusciti a garantire al paese un minimo di stabilità istituzionale.
Vi sono fondate speranze che essi supereranno anche le difficili prove elettorali che li attendono, ma fino a quando non verrà trovata una soluzione alla crisi siriana, il Libano resterà sull’orlo del baratro.
Rocco Polin è dottorando in Relazioni Internazionali presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane, Scuola Normale Superiore.
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