martedì 9 maggio 2023

L'Iran e le Sue dinamiche interne

  Di Giuseppe Cozzi

L’Iran risulta essere uno dei principali attori dell’area mediorientale, sia sul piano economico che militare. Erede della cultura persiana (vanta un tasso di alfabetizzazione pari al 87%) è collocato al centro del “Grande Medio Oriente”, un’iniziativa statunitense promossa dall’Amministrazione di George W. Bush all’inizio del 2004 per ridisegnare la cartina geografica dell’area.

Inoltre, la Repubblica Islamica dell’Iran è il punto di riferimento politico della fazione sciita, il filone minoritario del mondo musulmano i cui membri vivono lungo tutta la costa del Golfo Persico, cuore petrolifero mondiale, in Iraq, in Afghanistan e in altre zone del mondo. Questa prerogativa gli ha attirato l’odio secolare dell’Arabia Saudita, cuore del mondo sunnita e soprattutto della galassia estremista wahabita.

Per quanto afferisce al lato economico-commerciale, l’Iran risulta essere il quarto Paese al mondo per riserve di petrolio e il secondo per quelle di gas, ma non può sfruttare appieno a causa del lungo isolamento internazionale (Teheran è costretta ad offrire il proprio greggio ad un prezzo scontato di circa 30 dollari al barile), ed è soprattutto in grado di bloccare lo stretto di Hormuz, collo di bottiglia della più importante rotta petrolifera mondiale[1].

Sul piano strategico-militare, invece, nel ranking mondiale delle forze militari, l’Iran è quattordicesimo, posizionandosi come una potenza regionale capace di contrastare l’influenza statunitense in Medio Oriente. Nel 2020, il personale militare attivo del Paese ammonta a ben 523.000 unità, con un numero di riservisti che raggiunge la cifra di 350.000, per un totale di 873.000 uomini. (6) L’Iran ha sviluppato nel corso degli anni un discreto arsenale di missili balistici, i quali costituiscono la spina dorsale della strategia di deterrenza di Teheran. Il corredo missilistico iraniano vanta diversi sistemi a corto e medio raggio (Short-Range Ballistic Missile – SRBM e Medium-Range Ballistic Missile – MRBM), consentendo alla Repubblica Islamica di colpire obiettivi all’interno di un raggio di 2.000 km[2].

Nella percezione della leadership iraniana, la principale minaccia è rappresentata dagli Stati Uniti, considerati il paese in grado di mettere in pericolo la sopravvivenza della Repubblica Islamica e di danneggiare gli interessi nazionali iraniani. L’evoluzione recente della politica americana nei confronti dell’Iran, con la decisione di Donald Trump di ritirarsi dall’accordo sul nucleare nonostante la piena adempienza iraniana allo stesso, ha ulteriormente rafforzato la percezione da parte della leadership iraniana degli Usa come attore inaffidabile e dedito esclusivamente al perseguimento dei propri interessi.

In particolare, la presenza militare statunitense nella regione è percepita come una minaccia permanente, così come il sostegno offerto da Washington ai propri alleati del Golfo è percepito come un sostegno indiretto al rovesciamento della Repubblica Islamica. Da qui derivano i frequenti appelli iraniani rivolti ai paesi del Golfo affinché si costruisca un dialogo sulla sicurezza regionale che sia esclusiva pertinenza dei paesi della regione e che escluda dunque gli Stati Uniti.

Consapevole della superiorità tecnologica e in mezzi degli Stati Uniti, Teheran ha saputo elaborare una strategia militare focalizzata sulle tattiche di guerra asimmetrica. Gli obiettivi che la Repubblica Islamica intende perseguire con tale approccio sono principalmente due:

­   La difesa del regime e del Paese dalle minacce, sia esterne, che interne;

­   Emergere nello scenario regionale come potenza dominante.

In quest’ottica, le forze convenzionali della Repubblica Islamica hanno lo scopo di scoraggiare un’invasione nemica su larga scala e di rendere il costo umano ed economico di una guerra convenzionale intollerabile. D’altro canto, Teheran persegue i propri obiettivi oltre confine appoggiandosi a diverse milizie sciite e attori non-statali nella regione, ingaggiando i propri avversari tramite operazioni di guerra per procura e destabilizzando i Paesi alleati di Washington.

Tramite tale forma di guerra ibrida, la Repubblica Islamica mantiene il costo politico delle proprie azioni offensive all’estero molto basso, in quanto l’impossibilità di attribuire la responsabilità dei diversi attacchi direttamente a Teheran tutela il Paese da un’eventuale risposta diretta dei propri avversari.

L’Iran, inoltre, negli ultimi anni ha notevolmente ampliato l’uso dei droni. Se da una parte tali droni vengono utilizzati per monitorare le minacce interne, come i gruppi di resistenza curda che si oppongono al regime, dall’altra essi sono stati impiegati nel Golfo e nel Mare Arabico al fine di contribuire alla compilazione di una sempre più chiara Maritime Situational Awareness (MSA) dimostrando alla controparte statunitense e ai Paesi della regione di potersi affermare come principale attore del Medio Oriente.

Sul piano interno invece, le difficili condizioni economiche e infrastrutturali, provocate sia dalle sanzioni internazionali sia dall’incompetenza e cattiva gestione da parte delle autorità iraniane, continuano a essere la causa scatenante di diffuse e trasversali proteste in tutto il paese. In un contesto globale di altissima inflazione, i dati iraniani sono particolarmente negativi, con alcuni settori, tra cui quello alimentare, che hanno raggiunto il 90% su base annua con ricadute sensibili sui consumi da parte della popolazione[3]. Allo stesso tempo, il caldo estivo ha riportato alla luce un problema ormai tragicamente radicato: la scarsità di acqua. Sia i cambiamenti climatici sia le pessime condizioni delle infrastrutture idriche e la cronica cattiva gestione da parte delle autorità provinciali hanno portato a situazioni di grave scarsità di acqua in diverse province[4].

Sebbene durante l’estate la portata delle proteste non abbia raggiunto i livelli di capillarità e forza del 2019-20, è evidente che la situazione socioeconomica rappresenta la principale minaccia per la stabilità della Repubblica Islamica. Non è dunque improbabile che, a fronte di un ulteriore peggioramento dei dati macroeconomici, nel breve e medio termine potrebbero emergere nuove, significative ondate di proteste popolari con la conseguente repressione da parte del regime.

Non ultima e meno importante è la protesta scoppiata lo scorso 16 settembre a seguito della morte della ventiduenne Mahsa Amini, arrestata a Teheran dalla Gasht-e Ershad dalla polizia della Repubblica islamica, con l’accusa di non aver indossato il velo correttamente. Tale episodio, ha scatenato una nuova ondata di scontri tra la popolazione civile e le forza di polizia locale, rapidamente diffusesi in tutto il paese. Le manifestazioni, pregne di una simbologia legata all’emancipazione femminile (ma più in generale alla volontà di superare alcune imposizioni religiose come l’obbligatorietà di indossare il velo nei luoghi pubblici) si sono rapidamente caratterizzate per il coinvolgimento attivo sia di varie associazioni studentesche che della classe media[5]. I cruenti scontri hanno causato la morte di centinaia di manifestanti, alcuni dei quali addirittura arrestati in attesa di giudizio da parte delle autorità competenti.

Negli ultimi mesi, i manifestanti hanno ricevuto il sostegno di diverse figure pubbliche iraniane, tra cui il popolare calciatore Sardar Azmoun e il regista due volte premio Oscar Asghar Farhadi[6] ma non ultimo anche la protesta della nazionale di calcio iraniana durante la Fifa World Cup Qatar (FWCQ) nei confronti delle autorità politiche dell’Iran.

La situazione è precipitata ulteriormente alla fine dello scorso anno, quando decine di persone, di cui diversi minorenni, sono stati processati e condannati a morte per “inimicizia contro Dio”. L’8 dicembre 2022 infatti, le autorità hanno messo a morte il manifestante Mohsen Shekari, dopo averlo condannato meno di tre mesi dopo il suo arresto. Il 12 dicembre 2022 le autorità hanno messo a morte pubblicamente un altro giovane manifestante, Majidreza Rahanvard, a Mashahd, provincia di Khorasan-e Razavi, dopo averlo condannato e messo a morte meno di due settimane dopo una sessione del tribunale il 29 novembre 2022.

Il 7 gennaio 2023 sono state eseguite le condanne a morte di Mohammad Mehdi Karami e Seyed Mohammad Hosseini.  L’8 gennaio, Mohammad Boroughani e Mohammad Ghobadlou sono stati trasferiti nel braccio della morte in attesa di imminente esecuzione.

Nonostante la composizione sociale e l’impulso legato a istanze di rivendicazione dei diritti civili e individuali abbiano reso l’attuale ondata di proteste sostanzialmente diversa, per esempio, da quella di stampo prettamente economico del 2019, è evidente la coesistenza di diverse sacche di malcontento all’interno della società iraniana. Sacche che, almeno per ora, sembrano rimanere scollegate, non riuscendo a creare una sintesi in grado di superare la repressione violenta messa in atto dal regime[7].

Infine, appare evidente come le dinamiche sopra descritte, sia dal punto di vista politico- militare che interno, unitamente alla volontà di Teheran di perseguire la ricerca e lo sviluppo di ordigni nucleari nonostante le restrizioni poste dagli accordi internazionali, possano caratterizzare una preoccupante escalation nell’area e destabilizzare l’equilibrio regionale nel prossimo futuro.



[1] Iran: la crisi economia e politica si aggrava, (2022), in www.google.com

[2] 2023 Iran Military Strenght, in www.globalfirepower.com

[3] Skyrocketing inflation pushes Iranians away from basic food items, expert says, RFE/RL’s Radio Farda, 12 agosto 2022.

[4] “Water cuts in Iran spark more protests as crisis grows”, RFE/RL’s Radio Farda, 24 agosto 2022.

[5] CARGNELUTTI F., Le proteste anti-patriarcali scuotono le fondamenta della Repubblica Islamica in Iran. Intervista a Parola Rivetti, Global Project, (2022)

[6] Iran Oscar-winning director urges “solidarity” with protesters, France 25, 25 settembre (2022)

[7] Iran: decine di persone rischiano l’esecuzione in relazione alle proposte, in www.amnesty.it

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