martedì 30 maggio 2023

I Paesi del Gulf Cooperation Coucil (GCC) -

 

Di GIuseppe Cozzi.

Il Gulf Cooperation Council (GCC), anche noto come Consiglio di Cooperazione del Golfo, è un’organizzazione regionale che riunisce i Paesi di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar e Kuwait sulla base interessi economici, sistemi politici simili e valori condivisi. Le radici di tale organizzazione affondano negli anni 70’, all’indomani della rivoluzione iraniana, la quale che sancì il rovesciamento del regime dello Shah e la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran, percepita come principale rivale ed elemento di instabilità regionale.

Sebbene la questione relativa alla sicurezza non fosse menzionata nel Trattato istitutivo del GCC firmato nel maggio del 1981, il conflitto Iraq-Iran indusse i Paesi a creare nel 1984 un corpo militare congiunto che, ad oggi, conta all’incirca 40mila soldati divisi in due brigate, il Peninsula Shield Force. Nonostante tale visione di “difesa comune”, il Peninsula Shield Force intervenne in Kuwait durante l’invasione irachena del 1990 ma non fu in grado di difendere, con le proprie forze, il Kuwait. Inoltre, nel 2012 fu effettuato il tentativo di rafforzare la cooperazione nel campo della difesa, fortemente appoggiato dai sauditi, che però fu osteggiato da Oman ed Emirati Arabi Uniti.

Il settore in cui il GCC ha registrato il maggior numero di successi è quello economico-finanziario. Nel 2001 infatti i sei paesi del Golfo stipularono il GCC Economic Agreement, un accordo articolato in diversi punti, tra i più importanti[1]:

­    l’unione doganale;

­    le relazioni economiche internazionali con altri Stati e altre organizzazioni regionali/economiche;

­    il mercato comune;

­    l’unione monetaria.

I primi due progetti vennero implementati. Per quanto attiene all’unione doganale, annunciata il 1° gennaio 2003 e perfezionata nel 2015, questa consentì l’armonizzazione delle procedure doganali in tutti i paesi membri e l’istituzione di una tariffa doganale uniforme sui prodotti provenienti dall’estero. Anche gli scambi commerciali tra i membri del GCC e altri Paesi e organizzazioni registrarono un sostanzioso miglioramento, uno degli esempi più significativi è il commercio tra GCC e Unione Europea che tra il 2006 e il 2016 vide un incremento del 53%[2].

In riferimento agli altri progetti sopra citati, la creazione di un mercato comune fu proposta nel 2008 con la finalità di facilitare gli scambi intra-GCC ma non ha trovato ancora riscontro nella realtà, così come l’unificazione dei Paesi membri sotto una moneta unica. Quest’ultimo ambizioso obiettivo, stabilito inizialmente per il 2010 e ispiratosi al modello dell’Euro, fu contrastato ancora una volta da Oman ed Emirati Arabi Uniti, contrari all’istituzione di una banca centrale comune all’Arabia Saudita.

Nel 2017 si verifico una profonda fase di rottura quando i Paesi di Arabia Saudita, Bahrein, EAU ed Egitto imposero un embargo economico e diplomatico sul Qatar che venne accusato di finanziare il terrorismo e di intrattenere un rapporto troppo amichevole con la Turchia e lo storico rivale Iran. L’embargo tuttavia non ebbe l’esito atteso: il Qatar infatti negli ultimi anni ha continuato a perseguire una politica estera non allineata con il resto dei Paesi del Golfo ed ha addirittura incrementato il rapporto con Turchia e Iran. In questo quadro Oman e Kuwait hanno agito come mediatori per porre fine alla crisi.

Un’ulteriore minaccia all’integrità dell’organizzazione è rappresentata dalla disgregazione del fronte congiunto contro quello che, fino a pochi anni fa, era considerato un nemico comune: Israele. La normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e gli Emirati Arabi Uniti seguiti dal Bahrein, di fatto, ha messo in luce discrepanze sempre più evidenti. Sebbene di recente l’amministrazione Trump abbia invitato ripetutamente Qatar e Arabia Saudita a prendere parte agli Accordi di Abramo (ricordiamo le visite istituzionali dell’allora Segretario di Stato americano Pompeo) essi sembrano ancora lontani dall’intraprendere relazioni diplomatiche con Israele. Da una parte Doha ha sostenuto a gran voce la causa palestinese e ha denunciato, attraverso un’imponente campagna mediatica, gli accordi e la decisione degli EAU, dall’altra parte Riyadh ha assunto una posizione più ambigua a causa dei contrasti all’interno della stessa casa regnante. Se la vecchia guardia, rappresentata dal Re Salman e dal Ministro degli Esteri Faisal bin Farhan Al Saud, si dichiara disposta a riconoscere lo Stato di Israele solo nell’ambito di un accordo permanente che garantisca ai palestinesi uno Stato nei confini del ’67, la posizione del principe ereditario Muhammad Bin Salman è decisamente meno ostile. A dimostrarlo una dichiarazione rilasciata nel 2018 in cui affermò “condividiamo diversi interessi con Israele e se c’è pace ci saranno molti interessi tra Israele e i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo”[3] e un presunto incontro con il Premier Netanyahu tenutosi nella “città del futuro” di Neom alla presenza del Segretario di Stato Pompeo.

D’altro canto l’Iran si è rivelato abile nell’approfittare delle debolezze e delle rivalità tra gli Stati arabi della regione, come ad esempio la diatriba tra Qatar e Arabia Saudita da una parte e EAU e Bahrein dall’altra. Se per i Paesi GCC l’Iran è il nemico comune, visto come minaccia diretta alla propria esistenza, per l’Iran gli Stati del Golfo sono dei nemici di media intensità (se comparati agli Stati Uniti d’America ed Israele), poiché sono percepiti come strumenti degli USA per minacciare e intimidire la Repubblica islamica dell’Iran.



[1] Joint Action Process, (2001), in https://www.gcc-sg.org

[2] Consiglio di Cooperazione del Golfo: il sogno infranto di Riyadh, (2021), in www.geopolitica.info

[3] Gaza, la Palestina è sola, (2018), in www.atlanteguerre.it

Nessun commento:

Posta un commento